responsabilità deontologica del codifensore

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  1. adamclayton
     
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    In una causa vi sono due codifensori.
    Uno scorrettissimo e l'altro, all'apparenza, corretto.
    Quello scorretto insulta la parte ed i difensori, produce prove false, etc.
    Quello apparentemente corretto non firma gli atti del codifensore quando contengono illeciti deontologici.
    Si può affermare la responsabilità del codifensore apparentemente corretto sulla scorta del principio del
    dovere di probità, affermando che, quanto meno, egli dovrebbe opporsi e/o rinunciare al mandato ?
     
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  2. stracàsso
     
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    - direi di sì, quanto meno in base al codice deontologico (doveri di correttezza e verità)


    - studio associato? mandato congiunto o disgiunto? non semplice domiciliatario, vero?


    (non esercito la libera professione)
     
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    Ma anche no!
    Ognuno è responsabile delle proprie azioni... è l'elemento basilare del principio di responsabilità personale.
    L'articolo 50 non è applicabile al difensore, in questo caso, perché come tutte le norme disciplinari e sanzionatorie non possono essere applicate in maniera analogica ed in malam partem, specie se la responsabilità è di solo uno dei due avvocati.

    la norma del codice deontologico che apparentemente potrebbe venire alla luce è questa

    CITAZIONE
    3. L’avvocato che apprenda, anche successivamente, dell’introduzione nel procedimento di prove, elementi di prova o documenti falsi, provenienti dalla parte assistita, non può utilizzarli o deve rinunciare al mandato

    Ma le norme sanzionatorie sono tassative... e qui l'introduzione della prova di cui si discute son quelle della parte assistita non di altro collega. E la logica è molto chiara: è il difensore che dirige la difesa tecnica, quindi può tranquillamente non avvalersi dello scritto e la sua responsabilità si ferma rispetto alla condotta concretamente posta in essere quale professionista che rappresenta la difesa tecnica.

    Dal momento in cui gli atti che utilizzano prove illegali o altre cose sono state sottoscritte dal difensore disonesto (e che quindi non figurano in nessun atto dell'altro difensore) fondano la responsabilità del solo difensore sottoscrittore, atteso che - anche volendo interpretare in maniera analogica la norma summenzionata - il difensore estraneo alla condotta disciplinalmente censurabile (e direi anche penalmente se si tratta di falso) non può essere considerato come un difensore che ha utilizzato in prima persona gli elementi o documenti falsi, in quanto negli atti nei quali si richiamerebbero documenti falsi mancherebbe la paternità del difensore terzo e pertanto non sarebbero a lui ascrivibili.

    ----

    PS: Scusate i toni perentori, ma sono un ferreo sostenitore dell'importanza che vengano osservati i principi costituzionali quando si parla di responsabilità personale, che sia penale o disciplinare.
     
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  4. stracàsso
     
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    Senza alcuna pretesa di "certezza", il mio parere positivo - che qui ribadisco - sul caso in oggetto si fonda sui seguenti elementi:

    A)

    Codice Deontologico Forense
    sito web del Consiglio Nazionale Forense


    Art. 23. Conferimento dell’incarico

    1. L’incarico è conferito dalla parte assistita; qualora sia conferito da un terzo, nell’interesse proprio o della parte assistita, l’incarico deve essere accettato solo con il consenso di quest’ultima e va svolto nel suo esclusivo interesse.
    2. L’avvocato, prima di assumere l’incarico, deve accertare l’identità della persona che lo conferisce e della parte assistita.
    3. L’avvocato, dopo il conferimento del mandato, non deve intrattenere con il cliente e con la parte assistita rapporti economici, patrimoniali, commerciali o di qualsiasi altra natura, che in qualunque modo possano influire sul rapporto professionale, salvo quanto previsto dall’art. 25.
    4. L’avvocato non deve consigliare azioni inutilmente gravose.
    5. L’avvocato è libero di accettare l’incarico, ma deve rifiutare di prestare la propria attività quando, dagli elementi conosciuti, desuma che essa sia finalizzata alla realizzazione di operazione illecita.
    6. L’avvocato non deve suggerire comportamenti, atti o negozi nulli, illeciti o fraudolenti.
    7. La violazione dei doveri di cui ai commi 1 e 2 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento.
    La violazione dei divieti di cui ai commi 3 e 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura. La violazione dei doveri di cui ai commi 5 e 6 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.
    Nuovo Codice deontologico forense (in vigore dal 16/12/2014)
    (Approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta del 31 gennaio 2014)
    (GU Serie Generale n. 241 del 16-10-2014)


