Tracce pareri diritto penale

sessione 2011-2012

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    TRACCIA 1
    Sempronio, maresciallo della stazione dei carabinieri del comune di Delta, avvalendosi della propria casella di posta elettronica non certificata, con dominio riferito al proprio ufficio e accesso riservato, mediante password, invia all'ufficio dell'anagrafe del comune una e-mail, da lui sottoscritta con la quale chiede che gli siano forniti tutti gli elenchi di tutti gli individui di sesso maschile e femminile nati negli anni 1993 e 1994, precisando che tale informazioni sono necessarie per lo svolgimento di un’indagine di polizia giudiziaria, indicando il numero di procedimento penale di riferimento della locale procura della repubblica.

    Di tale richiesta viene casualmente a conoscenza il comandante della stazione, il quale intuisce immediatamente, come poi effettivamente si accerterà, che non esiste alcuna indagine che richiede quel genere di accertamento.

    Si accerta altresì che Caia, moglie del maresciallo Sempronio è titolare di un'autoscuola, sicché l'acquisizione dei nominativi dei residenti nel comune che da poco hanno compiuto o si accingono a compiere la maggiore età è finalizzata ad indirizzare mirate proposte pubblicitarie per i corsi di guida.

    Di tanto il maresciallo Sempronio rende un ampia confessione mediante memoria scritta indirizzata al pubblico ministero. In seguito temendo le conseguenze penali del fatto commesso, Sempronio si rivolge ad un avvocato.

    Il candidato, assunte le vesti del legale, analizzato il fatto valuti le fattispecie eventualmente configurabili redigendo motivato parere.

    ***********

    TRACCIA 2
    Il 20 gennaio del 2011 Tizio riceve da Caio della merce in conto vendita. I contraenti convengono che Tizio debba esporre la merce nel proprio negozio, al fine di venderla ad un prezzo preventivamente determinato, nel termine di 4 mesi.

    L'accordo negoziale prevede che, alla scadenza stabilita, tizio debba corrispondere a Caio il prezzo concordato, ovvero restituire la merce rimasta invenduta.

    Nel corso dei 4 mesi Tizio e Caio continuano ad intrattenere regolarmente rapporti commerciali, nonché di personale frequentazione sicché, alla scadenza del termine pattuito per la eventuale restituzione della merce rimasta invenduta, Caio non domanda nulla in merito alla esecuzione del primitivo contratto, ne' Tizio lo rende edotto del fatto che la merce e' rimasta totalmente invenduta.

    Soltanto agli inizi del mese di luglio, a seguito di una discussione per divergenze di opinione in merito ad altri affari, Caio chiede conto della avvenuta esecuzione del contratto, ricevendo da Tizio risposte evasive. Alla fine del mese di luglio i rapporti tra i due si rompono definitivamente.

    Al rientro dalle vacanze estive Caio fa un ulteriore tentativo di contattare Tizio per la restituzione della merce ovvero del corrispettivo e apprende dalla segretaria di tizio che la merce e' rimasta invenduta.

    Decide quindi di tutelare le proprie ragioni in sede penale.

    Il candidato assunte le vesti di legale di Caio rediga motivato parere analizzando la fattispecie configurabile nel caso esposto, soffermandosi in particolare sulle problematiche correlate alla procedibilità dell'azione penale.




    CITAZIONE
    da diritto e processo
    SVOLGIMENTO n. 2

    Per poter dare una risposta al quesito giuridico proposto in favore del sig. Caio dovrà verificarsi se la condotta del sig. Tizio configuri il reato di appropriazione indebita, e se lo stesso sia perseguibile giudizialmente.

    Tizio, il 20 gennaio 2011, riceve in conto vendita da Caio della merce da esporre nel proprio negozio, al fine di venderla ad un prezzo preventivamente determinato, nel termine di 4 mesi.

    Soltanto dopo diversi mesi, al rientro dalle vacanze estive, Caio viene a sapere che la merce è rimasta invenduta e che Tizio con varie scuse non vuole restituirgliela.

    La fattispecie descritta configura il reato di appropriazione indebita disciplinato dall’art. 646 cp, e che si sostanzia nella condotta di chi, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui. È necessario che l’autore del reato abbia, a qualsiasi titolo, almeno il possesso del bene.

