Ma la preparazione universitaria?

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  1. Chica.
     
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    Ciao a tutti!
    Vi espongo un dubbio, forse stupido: perché nei vari forum e gruppi nessun parla mai di come e quanto ha studiato all'università?
    Mi spiego meglio. Leggendo, con grande interesse, i consigli di chi ha superato il concorso e, in generale, di chi sta studiando per questo, non ho mai letto nessuno che scrive "Arrivavo dall'università molto preparato e da questa preparazione sono partito per approfondire".
    Non c'è nessun che riprende i suoi schemi / riassunti di quando ha preparato gli esami all'università? Si riparte completamente da capo, riprendendo tutti i manuali dalla prima pagina?

    Grazie a chiunque mi risponderà,
    Buono studio :wub:
    Chica
     
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  2. circe86
     
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    Ciao Chica,
    provo a risponderti.

    Sicuramente lo studio universitario è quello da cui parte il percorso di preparazione del concorso in magistratura. Tuttavia, alle volte, le nozioni istituzionali delle tre materie fondamentali rischiano di "perdersi", dato il consistente numero di esami che si è chiamati a sostenere prima di giungere alla laurea e il conseguente passare del tempo.
    Se in civile, penale e amministrativo si sono avuti ottimi docenti e studiati buoni testi e a fondo, sicuramente questo emergerà nel momento in cui si inizia a studiare per magistratura e si potranno anche utilizzare quegli spunti originariamente avuti a lezione per approfondire.
    Però, quel che mi sento di dire, è che su queste tre materie le basi istituzionali devono essere assolutamente solide e quindi, se alcune di esse non sono state affrontate bene all'università, vanno riprese da capo.

    Altrimenti si rischia di costruire un castello senza fondamenta!
     
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    Penso che tu abbia posto una domanda molto interessante.

    Da questo topic [https://aspirantiuditori.forumfree.it/?t=41032641] si possono ricavare consigli da parte di vincitori provenienti dai più disparati lembi d'Italia, ciascuno con propri interessi culturali e giuridici, generali e specifici, laureati in università con diversi programmi, tradizioni, ambienti di studio.

    Tuttavia, ricorre spesso l'affermazione per cui lo studio universitario - rispetto a quello specificamente rivolto alla preparazione concorsuale post lauream, soprattutto in scuole private - sia uno studio prevalentemente manualistico, mnemonico, superficiale, statico.

    Mi chiedo se l'impiego di tale "metodo universitario" sia realmente imposto dall' esigenza di ottenere voti alti negli esami, per le modalità con cui questi sono effettuati, o non consegua piuttosto da una certa iniziale e in parte comprensibile (poi ritenuta per inerzia) immaturità dello studente nelle questioni metodologiche, l'interesse per le quali di solito sorge - nelle sedi prima accennate - dal confronto con la complessità dei nuovi manuali e con la giurisprudenza tipica della preparazione mirata post lauream.

    Quando lo studente di scuola superiore, con la vaga idea di voler provare il concorso, entra all' università, nella maggioranza dei casi non sa in cosa consista la preparazione giuridica (fondamentale è, inoltre, quella culturale) del magistrato. Non può perciò elaborare in via definitiva e particolareggiata una mappa di questo lungo sentiero irto di ostacoli.

    È, l'organizzazione dello studio, un processo dialettico, empirico, che si affina con il maturare della concezione circa le difficoltà delle varie discipline e delle loro intersezioni, circa i propri interessi culturali e giuridici, circa il ruolo del magistrato nella società odierna.

    Mi chiedo tuttavia se esista un modello generico di preparazione cui aspirare e cui ciascuno possa rapportare il metodo nello studio per il concorso, sufficientemente preciso da fungere da guida, ma abbastanza flessibile da adattarsi alle esigenze peculiari ad ognuno.