    Naturalmente cfr., in particolare, i punti nn. 5-6-7.
    ______________

    B)

    Il codifensore che firma la procura a margine assume in pieno la responsabilità della causa ed ha diritto al compenso (Cass. n. 6847/2012)



    Corte di Cassazione Civile n. 6847/2012, sez. VI del 7/5/2012



    Svolgimento del processo
    E’ stata depositata la seguente relazione:
    1. – Con sentenza depositata il 17-4-2010 la Corte di Appello di Lecce, a modifica della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda per il pagamento di competenze professionali proposta dall’avv. R.E. nei confronti della Ditta Autosalierno di Salierno Giovanni e Pietro s.n.c. per l’attività di difesa svolta in un giudizio davanti al Giudice di pace di Ceglie Messapica.
    La Corte di appello ha ritenuto che l’avv. R. aveva svolto nel predetto giudizio attività di codifensore insieme all’avvocato Loragno e non di semplice procuratore domiciliatario, come affermato dal giudice di primo grado, sul rilievo che con la procura a margine dell’atto di citazione era stata conferita la rappresentanza processuale ad entrambe gli avvocati e che l’avv. R. aveva partecipato direttamente a numerose udienze ed aveva sottoscritto, insieme all’avv. Loragno, la comparsa conclusionale e l’atto di precetto conseguente alla sentenza di condanna.
    2. – Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione S.P. e S.G., quali liquidatori della Ditta Autosalierno di Salierno Giovanni e Pietro s.n.c., con un unico articolato motivo.
    Resiste con controricorso l’avv. R.E..
    Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio (art. 375 c.p.c.) e rigettato per manifesta infondatezza alla stregua delle seguenti considerazioni.
    3. Con l’unico motivo viene denunziata nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 228 c.p.c., in relazione all’art. 2730 c.c., dell’art. 277 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. – omessa e insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia e violazione dell’art.3 del Codice Deontologico Forense ed erronea applicazione del D.M. n. 540 del 1994, n. 5858, art. 7.
    Sostengono i ricorrenti che la procura da essi sottoscritta a margine della citazione era stata solo apparentemente estesa anche all’avv. R. per un errore involontario della segretaria di studio e che l’avvocato R. non aveva mai redatto scritti difensivi; che i giudici di appello avevano dato rilievo a soli aspetti formali, senza tener conto del valore confessorio della citazione in primo grado,da cui risultava la modestissima attività svolta dall’avv. R.;
    che la Corte di appello aveva erroneamente disatteso le risultanze della prova testimoniale,da cui si evinceva la prevalente attività difensiva svolta dall’avv. Loragno e veniva confermato che l’attività svolta dall’avv. R. era solo quella di procuratore domiciliatario; che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto assorbita dall’accoglimento della domanda le violazioni al codice deontologico compiute dall’avv. R. e che aveva dato ingresso a domande nuove relative all’applicazione di alcuni criteri della tariffa forense per la liquidazione delle competenze professionali.
    4. Con il lungo ed articolato motivo i ricorrenti solo apparentemente denunziano violazione di legge, mentre in sostanza richiedono a questa Corte una valutazione del materiale probatorio diversa da quella motivatamente fatta propria dai giudici di appello al fine di ricondurre l’attività svolta dall’avvocato R. in loro favore ad attività di solo procuratore domiciliatario e non di difensore,con la corrispondente riduzione della competente professionali.
    Il controllo di legittimità non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso favorevole quello preteso dalla parte, perchè la Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
    5.La Corte di appello ha ritenuto che l’attività svolta dall’avvocato R. in favore dei ricorrenti fosse attività di
    rappresentanza e difesa processuale, sul rilievo che la procura le era stata conferita unitamente all’avvocato Loragno, che ella aveva partecipato a numerose udienze e sottoscritto la comparsa conclusionale e l’atto di precetto.
    Ha inoltre affermato che,se anche fosse stato dimostrato che l’avvocato Loragno aveva redatto gli atti processuali sottoscritti da entrambi, la sottoscrizione presuppone un’attività di controllo da parte dell’altro difensore e la prestazione professionale del difensore non si sostanzia solo nel compimento delle singole attività di evidenza processuale, ma anche e soprattutto nell’assunzione della responsabilità che tali attività, ed in generale dalla linea difensiva adottata nel processo deriva al difensore in termini di responsabilità professionale.
    6. La motivazione è immune da vizi logici e giuridici e inquadra correttamente l’attività svolta dall’avvocato R. quale attività di difesa in base al contenuto della procura a margine della citazione,che i ricorrenti apoditticamente assumono frutto di in errore della segretaria di studio, alla partecipazione della stessa a numerose udienze, alla sottoscrizione della comparsa conclusionale e dell’atto di precetto.
    7. Giustamente la Corte di appello ha ritenuto che l’accoglimento della domanda di pagamento dell’attività professionale era assorbente di ogni rilievo circa la responsabilità, anche dal punto di vista deontologico, della professionista.
    Non può considerarsi domanda nuova la richiesta dell’avvocato R. dell’applicazione della tariffe professionali per la liquidazione delle sue competenze i, in quanto non vi è alcuna modifica della domanda che rimane quella di pagamento delle competenze professionali per l’attività di difesa.
    La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti. Non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie.