    Secondo la tesi maggioritaria non è necessario che la situazione di possesso sia qualificabile secondo il corrispondente civilistico. Si afferma che mentre il possesso di nozione civilistica esige il concorso dell'elemento materiale ovvero la disponibilità e potere fisico sulla cosa, e dell'elemento spirituale ovverosia il proposito di comportarsi come titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale, il corrispondente penalistico ex art. 646 cp è comprensivo della detenzione a qualsiasi titolo (come ad esempio in caso di locazione, comodato, deposito, mandato) (Cass., n. 6937/2011).

    A tal fine affinchè si abbia possesso, in senso penalistico, occorre pur sempre che la detenzione si esplichi comunque al di fuori della diretta vigilanza del possessore e di altri che abbia sulla cosa un potere giuridico maggiore.

    Da quanto a noi noto il rapporto giuridico instaurato tra Tizio e Caio configura un contratto di conto vendita, per cui alla consegna della merce, sorge in capo a Tizio l’obbligo di custodirla. Al momento della dazione corrisponde pertanto il passaggio della facultas possidenti: questi infatti se civilisticamente sarà un detentore qualificato, ai fini della configurabilità del delitto in parola ha il “possesso” della merce ex art. 646.

    Il bene oggetto del reato deve essere costituito dal denaro o da altro bene mobile comunque suscettibile di fisica apprensione (Cass. n. 33839/2011).

    Per la configurabilità del reato di appropriazione indebita dovrà verificarsi la sussistenza del dolo che non necessariamente dovrà tradursi nell’animus possidenti, di civilistica valutazione, né tantomeno nella volontà di possedere uti dominus tipica dell’interventio possessionis.

    Il reato ex art. 646 è punito, a querela della persona offesa.

    Nel caso prospettato il tempus commissi delicti si cristallizza il 20 gennaio del 2011: da tale data la persona offesa dal delitto, il sig Caio, potrà presentare querela all’autorità giudiziaria.

    L'art. 124 c.p. prescrive che la querela deve essere presentata nel termine perentorio di tre mesi dalla notizia del fatto costituente reato.

    La giurisprudenza ha chiarito che tale termine comincia a decorrere dalla effettiva conoscenza del fatto che ha la persona offesa, anche in relazione alla sua qualifica di reato e alla individuazione dell'autore.

    Inoltre, l'onere di provare che la querela è stata proposta non tempestivamente grava su chi vuole far valere la decadenza, e l'eventuale incertezza deve essere interpretata a favore del querelante.

    Sembra pertanto che la scoperta fatta a fine luglio 2011 che le scuse di Tizio in realtà nascondevano un’appropriazione indebita non dia la possibilità di agire giudizialmente contro lo stesso per decadenza dal diritto d’azione visto che il sig. Caio non ha presentato querela.

    Tuttavia sovviene in aiuto dell’interprete il 3 comma dell’art 646, per cui l’appropriazione indebita sarà procedibile d'ufficio, se ricorre la circostanza ex art. 61, n. 11, che disciplina l’aggravante generica relativa all'avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione, o di ospitalità.

    La questio iuris su cui si incentra il caso proposto, pertanto, ruota sulla possibilità di configurare il contratto di conto vendita quale ipotesi aggravante ex art. 61, n. 11 in caso di appropriazione indebita.

    Tra le varie ipotesi tassativamente indicate nell’art. 61, n. 11 il rapporto giuridico sorto tra Tizio e Caio può essere qualificato come prestazione d’opera.

    Anche in tal caso la nozione penalistica di “prestazione d’opera” non deve essere intesa nel senso strettamente civilistico: sul punto, infatti, la Cassazione afferma che per la configurabilità della circostanza aggravante prevista dall'art. 61 n. 11 c.p., l'espressione "abuso di relazioni di prestazione d'opera" si riferisce, oltre all'ipotesi di un contratto di lavoro, a tutti i rapporti giuridici che comportino l'obbligo di un "facere" e che determino l’insorgere un rapporto di fiducia dal quale possa essere agevolata la commissione del fatto (Cassazione, sez. II, 17 gennaio 2011, n. 989).