    Una prima constatazione deriva dall'analisi del contesto istituzionale e storico odierno. Certamente, fare il magistrato oggi, non è fare il magistrato nell'Italia giolittiana di inizio '900, quando non era immaginabile che la legge stessa potesse essere sindacata - vigente ancora lo Statuto Albertino - e l'Unione Europea era il sogno letterario e politico di poche menti illuminate.
    Può sembrare banale, ma in realtà in molti casi i programmi di esame, e soprattutto i contenuti delle lezioni, per lo più frontali (mai esistite nella storia nella loro attuale forma passiva: è tradizione medievale di derivazione scolastica, invece, il dinamico metodo della quaestio) non tengono conto del sistema di ordinamenti di cui fa parte la nostra Repubblica e delle relazioni tra le istituzioni ad essa interne. Si insegna il diritto come se il codice fosse principio e termine del sapere giuridico, o peggio, come se questo sapere consistesse nella mera capacità di esporre superficialmente il dettato della disposizione normativa. Si adotta una impostazione positivista nel senso più restrittivo e unidimensionale. Una prospettiva che facilita il metodo manualistico, mnemonico, superficiale, statico cui accennavano molti vincitori.
    E probabilmente ciò è dovuto al fatto che sono palesemente troppi gli studenti iscritti nelle facoltà giuridiche col risultato che i professori diventano meno esigenti e gli studenti più bravi perdono la misura di quello che dovrebbe essere il loro livello adeguato di preparazione.

    Oggi il magistrato è chiamato (in certi casi) a servirsi di ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale e alla CGE come strumenti attraverso cui proporre modifiche sostanziali dell' ordinamento giuridico, più o meno vaste. Ciò può sembrare marginale, in un ottica lavorativa quotidiana, ma ha un'importanza fondamentale nella costruzione di un'adeguata metodologia di studio, la quale ruota attorno al concetto complesso di "legge".

    L'aspirante magistrato dovrebbe quindi prepararsi non solo per passare le prove scritte in tre materie fondamentali, ma per svolgere al meglio le proprie funzioni (il superamento delle prove scritte è un inizio, non una fine), tra cui, appunto, quelle di impulso ai giudizi di legittimità costituzionale e, sempre più importanti oggi, di sindacato diffuso in funzione di organo giurisdizionale europeo, le quali, per l'importanza delle conseguenze che possono generare, richiedono coscienza puntigliosa delle proprie responsabilità.

    La legge infatti è come un iceberg: è la manifestazione di un procedimento che affonda le proprie vaste radici nella realtà sociale e culturale, da comprendere per poterla interpretare e applicare in modo adeguato, e per poterla "criticare", se necessario, con gli strumenti che l'ordinamento appronta per il dialogo tra le corti. Essa è, sì, assolutamente fondamentale, come si desume dall'art. 101/2 Cost., ma è parte e non tutto del sapere giuridico.

    Le dimensioni di questo universo multiforme dovrebbero vedersi riflesse in proporzione - minore all' università, per erigere le fondamenta, maggiore nel post lauream - nella preparazione universitaria.

    Per esemplificare, e per concretizzare quanto detto sopra, propongo quello che secondo me potrebbe essere un buon programma per un esame universitario (complementare) di diritto penale dell'economia.

    Immaginiamo di essere a Padova o a Trento. Il testo base è "Diritto penale dell'impresa" di Ambrosetti et. al. Benché il programma non preveda altro, potremmo figurarci il nostro studente autodidatta immergersi in varii piccoli approfondimenti che lo introducano alle difficoltà dei problemi reali sul piano costituzionale, comunitario, internazionale, storico, etc., avendo sempre e comunque come obiettivo primario il consolidamento delle basi istituzionali e il padroneggiamento della tecnica. Sarà compito degli studi post lauream l'approfondimento il più possibile estensivo.
    Come complemento giurisprudenziale sarebbe ottima Cass. SS. UU. 18/11/14 n. 38343 Thyssenkrupp che richiama un'infinità di questioni di parte generale. Come aggancio alla dimensione internazionale, sarebbe interessante Corte EDU 04/03/14 Grande Stevens in FI, 15, IV, 129.
    A seconda degli interessi poi si potrebbero approfondire varie questioni più minute sui reati fallimentari e societari, oppure, questioni storiche leggendo l'articolo di Bricola "Il costo del principio societas delinquere non potest" del 1970 nella RIDPP (se non rammento male), per esempio, per comprendere la ratio degli interventi legislativi successivi. Il tutto cercando di rilevare le connessioni di vario tipo tra le discipline giuridiche; le partizioni nette sono infatti artificiali, e "in natura" il problema giuridico si presenta spesso in forma complessa. (Per vedere a cosa può portare la mancanza di dialogo tra branche dell' ordinamento si pensi a come sono valutate le relazioni infragruppo nel diritto penale - infedeltà patrimoniale, bancarotta - e nel diritto civile).