    Motivi della decisione
    A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione. Il ricorso deve essere rigettato essendo manifestamente infondato.
    Le spese seguono la soccombenza.
    P.Q.M.
    La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione liquidate in Euro 800,00, di cui Euro 200,00 per spese,oltre spese processuali ed accessori come per legge. (1064)

    -------------------------------------------
    C) Corte Cass. Sez. Unite 09.09.2009 n.19400

    Cassazione: avvocato non giustifica la parcella del codifensore? Rischia sanzione disciplinare

    Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione (Sent. n. 19400/2009) hanno stabilito che rischia una sanzione disciplinare, da parte dell'ordine, l'avvocato che chiede al cliente due parcelle, senza riuscire a giustificare le diverse attività svolte dal codifensore nel presentare un ricorso identico in un'altra sede giurisdizionale. Nel caso di specie, gli Ermellini hanno infatti evidenziato che "tale motivazione, che resiste alle critiche svolte con il primo motivo di ricorso - avendo il giudice del merito condivisibilmente stigmatizzato la scorrettezza della condotta della (…) sotto il profilo della deontologia professionale in punto di mancata comunicazione al cliente di tutti i necessari elementi in ordine all'attività svolta, onde quegli potesse serenamente escludere una duplicazione di compensi attesa la particolare relazione esistente con il co-difensore, la cui attività legittimamente appariva sostanzialmente uguale -, consente di escludere altresì con tranquillizzante certezza, qualsivoglia violazione del principio di corrispondenza dell'incolpazione della condotta in concreto ascritta dal legale (…)".


    Con questa decisione la Corte ha confermato la sanzione della censura nei confronti di un avvocato che aveva depositato due ricorsi identici, uno davanti al Tar e uno al Capo dello Stato, duplicando la parcella e senza giustificare le ulteriori attività svolte dal codifensore (tra le altre cose, suo marito).

    (23/09/2009 - Avv.Cristina Matricardi)


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    D)

    Altra considerazione del tutto personale

    Se tramite le "marachelle difensive" del co-difensore , il collega (preteso corretto) trae/trarrà un innegabile vantaggio (in termini di vittoria della lite,prestigio personale, etc.) o ,comunque, la sua tesi difensiva si avvale di mezzi scorretti e fraudolenti (cfr., a questo proposito,il disposto contenuto nell'art. 50 codice deontologico), è anche giusto che ne sopporti le eventuali conseguenze in termini disciplinari.

    Edited by stracàsso - 16/6/2019, 09:50
     
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    Rispetto le tue argomentazioni, ma non le condivido
    1) La norma da te citata (art. 23) non c'entra con la questione in oggetto. A mio parere è l'art.50 che doveva essere oggetto di analisi e che secondo me esclude che nel caso di specie ci possa essere una estensione della responsabilità penale e disciplinare. Analizzando infatti i commi 5 e 6 della norma (il 7 indica solo il tipo di sanzioni comminabili) io non vedo un nesso con la condotta ascritta

    CITAZIONE
    5. L’avvocato è libero di accettare l’incarico, ma deve rifiutare di prestare la propria attività quando, dagli elementi conosciuti, desuma che essa sia finalizzata alla realizzazione di operazione illecita.

    Qui si parla del divieto di accettare l'incarico quando esso stesso incarico è finalizzato a realizzare operazioni illecite, a monte. Non è quindi, a mio avviso, una norma che viene alla luce nel caso in cui si vogliano introdurre (successivamente all'incarico) elementi di prova che possano inquinare il processo. Qui si sta discutendo del mandato e del conferimento dell'incarico. E non ci sono elementi che emergono dai quali si desuma che l'incarico sia stato conferito con finalità diverse da quella propria della difesa in giudizio.
    Ad esempio vedrei applicabile questa norma qualora (sto inventando ora) un avvocato si fa conferire l'incarico di difensore di un imputato X (magari un mafioso) con lo scopo di far girare le informazioni tra l'imputato stesso e l'organizzazione mafiosa di cui fa parte. In questo caso l'incarico sarebbe strumentale ad avere il diritto di entrare in contatto con l'assistito, ma avrebbe uno scopo illecito a monte per il quale l'incarico stesso risulterebbe essere un pretesto.