    Da ciò consegue che il reato configurabile nella condotta del sig. Tizio sarà quello di appropriazione indebita aggravata ex art. 61, n. 11, per cui anche in mancanza di querela della persona offesa, l’azione penale sarà procedibile d’ufficio.

    Tanto detto presuppone che anche nell’ipotesi in cui la relazione negoziale tra Tizio e Caio sia risolta con la restituzione della merce, e pur’anche il sig. Caio avesse proposto querela poi successivamente rimessa, la perseguibilità del fatto di reato non viene meno.

    Alla luce di quanto illustrato il sig. Caio potrà notiziare l’autorità giudiziaria con denunzia-querela della sussistenza del reato di appropriazione indebita aggravata commessa dal sig. Tizio nei suoi confronti, ed il reato sarà perseguibile d’ufficio.

    http://www.dirittoeprocesso.com/index.php?...monio&Itemid=95



    Edited by togasana - 14/12/2011, 20:06
     
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    svolgimento traccia n 1
    La condotta posta in essere del maresciallo Sempronio può integrare astrattamente una serie di reati contro la P.A. che sono nell’ordine il delitto di tentato abuso d’ufficio, quello di peculato e di falso ideologico.

    Urge, però, chiarire nello specifico le singole ipotesi evidenziando le criticità in merito al loro perfezionamento.

    In primo luogo è necessario sottolineare che la natura propria dei reati, data la qualifica del soggetto attivo, fa si che gli stessi si possano in linea teorica configurare.

    Andando in ordine, però, è doveroso analizzare specificamente tutti gli aspetti caratterizzante i delitti elencati.

    Per il tentativo di abuso d’ufficio, infatti, andranno valutati in combinato disposto gli artt. 56 e 323 c.p.

    Bisognerà prendere in considerazione non solo gli elementi costitutivi del fatto tipico ex art. 323 c.p. ma anche quelli tipici del tentativo di delitto ovvero l’idoneità e la non equivocità degli atti.

    Per giurisprudenza consolidata l’elemento oggettivo del reato di abuso di ufficio si realizza qualora l’abuso integri attraverso l’esercizio da parte del pubblico ufficiale di un potere per scopi diversi da quelli imposti dalla natura della funzione ad esso attribuita (Confr. Cass. Pen., sez. II, 2 marzo 2006 n. 7600, Cass. Pen., sez. VI, 111 marzo 2005, n. 12196 ).

    Volendo sintetizzare la dottrina maggioritaria nonché la giurisprudenza, già precedentemente richiamata, reputano che la condotta dell’abuso di ufficio si identifichi con l’ “abuso funzionale” ovvero con l’esercizio dei poteri e dei mezzi inerenti una funzione pubblica per finalità differenti da quelle per le quali il potere è concesso (Cass. Pen., sez. VI 16 ottobre 1995- 10 gennaio 1996 n. 607; Cass. Pen. 04 giugno 1997- 08 giugno 1998 n. 6753; 14 novembre 2001-17 gennaio 2002 n. 1905).

    Detto ciò appare lapalissiano come il maresciallo Sempronio abbia agito al di fuori delle funzioni proprie e per scopi diversi da quelli attinenti al suo dovere: voleva infatti favorire il coniuge titolare di una scuola guida.

    La condotta posta in essere, però, non si è perfezionata integralmente dato che non si evince dal dato fattuale che questi elenchi siano stati ottenuti dal maresciallo e, a sua volta, da questi girati al coniuge per utilizzarli.

    Ecco perché si può parlare di tentativo e non di abuso di ufficio tout court.

    Quanto all’elemento soggettivo del tentativo di abuso d’ufficio andrà considerato, per giurisprudenza consolidata, o quale dolo diretto o laddove vi fossero difficoltà interpretative quale dolo alternativo in modo tale che quest’ultimo sarà sempre sovrapponibile al fatto tipico di reato.

    Il tentativo di abuso d’ufficio, pertanto, sarà sempre configurabile.

    L’aver inviato dalla sua casella di posta elettronica non certificata, con dominio riferito al proprio ufficio ed accesso riservato mediante password, una mail all’ufficio anagrafe del comune appare un atto “idoneo” e “diretto” a commettere il delitto di base legato principalmente all’ingiustizia del vantaggio da ottenere.

