appropriazione indebita

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  1. adamclayton
     
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    Qualcuno é in grado di indicarmi se esistono altre sentenze oltre alla recente Tribunale di Milano, sez. III penale, sent. nr. 10343 del 24 settembre 2018 che affermino che l'amministratore condominiale per appropriazione ind. può essere querelato solo dall'assemblea/condominio e non dai singoli condimini ? Vi ringrazio
     
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  2. stracàsso
     
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    Querela: l’amministratore di condominio non è legittimato a proporla senza specifico incarico dell’assemblea

    E’ necessario uno specifico incarico conferito all’amministratore per la valida presentazione di una querela in relazione a un reato commesso in danno del patrimonio condominiale.
    Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione – sezione sesta penale – con sentenza n. 2347 del 18 dicembre 2015 depositata il 20 gennaio 2016

    Querela: l’amministratore di condominio non è legittimato a proporla senza specifico incarico dell’assemblea
    Il caso
    La terza sezione penale della Corte di Appello di Catania riformava la sentenza con la quale il Tribunale di Catania aveva riconosciuto un imputato colpevole del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art.388, comma 2, cod. pen.) e, accogliendo l’appello dell’imputato, dichiarava non doversi procedere per mancanza di valida querela.
    A questa conclusione la Corte perveniva ritenendo che l’amministratore del condominio danneggiato dalla condotta attribuita all’imputato avesse sporto querela non valida poiché privo della procura speciale richiesta dagli artt.336 e 122 cod.proc.pen.
    In particolare, evidenziava che nel numero sette del verbale di assemblea del condominio era scritto “l’assemblea, per le opere realizzate dal condomino (Omissis), per le ulteriori eventuali azioni da intraprendere si riserva di attendere le risultanze delle attività peritali che verranno svolte domani 31 ottobre, conferendo ogni più ampio mandato all’amministratore per la miglior tutela del condominio stesso”, osservando che una tale generica delega, peraltro nell’attesa della summenzionata attività istruttoria, non valeva a costituire una procura speciale.
    Il ricorso della parte civile
    Nel ricorso presentato nell’interesse della parte civile si chiedeva l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata lamentando inosservanza e erronea applicazione della legge (art.606 lett.b, cod.proc.pen.), in relazione agli art.75 cod.proc.civ., 36 cod.civ. e 336 e 122 cod.proc.pen., assumendo che la delibera dell’assemblea del condominio sopra richiamata valesse idoneamente a conferire all’amministratore del condominio il potere di tutelare gli interessi del condominio.
    Le ragioni della decisione
    Ricordano gli Ermellini che poiché il condominio degli edifici non è un soggetto giuridico dotato di una personalità distinta da quella dei suoi partecipanti ma uno strumento di gestione collegiale degli interessi comuni dei condomini, la volontà di presentare querela per un fatto lesivo di uno di questi interessi comuni deve esprimersi attraverso tale strumento di gestione collegiale.
    Le funzioni dell’amministratore
    Per la Corte regolatrice, l’amministratore esplica, come mandatario dei condomini, soltanto le funzioni esecutive, amministrative, di gestione e di tutela dei beni e servizi a lui attribuite dalla legge, dal regolamento di condominio o dall’assemblea, ex artt.1130 e 1131, comma 1, cod.civ., e esclusivamente nell’ambito di queste ha la rappresentanza dei condomini e può agire in giudizio.
    La querela non rientra tra gli atti di gestione dei beni o di conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio.
    Secondo i giudici di piazza Cavour, anche quando concerne un fatto lesivo del patrimonio condominiale, la querela non rientra tra gli atti di gestione dei beni o di conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio e, poiché costituisce un presupposto della validità del promovimento dell’azione penale e non un mezzo di cautela processuale o sostanziale e il relativo diritto compete in via strettamente personale alla persona offesa dal reato, deve escludersi che – in assenza dello speciale mandato previsto dagli artt.122 e 336, cod.proc.pen. – tale diritto possa essere esercitato da un soggetto diverso dal suo titolare.