    CITAZIONE
    6. L’avvocato non deve suggerire comportamenti, atti o negozi nulli, illeciti o fraudolenti.

    Anche questo, a mio avviso, è fatto ben diverso da quello in giudizio. Si sta sanzionando l'avvocato che dice AL CLIENTE o a persone terze (es. parenti diretti o altri) di commettere azioni illecite o consiglia all'asisitito di fare un contratto in violazione della legge o nullo. Non si tratta quindi di una condotta inerente l'introduzione di elementi nel giudizio. Ad esempio si sanzionerebbe l'avvocato che suggerisca al cliente di mettere in atto un contratto fraudolento allo solo scopo di elusione fiscale.

    ---------------------
    Sentenze di Cassazione citate.

    Le sentenze citate della cassazione afferiscono ad un problema completamente diverso, ovvero il diritto al compenso.
    Ora... il diritto al compenso è una questione che attiene al diritto civile contrattuale ed è cosa ben diversa dalla questione analizzata. Infatti il diritto al compenso nasce dal fatto che due o più avvocati abbiano avuto ricevuto procura ad litem ed abbiano compartecipato alla prestazione contrattuale (del mandato difensivo). Si parla appunto del piano dei diritti e degli interessi, assoggettate alle norme di diritto civile che, in materia di responsabilità, assumono un piano di analisi ben diverso rispetto alla responsabilità penale e disciplinare.

    Ma quando si parla di responsabilità penale cambiano le cose perché bisogna analizzare il fatto singolo e concreto che fonda la responsabilità personale.
    E qui ci sono una serie di principi costituzionali che - rispetto al diritto civile - restringono fortemente il campo di applicazione (responsabilità civile e responsabilità penale/disciplinare sono diversi).

    In primo luogo viene in luce il principio di tassatività/determinatezza/precisione (corollario art. 25 Cost) secondo il quale le norme sanzionatorie non possono essere interpretate al di là della loro formulazione letterale. E' possibile l'interpretazione estensiva, cercando di enucleare un campo di applicazione più vasto ma solo se questo è consentito dal tenore letterale della norma e dal suo dato sistematico. Non è consentita invece l'applicazione analogica, e cioè l'applicazione a situazioni che risultano molto simili (e che verrebbe da pensare sarebbe giusto sanzionare proprio perché il comportamento è percepito comunque come equiparabile ad altro sanzionato penalmente/disciplinarmente) ma che però non rientrano nella lettera della norma sanzionatoria stessa.

    In secondo luogo il principio di personalità (ex art. 27 Cost) per cui ognuno è responsabile della propria condotta. Cioè va valutata la condotta complessivamente tenuta dalla persona che è sottoposta a procedimento penale e disciplinare. Qui l'illecito penale e disciplinare nasce nel momento in cui in atto introduce un elemento falso nel giudizio in corso. La condotta si traduce in quell'atto ed è ascrivibile a colui e coloro che sono gli autori dell'atto stesso. Gli atti processuali vanno sottoscritti dal difensore a pena di nullità perché (tra gli altri motivi) devono essere a lui imputabili e quindi, a contrario, il singolo atto viene imputato a quel singolo difensore che l'ha posto in essere.

    In terzo luogo il principio di colpevolezza per il quale ognuno è responsabile se la propria condotta è frutto di dolo o colpa. Su questo punto non posso proprio condividere quanto qui hai scritto:

    CITAZIONE
    Se tramite le "marachelle difensive" del co-difensore , il collega (preteso corretto) trae/trarrà un innegabile vantaggio [...] o ,comunque, la sua tesi difensiva si avvale di mezzi scorretti e fraudolenti [...] è anche giusto che ne sopporti le eventuali conseguenze in termini disciplinari.

    1) Anche se comprendo le ragioni per cui stai sostenendo questa argomentazione, devo però ricordare che il processo penale/disciplinare non è un processo sulle intenzioni ma sulla condotta. Può trarne vantaggio? Forse. Ma da qui a dire che questo basti a fondare la responsabilità disciplinare, secondo me, ce ne passa.