    A conferma di quanto affermato si consideri quanto la Suprema Corte di Cassazione ha statuito sul punto affermando a più riprese come la configurabilità del delitto tentato deve essere valutata con giudizio ex ante tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agente e le modalità dell’azione in modo da determinare la reale adeguatezza causale alla lesione del bene giuridico protetto (Cass. Pen. sez. I, sent. n. 27918/2010).

    La non equivocità, inoltre, si desume dalla specifica richiesta degli elenchi afferenti tutti gli individui nati negli anni 1993-1994 ovvero di tutti coloro che in quel comune hanno appena compiuto o stanno per compiere diciotto anni, età necessaria per l’ottenimento della patente di guida.

    La giurisprudenza di legittimità anche qui ha più volte sostenuto come il requisito dell’univocità va accertato ricostruendo, sulla base delle prove disponibili, la direzione teleologica della volontà dell’agente quale emerge dalle modalità di estrinsecazione concreta della sua azione, allo scopo di accertare quale sia stato il risultato da lui avuto di mira (Cass. pen., sez. IV, n. 7702/07).

    In merito al reato di peculato è doveroso segnalare come lo stesso è pacificamente integrabile sia per ciò che concerne l’elemento oggettivo che quello soggettivo anche se lo stesso appare “inoffensivo” ex art. 49 comma 2 c.p..

    Per parte della giurisprudenza, infatti, la cosa mobile altrui di cui l’agente si appropria deve avere valore apprezzabile posto che le cose prive di valore o di valore modesto non rivestono alcun valore rilevante (Cass. Pen., sez. VI, sent. n. 37018/02).

    Quest’ultima tesi sarebbe quella più congeniale per la posizione di Sempronio atteso che, il considerare il tentativo di abuso d’ufficio assorbente rispetto al reato di peculato, appare scartato dalla recente giurisprudenza sia in ordine al fatto tipico che al bene giuridico tutelato.

    Le due norme sono da considerarsi in concorso: il delitto di peculato ex art. 314 c.p., infatti, ha una condotta consistente principalmente nell’appropriazione di danaro o di altra cosa mobile di cui il responsabile abbia il possesso o la disponibilità per le ragioni del suo ufficio.

    La casella mail con il dominio del proprio ufficio è tale in virtù dell’utilizzo che della stessa si fa.

    L’aver utilizzato la casella mail ed il non averlo fatto momentaneamente, attesa l’impossibilità di restituire la mail inviata, per ottenere vantaggi diversi ne determina un’appropriazione effettiva che come tale configura il reato di peculato.

    Resta da analizzare il reato di falso ideologico ipotizzabile a seguito delle irreali informazioni relative ad un procedimento penale mai avviato.

    Il reato di falso ideologico, però, ex artt. 479, 480 cp deve essere commesso dal pubblico ufficiale in atti pubblici od in certificati e/o autorizzazioni amministrative.

    Tali delitti non appaiono configurabili per via del carattere non ufficiale della mail che nel caso di specie non è posta certificata, seppur ricollegabile ad un dominio riferito ad un ufficio pubblico.

    Nel caso di specie si assisterebbe ad un falso in un atto privato non essendoci l’equiparazione all’atto pubblico ed alla valenza che la legge ha dato alla posta certificata.

    In questo caso non si sarebbe di fatto integrata la condotta tipica di reato o laddove la stessa la si considerasse comunque integrata assisteremmo ad un ipotesi di reato impossibile dato dall’inesistenza dell’oggetto.

    Alla luce di ciò appare configurabile in capo al maresciallo Sempronio l’ipotesi delittuosa del tentativo di abuso d’ufficio che, laddove non si propendesse per l’inoffensività del peculato, potrebbe concorrere con quest’ultimo.

    www.dirittoeprocesso.com/index.php?...-2011&Itemid=50

    http://www.dirittoeprocesso.com/index.php?...ione&Itemid=107

     
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  3. Satanspond
     
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    CITAZIONE (togasana @ 14/12/2011, 18:32) 
    da diritto e processo
    SVOLGIMENTO n. 2

    Per poter dare una risposta al quesito giuridico proposto in favore del sig. Caio dovrà verificarsi se la condotta del sig. Tizio configuri il reato di appropriazione indebita, e se lo stesso sia perseguibile giudizialmente.