    E’ necessario uno specifico incarico conferito all’amministratore per la valida presentazione di una querela in relazione a un reato commesso in danno del patrimonio condominiale.
    Conclusivamente – secondo gli Ermellini – per essere valida, la presentazione di una querela in relazione a un reato commesso in danno del patrimonio condominiale richiede uno specifico incarico conferito all’amministratore dall’assemblea del condomini (Cass.pen.: Sez.2, n.6 del 29/11/2000, dep.2001, Rv. 218562; Sez.5, n.6197 del 26/11/2010, dep.2011, Rv.249259).
    E poiché nel caso in esame neanche risulta che si fosse formata una volontà dei condomini di promuovere querela, atteso che la delibera sopra richiamata esprime una volontà ipotetica (“per le eventuali azioni da intraprendere”), condizionata a dati ancora da acquisire (“si riserva di attendere le risultanze delle attività peritali”) e generica e programmatica (“conferendo ogni più ampio mandato all’amministratore per la miglior tutela del condominio stesso”), non ancora la specifica volontà di perseguire penalmente l’autore del fatto lesivo degli interessi del condominio e di incaricare l’amministratore di sporgere querela, il ricorso viene rigettato.
    Una breve riflessione
    La sentenza in rassegna affronta una problematica molto comune in ambito condominiale. Difatti, accade spesso che l’amministratore del condominio sporga una querela in relazione a reati che offendono il patrimonio condominiale.
    Il problema che ha costituito il punto controverso del thema decidendum è quello di verificare la sussistenza di un potere, in capo all’amministratore, di sporgere una querela in assenza di un mandato specifico da parte dell’assemblea. Ovvero, nel caso di esistenza di un mandato assembleare, se esso possa essere generico ovvero debba essere specifico.
    Dalla motivazione della sentenza emerge che l’assemblea dei condomini avrebbe dovuto conferire all’amministratore uno specifico incarico manifestando così la volontà di perseguire penalmente l’autore del fatto.
    In difetto di un siffatto mandato specifico, deve dunque escludersi che l’amministratore abbia, ex sé, il potere di sporgere querela, atteso che quest’ultima non rientra tra gli atti di gestione dei beni o di conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio (per i quali è legittimato l’amministratore anche in assenza di una autorizzazione assembleare).
    Sotto altro profilo non può non rilevarsi come, in alcuni casi, tale interpretazione potrebbe rilevarsi pregiudizievole per gli interessi del condominio. Difatti, posto che la querela va presentata entro tre mesi dalla conoscenza del fatto che costituisce il reato, potrebbe succedere che non si riesca a formare, entro il suddetto termine, una volontà dell’assemblea dei condomini e, in siffatto modo, potrebbe decorrere inutilmente il termine per la proposizione della querela.
    Certo è che, in tali casi, anche ciascun condomino sarebbe legittimato a proporre querela in relazione ad un reato che abbia cagionato un danno al condominio, ma è altrettanto vero che, riguardo alla querela sporta dall’amministratore, potrebbe farsi ricorso all’istituto della ratifica. In altre parole, l’assemblea dei condomini potrebbe essere chiamata a ratificare, ex post, la querela proposta dal rappresentante del condominio in maniera tale da decretarne la definitiva efficacia. Se, difatti, l’amministratore del condominio risponde nei confronti dei condomini secondo le regole del mandato, non si comprende per quale ragione egli non potrebbe proporre querela a tutela dei rappresentati.
    Certamente, contro una siffatta interpretazione osta il consolidato principio giurisprudenziale in forza del quale “la procura speciale, preventivamente rilasciata per la proposizione della querela deve, a pena di inammissibilità, contenere il riferimento a specifici reati oppure l’indicazione delle situazioni in cui il mandatario debba attivarsi, non essendo sufficiente un generico mandato a proporre querela” (Cass., sez. 5, 17 marzo 2010 n.24687).
    Ecco che, da una prospettiva diversa, la interpretazione offerta dalla Suprema Corte appare garantista dei diritti dell’incolpato ed evita che una personale animosità tra amministratore e reo possa sfociare nella proposizione di una querela a fronte della volontà, di segno contrario, dell’assemblea dei condomini.
    avv. Filippo Pagano ([email protected])
    managing partner at clouvell (www.clouvell.com)