    2) la sua tesi difensiva non sappiamo quale è concretamente. Potrebbe aver stilato una conclusionale a suo nome che non si avvale di questi elementi, per quello che ne sappiamo. Quindi a mio avviso non abbiamo elementi per sostenere che la tesi difensiva (del terzo estraneo) si sia avvalsa di mezzi scorretti e fraudolenti

    3) Non sappiamo, cosa più importante, se effettivamente il co-difensore sapesse della falsità delle prove. Potrebbe aver anche confidato che gli elementi prodotti dal collega fossero veri. Nel momento in cui emerge che questo non fosse vero la sua responsabilità verrebbe alla luce solo se, raggiunta tale comprovata falsità, egli li avesse usati comunque in prima persona (e allora sì verrebbe comprovato che la sua tesi difensiva si sia avvalsa di mezzi fraudolenti e illegali). Questo perché comunque il codice disciplinare non contempla come unica soluzione quella di rinunciare all'incarico, ma anche quella di non avvalersi delle prove illecite eventualmente introdotte da terzi

    ----------------

    Diversa è l'eventuale responsabilità aquiliana, che invece potrebbe ben sussistere. In questo caso non vengono alla luce i principi costituzionali che ho sopra analizzato. In tale sede le argomentazioni che hai sostenuto ben potrebbero trovare applicazione, atteso il diverso focus dell'illecito civile rispetto a quello penale e disciplinare.
     
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  6. stracàsso
     
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    La richiesta dell'Aspirante concerne l'eventuale responsabilità deontologica e le eventuali conseguenti sanzioni disciplinari del codifensore in una determinata fattispecie.

    Qui NON è in discussione - anche - un'eventuale sua (del codifensore,intendo) responsabilità penale e,quindi, direi che tutti i riferimenti alla Costituzione ed ai suoi principi (di tipicità,legalità, etc.etc.) sono un po'(mi si passi i termini forse eccessivi).... ultronei e fuori tema.

    E ciò per almeno queste due ulteriori considerazioni (che vanno ad aggiungersi - e non a sostituirsi - a quelle già indicate nei post precedenti).
    ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


    1. l'ultima formulazione dell'art. 20 del C.D. recita così:


    ……….
    Il Consiglio nazionale forense,
    nella seduta amministrativa del 23 febbraio 2018, preso atto
    dell'esito delle procedure di consultazione di cui alla propria
    delibera del 22 settembre 2017, ha deliberato:
    di modificare la formulazione dell'art. 20 del Codice
    deontologico forense sostituendola con quella che di seguito si
    riporta:
    «Art. 20 - Responsabilita' disciplinare»
    1. La violazione dei doveri e delle regole di condotta di cui ai
    precedenti articoli e comunque le infrazioni ai doveri e alle regole
    di condotta imposti dalla legge o dalla deontologia costituiscono
    illeciti disciplinari ai sensi dell'art. 51, comma 1, della legge 31
    dicembre 2012, n. 247.
    2. Tali violazioni, ove riconducibili alle ipotesi tipizzate ai
    titoli II, III, IV, V e VI del presente codice, comportano
    l'applicazione delle sanzioni ivi espressamente previste; ove non
    riconducibili a tali ipotesi comportano l'applicazione delle sanzioni
    disciplinari di cui agli articoli 52 lettera c) e 53 della legge 31
    dicembre 2012, n. 247, da individuarsi e da determinarsi, quanto alla
    loro entita', sulla base dei criteri di cui agli articoli 21 e 22 di
    questo codice;

    ….omissis


    Esistono,quindi, delle ipotesi di violazioni dei doveri alle regole di condotta "tipizzate" e delle ipotesi di violazioni NON tipizzate: anche queste ultime,però, comportano l'applicazione di sanzioni disciplinari.


    Allego,altresì, la relazione all'ultima modifica del predetto art. 20,da cui ricavare l'interpretazione autentica (che va nel senso da me sostenuto) ed utili spunti:

    https://www.consiglionazionaleforense.it/d...fdb5cc0c#page=1
    ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


    2. A quanto sopra,allego questa nota del Consiglio O.A.di Agrigento da cui si evince che per la giurisprudenza il procedimento disciplinare non è un procedimento giurisdizionale, ma un procedimento amministrativo cui si applicano altri e diversi principi da quelli di tipicità,etc.