    Tizio, il 20 gennaio 2011, riceve in conto vendita da Caio della merce da esporre nel proprio negozio, al fine di venderla ad un prezzo preventivamente determinato, nel termine di 4 mesi.

    Soltanto dopo diversi mesi, al rientro dalle vacanze estive, Caio viene a sapere che la merce è rimasta invenduta e che Tizio con varie scuse non vuole restituirgliela.

    La fattispecie descritta configura il reato di appropriazione indebita disciplinato dall’art. 646 cp, e che si sostanzia nella condotta di chi, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui. È necessario che l’autore del reato abbia, a qualsiasi titolo, almeno il possesso del bene.

    Secondo la tesi maggioritaria non è necessario che la situazione di possesso sia qualificabile secondo il corrispondente civilistico. Si afferma che mentre il possesso di nozione civilistica esige il concorso dell'elemento materiale ovvero la disponibilità e potere fisico sulla cosa, e dell'elemento spirituale ovverosia il proposito di comportarsi come titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale, il corrispondente penalistico ex art. 646 cp è comprensivo della detenzione a qualsiasi titolo (come ad esempio in caso di locazione, comodato, deposito, mandato) (Cass., n. 6937/2011).

    A tal fine affinchè si abbia possesso, in senso penalistico, occorre pur sempre che la detenzione si esplichi comunque al di fuori della diretta vigilanza del possessore e di altri che abbia sulla cosa un potere giuridico maggiore.

    Da quanto a noi noto il rapporto giuridico instaurato tra Tizio e Caio configura un contratto di conto vendita, per cui alla consegna della merce, sorge in capo a Tizio l’obbligo di custodirla. Al momento della dazione corrisponde pertanto il passaggio della facultas possidenti: questi infatti se civilisticamente sarà un detentore qualificato, ai fini della configurabilità del delitto in parola ha il “possesso” della merce ex art. 646.

    Il bene oggetto del reato deve essere costituito dal denaro o da altro bene mobile comunque suscettibile di fisica apprensione (Cass. n. 33839/2011).

    Per la configurabilità del reato di appropriazione indebita dovrà verificarsi la sussistenza del dolo che non necessariamente dovrà tradursi nell’animus possidenti, di civilistica valutazione, né tantomeno nella volontà di possedere uti dominus tipica dell’interventio possessionis.

    Il reato ex art. 646 è punito, a querela della persona offesa.

    Nel caso prospettato il tempus commissi delicti si cristallizza il 20 gennaio del 2011: da tale data la persona offesa dal delitto, il sig Caio, potrà presentare querela all’autorità giudiziaria.

    L'art. 124 c.p. prescrive che la querela deve essere presentata nel termine perentorio di tre mesi dalla notizia del fatto costituente reato.

    La giurisprudenza ha chiarito che tale termine comincia a decorrere dalla effettiva conoscenza del fatto che ha la persona offesa, anche in relazione alla sua qualifica di reato e alla individuazione dell'autore.

    Inoltre, l'onere di provare che la querela è stata proposta non tempestivamente grava su chi vuole far valere la decadenza, e l'eventuale incertezza deve essere interpretata a favore del querelante.

    Sembra pertanto che la scoperta fatta a fine luglio 2011 che le scuse di Tizio in realtà nascondevano un’appropriazione indebita non dia la possibilità di agire giudizialmente contro lo stesso per decadenza dal diritto d’azione visto che il sig. Caio non ha presentato querela.

    Tuttavia sovviene in aiuto dell’interprete il 3 comma dell’art 646, per cui l’appropriazione indebita sarà procedibile d'ufficio, se ricorre la circostanza ex art. 61, n. 11, che disciplina l'aggravante generica relativa all'avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione, o di ospitalità.

    La questio iuris su cui si incentra il caso proposto, pertanto, ruota sulla possibilità di configurare il contratto di conto vendita quale ipotesi aggravante ex art. 61, n. 11 in caso di appropriazione indebita.

    Tra le varie ipotesi tassativamente indicate nell’art. 61, n. 11 il rapporto giuridico sorto tra Tizio e Caio può essere qualificato come prestazione d’opera.