    A livello di metodo, lo studente dovrebbe analizzare e scomporre i problemi illustrati nel manuale (da considerarsi come mezzo e non come fine nella preparazione, come guida alla comprensione in prospettiva futura autonoma delle norme) in due piani fondamentali: a] in quello delle dinamiche reali referente concreto delle norme (e qui gioverebbe anche, per esempio, la lettura della sezione "Finanza e mercati" del Sole24Ore nei vari quarti d'ora più o meno accademici) e b] in quello delle interpretazioni della disposizione normativa.

    L' obiettivo sarebbe quello di "vedere" sinteticamente tutte le questioni interpretative e i discorsi intorno alle norme da parte di dottrina e giurisprudenza come derivanti da processi mentali aventi per oggetto la disposizione e le norme da essa ricavabili secondo le varie metodologie possibili (per esempio a tal fine è utilissimo sforzarsi a vivere i problemi, nel diritto penale, dal punto di vista del P.M., dell' avvocato difensore e poi del giudice, e in generale, secondo il punto di vista delle parti implicate nella vicenda giuridica) senza sforzarsi di imparare a memoria le argomentazioni. Infatti, è solo quando si comprende qualcosa in profondità - nelle sue poliedriche relazioni sistematiche - che diventa "naturale" ricordarlo.

    Col tempo, questo sforzo attivo di analisi e sintesi si trasformerà in una forma mentis, e per ogni "istituto" oggetto di attenzione si sarà capaci di individuarne i "profili problematici" e di abbozzarne soluzioni secondo le accennate varie metodologie ermeneuticamente legittime. Ciò che, si vede, è proprio quanto è richiesto in sede di prova scritta. Obbiettivo, questo, che non è necessario raggiungere in pieno e per tutte le materie all'università (ma quanto più, tanto meglio).

    Ciò che lo studio a tale livello dovrebbe lasciare sono infatti non (tanto) le molte nozioni che è umano dimenticare, in parte, se non fondamentali - beninteso - ma la forma mentis problematicizzante e buone capacità di ricerca, prerequisiti necessari per e ancillari (al)lo studio finale di approfondimento ulteriore intensivo ed estensivo.


    Spero di averti fornito qualche spunto, ciao! :)

    Edited by Gufus - 12/5/2017, 15:37
     
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  4. Chica.
     
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    CITAZIONE (Gufus @ 2/4/2017, 23:26) 
    Penso che tu abbia posto una domanda molto interessante.

    Da questo topic [https://aspirantiuditori.forumfree.it/?t=41032641] si possono ricavare consigli da parte di vincitori provenienti dai più disparati lembi d'Italia, ciascuno con propri interessi culturali e giuridici, generali e specifici, laureati in università con diversi programmi, tradizioni, ambienti di studio.

    Tuttavia, ricorre spesso l'affermazione per cui lo studio universitario - rispetto a quello specificamente rivolto alla preparazione concorsuale post lauream, soprattutto in scuole private - sia uno studio prevalentemente manualistico, mnemonico, superficiale, statico.

    Mi chiedo se l'impiego di tale "metodo universitario" sia realmente imposto dall' esigenza di ottenere voti alti negli esami, per le modalità con cui questi sono effettuati, o non consegua piuttosto da una certa iniziale e in parte comprensibile (poi ritenuta per inerzia) immaturità dello studente nelle questioni metodologiche, l'interesse per le quali di solito sorge - nelle sedi prima accennate - dal confronto con la complessità dei nuovi manuali e con la giurisprudenza tipica della preparazione mirata post lauream.

    Quando lo studente di scuola superiore, con la vaga idea di voler provare il concorso, entra all' università, nella maggioranza dei casi non sa in cosa consista la preparazione giuridica (fondamentale è, inoltre, quella culturale) del magistrato. Non può perciò elaborare in via definitiva e particolareggiata una mappa di questo lungo sentiero irto di ostacoli.

    È, l'organizzazione dello studio, un processo dialettico, empirico, che si affina con il maturare della concezione circa le difficoltà delle varie discipline e delle loro intersezioni, circa i propri interessi culturali e giuridici, circa il ruolo del magistrato nella società odierna.

    Mi chiedo tuttavia se esista un modello generico di preparazione cui aspirare e cui ciascuno possa rapportare il metodo nello studio per il concorso, sufficientemente preciso da fungere da guida, ma abbastanza flessibile da adattarsi alle esigenze peculiari ad ognuno.