    Deontologia
    Proced. disciplinare, natura amministrativa
    by adira • Giugno 16, 2017
    Al procedimento disciplinare davanti al COA non si applica il principio costituzionale del giusto processo ma quello del buon andamento dell’amministrazione. Nel procedimento disciplinare davanti al Consiglio territoriale, che ha natura amministrativa, non si applica tanto l’art. 111 Cost. (con i correlativi ivi enunciati principi del giusto processo, pertinenti alla sola attività giurisdizionale), quanto piuttosto l’art. 97, comma 1, Cost., secondo il quale vanno assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.
    Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Logrieco, rel. Marullo di Condojanni), sentenza del 30 dicembre 2016, n. 389


    Nota: In senso conforme, oltre a Cassazione Civile, sez. Unite, 07 dicembre 2006, n. 26182, Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Salazar, Rel. Allorio), sentenza del 25 febbraio 2013, n. 10, Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Salazar, Rel. Allorio), sentenza del 20 febbraio 2013, n. 8, Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. PIACCI), sentenza del 15 ottobre 2012, n. 153, Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. SALAZAR, Rel. BERRUTI), sentenza del 20 luglio 2012, n. 108, Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Perfetti, Rel. Salazar), sentenza del 20 aprile 2012, n. 67.

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    Ho letto tutto e ti ringrazio per l'interessante documentazione. Ho potuto approfondire ulteriori aspetti della questione.
    Detto questo però (sarà sicuramente un mio limite) non vedo come possa la natura più elastica delle norme disciplinare rispetto a quella penale possa giustificare l'assunto che se l' avvocato TIZIO compie l'azione illecita di introdurre prove illegali (con dolo), questo comporti anche una responsabilità disciplinare PER CAIO (che non è l'autore materiale del fatto) che non è autore diretto del comportamento scorretto.

    Le fonti da te citate spiegano (in modo molto egregio) che quella disciplinare è una "tipicità debole" (cosa che mi lascia qualche perplessità a livello di garanzie costituzionali... personalmente dubito che questo orientamento sia propriamente coerente con l'art. 7 CEDU così come interpretato dalla Corte EDU... ma è la posizione delle corti supreme quindi ci si adegua... ) ma tale "tipicità debole" però non può anche tradursi in una responsabilità oggettiva... altrimenti si rischia di diventare sanzionabili disciplinarmente anche per fatti non minimamente riconducibili ad una propria colpa il che, a mio avviso, sarebbe assolutamente inaccettabile in un paese civile.

    Ora... secondo me il punto è stabilire se emergono dei rilievi dai quali si possa desumere che la condotta sia ascrivibile anche a CAIO quanto meno sotto un profilo di concorso morale (cioè che vi siano elementi che denotino che l'avvocato CAIO era Consapevole e connivente...) non può esserci un automatismo "sono codifensore - sono disciplinarmente responsabile di tutto quello che fa il mio collega" altrimenti si rischia di andare nell'arbitrario.
    (per assurdo... pensa se CAIO è codifensore assieme a TIZIO di un delinquente... TIZIO passa delle informazioni tra l'assistito e la sua banda per aiutarli ad eludere le indagini, CAIO non ne sa nulla a riguardo... in questo caso ti sembrebbe giusto sanzionare disciplinarmente CAIO? L'esempio è estremizzato volutamente... ma se si consente di fare ingresso alla responsabilità disciplinare per fatto di terzi, si potrebbe arrivare anche a questo paradosso)

    Rinvio a quanto avevo scritto sopra perché non avevo motivato solo sotto un profilo di tipicità (sul quale però non avevo ragione, dati alla mano...) ma anche sotto un profilo della personalità della responsabilità... Secondo me non è sufficiente avere dimostrato che le prove fossero false per giustificare la responsabilità di CAIO (visto che le ha introdutte TIZIO), ma occorre verificare che
    1) Tale falsità fosse conosciuta da CAIO
    2) in alternativa, una volta emersi degli elementi dai quali CAIO con ragionevole certezza potesse desumerne l'illiceità, questi nondimeno ne abbia fatto un uso in un atto PROPRIO.

    Diversamente opinando si vorrebbe giustificare una responsabilità disciplinare per fatto di terzo
     
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  8. stracàsso
     
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    Come sopra precisato, la fattispecie va limitata e giudicata - esclusivamente - nel perimetro e con le regole del codice deontologico.


    1. Qui, tanto per dire, non vale invocare la cd. "tipicità debole" dell'illecito disciplinare, posto che - piuttosto - la giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense e della Corte di Cassazione qualifica l'illecito disciplinare come "a forma libera" (cfr.,tra le altre, C.N.F. 12.04.2018 n.26; C.N.F. 20.03.2018 n.14;C.N.F.19.03.2018 n.5;C.N.F.18.12.2017 n.207; e Corte Cass. Sez..Un. 30.03.2018 n.8038).