    Anche in tal caso la nozione penalistica di “prestazione d’opera” non deve essere intesa nel senso strettamente civilistico: sul punto, infatti, la Cassazione afferma che per la configurabilità della circostanza aggravante prevista dall'art. 61 n. 11 c.p., l'espressione "abuso di relazioni di prestazione d'opera" si riferisce, oltre all'ipotesi di un contratto di lavoro, a tutti i rapporti giuridici che comportino l'obbligo di un "facere" e che determino l’insorgere un rapporto di fiducia dal quale possa essere agevolata la commissione del fatto (Cassazione, sez. II, 17 gennaio 2011, n. 989).

    Da ciò consegue che il reato configurabile nella condotta del sig. Tizio sarà quello di appropriazione indebita aggravata ex art. 61, n. 11, per cui anche in mancanza di querela della persona offesa, l’azione penale sarà procedibile d’ufficio.

    Tanto detto presuppone che anche nell’ipotesi in cui la relazione negoziale tra Tizio e Caio sia risolta con la restituzione della merce, e pur’anche il sig. Caio avesse proposto querela poi successivamente rimessa, la perseguibilità del fatto di reato non viene meno.

    Alla luce di quanto illustrato il sig. Caio potrà notiziare l’autorità giudiziaria con denunzia-querela della sussistenza del reato di appropriazione indebita aggravata commessa dal sig. Tizio nei suoi confronti, ed il reato sarà perseguibile d’ufficio.

    www.dirittoeprocesso.com/index.php?...monio&Itemid=95

    Solo per questo l'avvocato del rescritto estensore è da bocciare.
     
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  4. taratat
     
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    Secondo me, il parere si poteva impostare in due modi che, se giuridicamente e logicamente argomentati, potevano andar bene entrambi.1) ipotizzare, come sostenuto da alcuni commissari a Messina, che il reato non si fosse consumato, ritenendo che nè il vano spirare del termine di 4 mesi previsto dal contratto per la restituzione della merce, nè le risposte evasive fornite da Tizio integrassero l'elemento soggettivo dell'interversio possessionis (cioè la volontà del soggetto di non restituire la cosa, tramutando il possesso in dominio). Ciò posto, avremmo dovuto suggerire a Tizio di inviare a Caio formale diffida ad adempiere, chiarendogli che ove quest'ultimo non avesse provveduto, si sarebbe configurata l'appropriazione indebita. A questo punto, avremmo potuto inserire il discorso relativo alla procedibilità, scrivendo che, ove Caio non avesse adempiuto alla diffida, il reato, in assenza di aggravanti, sarebbe stato procedibile a querela entro tre mesi. Senonchè, stante la sussistenza nel caso di specie dell' aggravante di cui all' art.61 n.11 c.p., il reato doveva essere considerato procedibile d'ufficio. 2)ipotizzare(come ho fatto io) che il reato si fosse consumato.A questo punto, però, per fare un parere decente, avremmo dovuto individuare il momento in cui lo ritenevamo consumato.Le opzioni erano tre: a)momento in cui spira il termine previsto dal contratto, b)momento in cui d'estate Tizio fornisce risposte evasive, c) momento in cui avviene il contatto con la segretaria. Secondo me il momento sub A, sebbene ci fosse qualche sentenza della Cassazione che riteneva sufficiente il mero spirare del termine, nel caso di specie, non poteva assurgere a momento consumativo del reato.Vado per logica: se aderissimo a tale tesi, ove mi prestassero una cosa per 10 giorni e alla scadenza del termine io non la restituissi, colui che me l'ha prestata potrebbe all' unidicesimo giorno querelarmi per appropriazione indebita! Secondo me non sta nè il cielo nè in terra. Lo spirare del termine può rilevare solo come mero inadempimento civilistico. Il momento sub B, invece, mi sembra idoneo a determinare la consumazione del reato, in quanto dalla traccia si evince che Tizio chiede a Caio l'esecuzione del contratto e questo fornisce risposte evasive, le quali possono essere considerate sintomo della volontà di non restituire la cosa. Il momento sub C(contatto con la segreteria), a mio parere, rileva non tanto come altro possibile/alternativo momento consumativo (in quanto in questo caso, non c'è una manifestazione di volontà del del presunto reo, bensì della sua segretaria), quanto come dies a quo per proporre la querela; infatti, è solo da quel momento che Tizio ha piena ed effettiva conoscenza del fatto che la merce non è stata venduta e, dunque, acquisisce totale consapevolezza del reato. Dunque, riepilogando: il momento consumativo sarebbe quello sub B(mese di luglio), mentre il dies a quo per la querela sarebbe quello sub C(dopo le vacanze estive, quindi, presumibilmente dopo il 21 settembre). A questo punto, si poteva scrivere:" se Tizio si è rivolto a noi entro il 21 dicembre, sarebbe ancora possibile la querela". Senonchè, si doveva necessariamente evidenziare la ricorrenza nel caso di specie dell'aggravante di cui all'art.61 n.11 c.p., che determina la procedibilità d'ufficio del reato e, dunque, la necessità, non della querela, ma della denuncia(che, come noto,non soggiace al termine di tre mesi).
     