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    La presentazione di una valida querela da parte di un condominio in relazione ad un reato commesso in danno del patrimonio comune dello stesso presuppone uno specifico incarico conferito all'amministratore dall'assemblea condominiale
    Pubblicata il 13/03/2011
    Il condominio degli edifici e' uno strumento di gestione collegiale degli interessi comuni dei condomini; che l'espressione della volonta' di presentare querela per un fatto lesivo di uno di questi interessi comuni non puo' che passare attraverso tale strumento di gestione collegiale; pertanto la presentazione di una valida querela da parte di un condominio in relazione ad un reato commesso in danno del patrimonio comune dello stesso presuppone uno specifico incarico conferito all'amministratore dall'assemblea condominiale.
    Corte di Cassazione Sezione 5 Penale, Sentenza del 18 febbraio 2011, n. 6197


    - Leggi la sentenza integrale -

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

    SEZIONE QUINTA PENALE

    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

    Dott. MARASCA Gennaro - Presidente

    Dott. PALLA Stefano - Consigliere

    Dott. FUMO Maurizio - Consigliere

    Dott. VESSICHELLI Maria - Consigliere

    Dott. ZAZA Carlo - rel. Consigliere

    ha pronunciato la seguente:

    SENTENZA

    sul ricorso proposto da:

    difensore di Ar. Sa. , nato a (OMESSO);

    avverso la sentenza della Corte d'Appello di Genova in data 4.2.2010;

    visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

    udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Carlo Zaza;

    udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Enrico Delehaye, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata,

    RITENUTO IN FATTO

    Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Genova in data 22.5.2009, Ar. Sa. veniva condannato alla pena di mesi due di reclusione per il reato di violazione di domicilio commesso l'(OMESSO) introducendosi clandestinamente nel sottoscala di un edificio sito nella via (OMESSO), ove veniva sorpreso dal condomino Le. Pi. .

    Il ricorrente lamenta:

    1. violazione di legge e mancanza ed illogicita' della motivazione sulla presenza di una valida querela per il reato contestato;

    2. mancanza, illogicita' e la contraddittorieta' della motivazione sulla determinazione della pena.

    RITENUTO IN FATTO

    Il primo motivo di ricorso, relativo alla validita' della querela, e' fondato.

    Con la sentenza impugnata, premesso che la querela veniva presentata il 4.5.2004 dal condomino Le. , si riteneva condivisibile la tesi del giudice di primo grado per la quale, essendo le parti comuni di un edificio di proprieta' pro quota dei titolari degli alloggi e comunque nella piena disponibilita' degli stessi, il singolo condomino e' legittimato a proporre querela per un reato quale quello in esame.

    Il ricorrente discute tale argomentazione osservando che, a seguire la stessa, si attribuirebbe al condomino un diritto che deve invece essere ricondotto a tutti i proprietari in ragione delle loro quote; e che appare di contro logica la diversa conclusione per la quale la titolarita' del diritto di querela spetta all'intero condominio, altrimenti non comprendendosi perche' competa all'assemblea condominiale, ad esempio, la decisione sulla costituzione di parte civile del condominio in un procedimento penale.

    Questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi sulla questione oggetto del motivo appena riportato, osservando che il condominio degli edifici e' uno strumento di gestione collegiale degli interessi comuni dei condomini; che l'espressione della volonta' di presentare querela per un fatto lesivo di uno di questi interessi comuni non puo' che passare attraverso tale strumento di gestione collegiale; e che pertanto per la presentazione di una valida querela da parte di un condominio in relazione ad un reato commesso in danno del patrimonio comune dello stesso presuppone uno specifico incarico conferito all'amministratore dall'assemblea condominiale (Sez. 2, n.6 del 29.11.2000, imp. Panichella, Rv.218562).

    Tali principi non possono che essere condivisi anche in questa sede.

    Il fondamento della previsione della procedibilita' a querela della persona offesa e' tradizionalmente ricondotto, nelle diverse concezioni proposte, ai due ambiti della verifica di un'effettiva offensivita' del reato, rimessa in determinati casi al giudizio del soggetto passivo, o del rispetto della sfera privata della parte offesa nel perseguimento di taluni illeciti penali. Ognuna di queste dimensioni presuppone l'attribuzione alla persona offesa di valutazioni e scelte di particolare impegno e complessita'. A qualunque di esse si intenda aderire, cio' che viene in ogni caso ad esserne richiamata e' la necessita' di una piena e completa deliberazione da parte del soggetto passivo nell'interezza della sua personalita'; il che, laddove vittima del reato sia un soggetto collettivo quale e' il condominio di un edificio, coinvolge necessariamente la totalita' dei componenti nella sua espressione istituzionale, rappresentata dall'assemblea.

    E' altresi' da escludere che il singolo condomino possa esercitare una facolta' di questo genere con riferimento alla propria quota millesimale delle parti comuni dell'edificio, in presenza di un giudizio che, lo si ritenga vertente sull'effettivita' dell'offesa o sull'opportunita' dell'esercizio dell'azione penale, non e' suscettibile di applicazione frazionata rispetto all'oggetto del reato.

    Questa conclusione trova peraltro ulteriori ragioni di sostegno nella crescente rilevanza che la legislazione tende ad attribuire al condominio quale centro di imputazione di situazioni giuridiche anche di rilevanza pubblicistica; venendone ad essere rimarcata la dimensione collettiva in pregiudizio della prospettiva di una rappresentativita' autonoma dei singoli condomini.

    Il condomino non e' in conclusione legittimato a presentare querela per un reato quale quello contestato, commesso in danno di parti comuni dell'edificio. L'azione penale non poteva pertanto essere esercitata nel caso in esame per mancanza di una valida querela; e la sentenza impugnata deve di conseguenza essere annullata senza rinvio.