    Non è solo un modo di vedere lo stesso bicchiere: chi "mezzo vuoto" e chi "mezzo pieno", ma fa capire quale sia il reale intendimento e il concreto raggio d'azione sui variegati e possibili comportamenti degli avvocati che i Consigli e la giurisprudenza vogliono poter sindacare.

    2. Personalità della responsabilità disciplinare?

    Il codice deontologico forense va in tutt'altra direzione.
    Si veda, ad es., l'Art. 8 del Codice deontologico (Responsabilità disciplinare della società):alla faccia del vecchio brocardo latino "societas delinquere non potest";
    e l'Art. 7 (Responsabilità disciplinare per atti di associati, collaboratori e sostituti).

    3. La norma, poi, dell'Art.46 codice predetto (intitolato:Dovere di difesa nel processo e rapporto di colleganza) al punto 6 recita:
    "L'avvocato,nei casi di difesa congiunta, deve consultare il codifensore SU OGNI SCELTA PROCESSUALE e informarlo del contenuto dei colloqui con il comune assistito,al fine della EFFETTIVA CONDIVISIONE DELLA DIFESA".
    Credo che - a parte l'uso di espressioni sconvenienti od offensive (che comunque possono comportare una responsabilità a titolo di risarcimento danni a carico del cliente ai sensi dell'art. 89 cod.proc.civ., e non credo che quest'ultimo possa esserne contento e non possa lamentarsi del danno subito anche con l'altro codifensore cui si è affidato) - credo che l'introdurre prove false nel procedimento debba essere considerata far parte integrante di OGNI SCELTA PROCESSUALE ai fini di una EFFETTIVA CONDIVISIONE DELLA DIFESA.

    Se è così, l'illecito disciplinare andrà ascritto ad entrambi i codifensori, sui quali - siccome mandatari- incombe (non dimentichiamolo) anche un obbligo di controllo sull'attività dell'altro codifensore (e ciò,non ultimo, per evitare pure di dover risarcire i danni di cui all'art. 89 cod.proc.civ.).


    Non voglio convincere nessuno.

    Mi dispiace che,dopo aver postato il quesito, l'Aspirante se ne sia completamente disinteressato, facendo mancare così alla discussione quei dettagli del caso concreto che potevano fare la differenza.

    Passo e chiudo.
     
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    Non voglio convincere nessuno.

    Il fatto che sia abbastanza orientato nelle mie decisioni non significa che non apprezzi il confronto. Se tutti la pensassimo sempre e solo in un determinato modo non ci sarebbe spazio al dialogo e alla crescita no?

    Personalmente la discussione con te la sto trovando interessante... ma non voglio certo obbligarti a continuarla ad oltranza :P

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    1. Qui, tanto per dire, non vale invocare la cd. "tipicità debole" dell'illecito disciplinare, posto che - piuttosto - la giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense e della Corte di Cassazione qualifica l'illecito disciplinare come "a forma libera" (cfr.,tra le altre, C.N.F. 12.04.2018 n.26; C.N.F. 20.03.2018 n.14;C.N.F.19.03.2018 n.5;C.N.F.18.12.2017 n.207; e Corte Cass. Sez..Un. 30.03.2018 n.8038).

    Alle indicazioni superiori ci si adegua... ma "tipicità a forma libera" è un po' una contraddizione in termini. Cioè è un po' il gioco delle tre carte, anche se capisco la volontà da parte degli organi superiori di non lasciare impuniti comportamenti deplorevoli con mere argomentazioni cavillose.
    Io usavo "tipicità debole" perché il principio base della responsabilità e della liceità di una qualsivoglia sanzione è la possibilità di percepire un dato comportamento come disvalore attraverso dei parametri oggettivi e predeterminati (ex ante)... il disvalore non può essere definito completamente ex post.... elementi minimi di tipicità sono comunque imprescindibili affinché una qualsivoglia sanzione sia giustificabile alla luce di un comportamento inquadrabile come disvalore ex ante da parte del suo autore

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    Il codice deontologico forense va in tutt'altra direzione.
    Si veda, ad es., l'Art. 8 del Codice deontologico (Responsabilità disciplinare della società):alla faccia del vecchio brocardo latino "societas delinquere non potest";
    e l'Art. 7 (Responsabilità disciplinare per atti di associati, collaboratori e sostituti).

    Sui punti appena ho tempo approfondisco (in questi giorni non posso). Ma la "culpa in eligendo" secondo me può spingersi solo in quanto l'evento dannoso del sostituto era concretamente prevedibile da parte di chi l'ha nominato... altrimenti si sfocia (a mio avviso) in una sanzione arbitraria.