    Una prima constatazione deriva dall'analisi del contesto istituzionale e storico odierno. Certamente, fare il magistrato oggi, non è fare il magistrato nell'Italia giolittiana di inizio '900, quando non era immaginabile che la legge stessa potesse essere sindacata - vigente ancora lo Statuto Albertino - e l'Unione Europea era il sogno letterario e politico di poche menti illuminate.
    Può sembrare banale, ma in realtà in molti casi i programmi di esame, e soprattutto i contenuti delle lezioni, per lo più frontali (mai esistite nella storia nella loro attuale forma passiva: è tradizione medievale di derivazione scolastica, invece, il dinamico metodo della quaestio) non tengono conto del sistema di ordinamenti di cui fa parte la nostra Repubblica e delle relazioni tra le istituzioni ad essa interne. Si insegna il diritto come se il codice fosse principio e termine del sapere giuridico, o peggio, come se questo sapere consistesse nella mera capacità di esporre superficialmente il dettato della disposizione normativa. Si adotta una impostazione positivista nel senso più restrittivo e unidimensionale. Una prospettiva che facilita il metodo manualistico, mnemonico, superficiale, statico cui accennavano molti vincitori.
    E probabilmente ciò è dovuto al fatto che sono palesemente troppi gli studenti iscritti nelle facoltà giuridiche col risultato che i professori diventano meno esigenti e gli studenti più bravi perdono la misura di quello che dovrebbe essere il loro livello adeguato di preparazione.

    Oggi il magistrato è chiamato (in certi casi) a servirsi di ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale e alla CGE come strumenti attraverso cui proporre modifiche sostanziali dell' ordinamento giuridico, più o meno vaste. Ciò può sembrare marginale, in un ottica lavorativa quotidiana, ma ha un'importanza fondamentale nella costruzione di un'adeguata metodologia di studio, la quale ruota attorno al concetto complesso di "legge".

    L'aspirante magistrato dovrebbe quindi prepararsi non solo per passare le prove scritte in tre materie fondamentali, ma per svolgere al meglio le proprie funzioni (il superamento delle prove scritte è un inizio, non una fine), tra cui, appunto, quelle di impulso ai giudizi di legittimità costituzionale e, sempre più importanti oggi, di sindacato diffuso in funzione di organo giurisdizionale europeo, le quali, per l'importanza delle conseguenze che possono generare, richiedono coscienza puntigliosa delle proprie responsabilità.

    La legge infatti è come un iceberg: è la manifestazione di un procedimento che affonda le proprie vaste radici nella realtà sociale e culturale, da comprendere per poterla interpretare e applicare in modo adeguato, e per poterla "criticare", se necessario, con gli strumenti che l'ordinamento appronta per il dialogo tra le corti. Essa è, sì, assolutamente fondamentale, come si desume dall'art. 101/2 Cost., ma è parte e non tutto del sapere giuridico.

    Le dimensioni di questo universo multiforme dovrebbero vedersi riflesse in proporzione - minore all' università, per erigere le fondamenta, maggiore nel post lauream - nella preparazione universitaria.

    Per esemplificare, e per concretizzare quanto detto sopra, propongo quello che secondo me potrebbe essere un buon programma per un' esame universitario (complementare) di diritto penale dell'economia.

    Immaginiamo di essere a Padova o a Trento. Il testo base è "Diritto penale dell'impresa" di Ambrosetti et. al. Benché il programma non preveda altro, potremmo figurarci il nostro studente autodidatta immergersi in varii piccoli approfondimenti che lo introducano alle difficoltà dei problemi reali sul piano costituzionale, comunitario, internazionale, storico, etc., avendo sempre e comunque come obiettivo primario il consolidamento delle basi istituzionali e il padroneggiamento della tecnica. Sarà compito degli studi post lauream l'approfondimento il più possibile estensivo.
    Come complemento giurisprudenziale sarebbe ottima Cass. SS. UU. 18/11/14 n. 38343 Thyssenkrupp che richiama un'infinità di questioni di parte generale. Come aggancio alla dimensione internazionale, sarebbe interessante Corte EDU 04/03/14 Grande Stevens in FI, 15, IV, 129.
    A seconda degli interessi poi si potrebbero approfondire varie questioni più minute sui reati fallimentari e societari, oppure, questioni storiche leggendo l'articolo di Bricola "Il costo del principio societas delinquere non potest" del 1970 nella RIDPP (se non rammento male), per esempio, per comprendere la ratio degli interventi legislativi successivi. Il tutto cercando di rilevare le connessioni di vario tipo tra le discipline giuridiche; le partizioni nette sono infatti artificiali, e "in natura" il problema giuridico si presenta spesso in forma complessa. (Per vedere a cosa può portare la mancanza di dialogo tra branche dell' ordinamento si pensi a come sono valutate le relazioni infragruppo nella bancarotta - diritto penale - e nel diritto civile).