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  5. cpp11
     
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    CITAZIONE (togasana @ 14/12/2011, 20:04) 
    CITAZIONE
    svolgimento traccia n 1
    La condotta posta in essere del maresciallo Sempronio può integrare astrattamente una serie di reati contro la P.A. che sono nell’ordine il delitto di tentato abuso d’ufficio, quello di peculato e di falso ideologico.

    Urge, però, chiarire nello specifico le singole ipotesi evidenziando le criticità in merito al loro perfezionamento.

    In primo luogo è necessario sottolineare che la natura propria dei reati, data la qualifica del soggetto attivo, fa si che gli stessi si possano in linea teorica configurare.

    Andando in ordine, però, è doveroso analizzare specificamente tutti gli aspetti caratterizzante i delitti elencati.

    Per il tentativo di abuso d’ufficio, infatti, andranno valutati in combinato disposto gli artt. 56 e 323 c.p.

    Bisognerà prendere in considerazione non solo gli elementi costitutivi del fatto tipico ex art. 323 c.p. ma anche quelli tipici del tentativo di delitto ovvero l’idoneità e la non equivocità degli atti.

    Per giurisprudenza consolidata l’elemento oggettivo del reato di abuso di ufficio si realizza qualora l’abuso integri attraverso l’esercizio da parte del pubblico ufficiale di un potere per scopi diversi da quelli imposti dalla natura della funzione ad esso attribuita (Confr. Cass. Pen., sez. II, 2 marzo 2006 n. 7600, Cass. Pen., sez. VI, 111 marzo 2005, n. 12196 ).

    Volendo sintetizzare la dottrina maggioritaria nonché la giurisprudenza, già precedentemente richiamata, reputano che la condotta dell’abuso di ufficio si identifichi con l’ “abuso funzionale” ovvero con l’esercizio dei poteri e dei mezzi inerenti una funzione pubblica per finalità differenti da quelle per le quali il potere è concesso (Cass. Pen., sez. VI 16 ottobre 1995- 10 gennaio 1996 n. 607; Cass. Pen. 04 giugno 1997- 08 giugno 1998 n. 6753; 14 novembre 2001-17 gennaio 2002 n. 1905).

    Detto ciò appare lapalissiano come il maresciallo Sempronio abbia agito al di fuori delle funzioni proprie e per scopi diversi da quelli attinenti al suo dovere: voleva infatti favorire il coniuge titolare di una scuola guida.

    La condotta posta in essere, però, non si è perfezionata integralmente dato che non si evince dal dato fattuale che questi elenchi siano stati ottenuti dal maresciallo e, a sua volta, da questi girati al coniuge per utilizzarli.

    Ecco perché si può parlare di tentativo e non di abuso di ufficio tout court.

    Quanto all’elemento soggettivo del tentativo di abuso d’ufficio andrà considerato, per giurisprudenza consolidata, o quale dolo diretto o laddove vi fossero difficoltà interpretative quale dolo alternativo in modo tale che quest’ultimo sarà sempre sovrapponibile al fatto tipico di reato.

    Il tentativo di abuso d’ufficio, pertanto, sarà sempre configurabile.

    L’aver inviato dalla sua casella di posta elettronica non certificata, con dominio riferito al proprio ufficio ed accesso riservato mediante password, una mail all’ufficio anagrafe del comune appare un atto “idoneo” e “diretto” a commettere il delitto di base legato principalmente all’ingiustizia del vantaggio da ottenere.