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    "L'avvocato,nei casi di difesa congiunta, deve consultare il codifensore SU OGNI SCELTA PROCESSUALE e informarlo del contenuto dei colloqui con il comune assistito,al fine della EFFETTIVA CONDIVISIONE DELLA DIFESA".

    Si ma qui si parla di Tizio che prima di introdurre il falso dovrebbe consultare il collega... ma nel momento che non ha avuto scrupoli nell'introdurre prove false chi ci dice che non abbia anche avuto scrupoli nel tenere il collega all'oscuro di tutto?
    Tu dici bene nel vedere qui un possibile aggancio nel caso sollevato... ma il fatto è che chi ci assicura che Tizio abbia osservato tale dovere di correttezza nei confronti di Caio?

    Dici bene comunque il richiamo del mandato e del dovere di controllo dell'attività dell'altro mandatario... rimane il fatto è verificare quanto questo controllo fosse ai fatti possibile concretamente e fino a che punto... non conoscendo i fatti io continuo a non vedere alcun automatismo... anche se probabilmente un eventuale procedimento disciplinare ben potrebbe spingersi ad aderire più alle tue conclusioni che alle mie.

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    Mi dispiace che,dopo aver postato il quesito, l'Aspirante se ne sia completamente disinteressato, facendo mancare così alla discussione quei dettagli del caso concreto che potevano fare la differenza.

    Passo e chiudo.

    L'impressione è che in questo forum non ci scriva più nessun aspirante uditore...
     
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  10. stracàsso
     
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    Contravvengo al mio "Passo e chiudo" di cui sopra , ma il Tuo "orientamento" - sul punto - è stato un po'… eccessivo, con conseguente stravolgimento delle mie precedenti citazioni giurisprudenziali.

    Secondo la giurisprudenza del C.N.F. e della Cassazione è "l'illecito disciplinare" ad essere "a forma libera", non la sua "tipicità".

    Non sussiste,quindi, nessuna "contraddizione in termini" da parte di detti organi né pericolo di "gioco delle tre carte".

    Alla prossima.
     
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  11.  
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    ma il Tuo "orientamento" - sul punto - è stato un po'… eccessivo, con conseguente stravolgimento delle mie precedenti citazioni giurisprudenziali.

    Nessuno stravolgimento :P
    Ho espresso un libero pensiero di critica mia personale nei confronti del CNF che secondo me, se da un lato fa bene a non voler tipizzare eccessivamente la nozione di illecito disciplinare, allo stesso tempo sposa un principio che a mio modesto avviso rischia di cozzare parecchio con il principio di giustizia che a mio avviso in qualunque giudizio di natura sanzionatoria è imprescindibile.

    Nel mio intervento precedente alludevo al fatto quindi che tale principio, se non adeguatamente bilanciato rischia potenzialmente di diventare uno strumento di facile giustificazione anche di decisioni arbitrarie.
    ("adeguatamente bilanciato" ad esempio dalla necessità di una motivazione tanto più puntuale quanto più il comportamento contestato si discosta da quelli tipizzati, tanto per dirne una)

    Non è un caso che nel diritto penale il principio di tassatività/determinatezza/precisione ha ben 3 accezioni... e la parte della tassatività è per vincolare il giudice dal prendere decisioni arbitrarie... questo anche alla luce delle esperienze storiche precedenti alla stessa Costituzione.

    CITAZIONE
    Secondo la giurisprudenza del C.N.F. e della Cassazione è "l'illecito disciplinare" ad essere "a forma libera", non la sua "tipicità".

    No no no... si parla proprio di tipicità a forma libera.
    Cito testualmente: <<la modifica dell’art. 20 è opportuna per esplicitare in modo incontestabile,attraverso una diversa formulazione della lettera della norma,avente anche valore interpretativo, il principio della tipicità solo tendenziale del nuovo codice.>> ((fonte originale)

    E "tipicità a forma libera" è una contraddizione in termini... infatti da diverse parti viene indicato che si introduce un principio di vera e propria atipicità... anche se secondo me questa conclusione non è condivisibile... è complicato riassumere in poche parole il punto e rischierei di diventare tedioso, quindi per ora mi astengo dall'intervenire sul punto a meno che non se ne voglia parlare più in dettaglio.
     
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  12. adamclayton
     
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    Vi ringrazio.
    Preciso che sono stato un aspirante, ma adesso non posso più aspirare per sopraggiunto limite d'età.
    Spero non sia ostativo ...
    Saluti
     
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11 replies since 30/5/2019, 06:54   258 views
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