    A livello di metodo, lo studente dovrebbe analizzare e scomporre i problemi illustrati nel manuale (da considerarsi come mezzo e non come fine nella preparazione, come guida alla comprensione in prospettiva futura autonoma delle norme) in due piani fondamentali: a] in quello delle dinamiche reali referente concreto delle norme (e qui gioverebbe anche, per esempio, la lettura della sezione "Finanza e mercati" del Sole24Ore nei vari quarti d'ora più o meno accademici) e b] in quello delle interpretazioni della disposizione normativa.

    L' obiettivo sarebbe quello di "vedere" sinteticamente tutte le questioni interpretative e i discorsi intorno alle norme da parte di dottrina e giurisprudenza come derivanti da processi mentali aventi per oggetto la disposizione e le norme da essa ricavabili secondo le varie metodologie possibili (per esempio a tal fine è utilissimo sforzarsi a vivere i problemi, nel diritto penale, dal punto di vista del P.M., dell' avvocato difensore e poi del giudice, e in generale, secondo il punto di vista delle parti implicate nella vicenda giuridica) senza sforzarsi di imparare a memoria le argomentazioni. Infatti, è solo quando si comprende qualcosa in profondità - nelle sue poliedriche relazioni sistematiche - che diventa "naturale" ricordarlo.

    Col tempo, questo sforzo attivo di analisi e sintesi si trasformerà in una forma mentis, e per ogni "istituto" oggetto di attenzione si sarà capaci di individuarne i "profili problematici" e di abbozzarne soluzioni secondo le accennate varie metodologie ermeneuticamente legittime. Ciò che, si vede, è proprio quanto è richiesto in sede di prova scritta. Obbiettivo, questo, che non è necessario raggiungere in pieno e per tutte le materie all'università (ma quanto più, tanto meglio).

    Ciò che lo studio a tale livello dovrebbe lasciare sono infatti non (tanto) le molte nozioni che è umano dimenticare, in parte, se non fondamentali - beninteso - ma la forma mentis problematicizzante e buone capacità di ricerca, prerequisiti necessari per e ancillari (al)lo studio finale di approfondimento ulteriore intensivo ed estensivo.


    Spero di averti fornito qualche spunto, ciao! :)

    Ciao! Sei stato gentilissimo e anche molto chiaro! Io sono ancora all'università. Si portano avanti anche 5 esami per volta e, ovviamente,è davvero difficile approfondire tutto. In ogni caso, i tuoi consigli mi saranno preziosi. Vorrei proprio, per quanto mi sarà possibile nel tempo che mi separa dalla preparazione effettiva del concorso, iniziare a ragionare, a collegare i concetti, capacità che mi sarà utile qualunque sarà poi la mia strada! :D
     
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    So che non c'entra totalmente con la domanda che hai fatto, ma ero curioso di sapere come fosse la vita universitaria qualche decennio fa, e nei particolari, come poteva essere la lezione con un grande maestro (anche a livello di metodo - e qui solo stà la rilevanza con quanto hai domandato), e quale lo spirito degli studenti, e ho trovato questo di interessante: Consolo "passeggiate e passacaglie", Cicu "Giuseppe Messina" in RTDPC 1947 (in memoriam del giurista siciliano "sostanzialmente autodidatta") e AA.VV. "Colloqui in ricordo di Michele Giorgianni" (il contributo di Francesco Astone, in particolare, "ricordi di uno studente") [questi libri e articoli si trovano in biblioteca].

    Mi ha colpito molto, di questi due ultimi, la rievocazione dello spirito collaborativo tra studenti, che non si limitava al superamento dell'esame, ma era amicizia nell'amore per la virtù e la scienza, come la intendeva Cicerone nel suo dialogo in thema.

    Buonaserata!

    Edited by Gufus - 30/1/2018, 19:57
     
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