    A conferma di quanto affermato si consideri quanto la Suprema Corte di Cassazione ha statuito sul punto affermando a più riprese come la configurabilità del delitto tentato deve essere valutata con giudizio ex ante tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agente e le modalità dell’azione in modo da determinare la reale adeguatezza causale alla lesione del bene giuridico protetto (Cass. Pen. sez. I, sent. n. 27918/2010).

    La non equivocità, inoltre, si desume dalla specifica richiesta degli elenchi afferenti tutti gli individui nati negli anni 1993-1994 ovvero di tutti coloro che in quel comune hanno appena compiuto o stanno per compiere diciotto anni, età necessaria per l’ottenimento della patente di guida.

    La giurisprudenza di legittimità anche qui ha più volte sostenuto come il requisito dell’univocità va accertato ricostruendo, sulla base delle prove disponibili, la direzione teleologica della volontà dell’agente quale emerge dalle modalità di estrinsecazione concreta della sua azione, allo scopo di accertare quale sia stato il risultato da lui avuto di mira (Cass. pen., sez. IV, n. 7702/07).

    In merito al reato di peculato è doveroso segnalare come lo stesso è pacificamente integrabile sia per ciò che concerne l’elemento oggettivo che quello soggettivo anche se lo stesso appare “inoffensivo” ex art. 49 comma 2 c.p..

    Per parte della giurisprudenza, infatti, la cosa mobile altrui di cui l’agente si appropria deve avere valore apprezzabile posto che le cose prive di valore o di valore modesto non rivestono alcun valore rilevante (Cass. Pen., sez. VI, sent. n. 37018/02).

    Quest’ultima tesi sarebbe quella più congeniale per la posizione di Sempronio atteso che, il considerare il tentativo di abuso d’ufficio assorbente rispetto al reato di peculato, appare scartato dalla recente giurisprudenza sia in ordine al fatto tipico che al bene giuridico tutelato.

    Le due norme sono da considerarsi in concorso: il delitto di peculato ex art. 314 c.p., infatti, ha una condotta consistente principalmente nell’appropriazione di danaro o di altra cosa mobile di cui il responsabile abbia il possesso o la disponibilità per le ragioni del suo ufficio.

    La casella mail con il dominio del proprio ufficio è tale in virtù dell’utilizzo che della stessa si fa.

    L’aver utilizzato la casella mail ed il non averlo fatto momentaneamente, attesa l’impossibilità di restituire la mail inviata, per ottenere vantaggi diversi ne determina un’appropriazione effettiva che come tale configura il reato di peculato.

    Resta da analizzare il reato di falso ideologico ipotizzabile a seguito delle irreali informazioni relative ad un procedimento penale mai avviato.

    Il reato di falso ideologico, però, ex artt. 479, 480 cp deve essere commesso dal pubblico ufficiale in atti pubblici od in certificati e/o autorizzazioni amministrative.

    Tali delitti non appaiono configurabili per via del carattere non ufficiale della mail che nel caso di specie non è posta certificata, seppur ricollegabile ad un dominio riferito ad un ufficio pubblico.

    Nel caso di specie si assisterebbe ad un falso in un atto privato non essendoci l’equiparazione all’atto pubblico ed alla valenza che la legge ha dato alla posta certificata.

    In questo caso non si sarebbe di fatto integrata la condotta tipica di reato o laddove la stessa la si considerasse comunque integrata assisteremmo ad un ipotesi di reato impossibile dato dall’inesistenza dell’oggetto.

    Alla luce di ciò appare configurabile in capo al maresciallo Sempronio l’ipotesi delittuosa del tentativo di abuso d’ufficio che, laddove non si propendesse per l’inoffensività del peculato, potrebbe concorrere con quest’ultimo.

    www.dirittoeprocesso.com/index.php?...-2011&Itemid=50

    www.dirittoeprocesso.com/index.php?...ione&Itemid=107

    Ho qualche dubbio su questa soluzione: il 323 richiede il solo dolo intenzionale, non anche quello diretto e l'alternativo. Poi il peculato non potrebbe concorrere con l'abuso d'ufficio che è fattispecuie residuale. Senza contare che non hanno preso minimamente in considerazione il 615ter...

    Che ne dite?
     
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4 replies since 14/12/2011, 18:28   242 views
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