    P.Q.M.

    Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' l'azione penale non poteva essere iniziata per difetto di querela.
     
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  3. adamclayton
     
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    mi pare che il principio valga anche per l'amministratore di comunione
    in caso di conflitto di interessi (l'amministratore non può querelare se stesso) c'é il curatore speciale

    obiezioni ?
     
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  4. stracàsso
     
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    - per capire

    - sei di fronte ad una comunione od ad un condominio (anche se minimo)?

    - c'è un regolamento?

    - se non c'è l'amministratore (perché è una comunione,perchè revocato,etc.) e non è obbligatorio per legge o "per regolamento/contratto",non perderei tempo a nominarne uno

    - il diritto di querela è un atto di straordinaria amministrazione

    - sparo: forse (va verificato) basta convocare l'assemblea,deliberare e far firmare a tutti il verbale (art. 1108 cod.civ.)

    Edited by stracàsso - 16/3/2019, 10:54
     
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  5. adamclayton
     
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    comunione - nessun regolamento - solo norme del c.c.

    l'appropriazione indebita é, nel caso di specie inesistente

    però io vorrei dire- a monte- che il singolo comunista, titolare di quota inferiore, non ha il diritto di querela; spetta all'assemblea
    in sede di revoca dell'amministratore; o al massimo nomina di curatore per la querela
     
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  6. stracàsso
     
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    - guarda sopra: ho fatto delle aggiunte

    - ci siamo scritti in contemporanea
     
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  7. adamclayton
     
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    Per me, valgono le seguenti proposizioni:

    1)-il presunto reato è procedibile a querela di parte e non si procede d’ufficio, anche per l'ipotesi aggravata;
    2)-la querela però spetta all’ente, id est all’assemblea dei comunisti non al singolo comunista detentore, in questo caso, del 25 % delle quote;
    3)-l’ente deve, in particolare manifestare tale intendimento mediante specifica deliberazione e/o costituzione di parte civile, quali espressioni della “gestione collegiale”;
    4)-se l’amministratore è in conflitto di interesse, si applicano le norme sulla revoca;
    5)-in via concorrente e/o alternativa, l’interessato può poi sollecitare il PM per la nomina del curatore previsto dall’ art. 121 c.p. e dall’art. 338 c.p.p. per la querela.
     
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  8. stracàsso
     
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    - seguo il Tuo ordine, e rispondo a "rate"

    1.
    sì, è procedibile a querela.
    Si può procedere d'ufficio solo se ex art. 649 bis, cod.pen., sussistono circostanze ad effetto speciale (art.63,3 comma,cod.pen.).

    2 e 3.
    sì, anche per me la decisione sulla querela (atto di straordinaria amministrazione: cfr. Corte Cass. Pen. 25.01.2017 n.3794;Corte Cass. Pen.02.05.2012 n.16150) spetta alla comunione che - così come stabilito dall'art. 1108 cod.civ. per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione - dovrà votare in tal senso, raggiungendo una maggioranza qualificata corrispondente alla maggioranza dei rappresentanti che costituisca almeno i due terzi del valore complessivo della cosa comune.
    L'assemblea incaricherà l'amministratore (ove esistente) della comunione di dare concreto seguito all'esercizio della querela.

    Attenzione
    - l' esercizio del diritto di querela è un atto di straordinaria amministrazione, salvo non parificarlo addirittura agli atti dispositivi, quali la rinunzia o la transazione, perchè - allora - necessiterebbe del consenso di tutti;

    - la giurisprudenza, nell'ambito della - ben diversa - attività di ordinaria amministrazione si è "inventata" la possibilità che un atto/contratto possa essere compiuto anche dal singolo compartecipe sul presupposto che il consenso degli altri deve considerarsi presunto e perché ognuno di essi può servirsi della cosa comune. Da valutare se per evitare un simile comportamento "garibaldino" non possa tornare utile significare formalmente a costui fin da subito la ferma opposizione del comunista di maggioranza.


    (segue)
     
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  9. adamclayton
     
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    grazie
     
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  10. adamclayton
     
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    grazie,
    aspetto trepidante la Tua risposta sugli altri punti :odeelodealforum.gif:
     
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  11. stracàsso
     
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    - 4. su cosa fondi l'assunto: amministratore in conflitto = revoca?
    non mi pare così automatico. come lo vedi?

    - 5. se non vado errato, le norme dell'art. 121 cod.pen. - così come anche quella dell'art.338 cod.proc.pen.- riguardano soltanto i delitti con soggetto passivo minore od infermo di mente cui manchi il rappresentante legale oppure quest'ultimo si trovi ad essere in conflitto di interessi con il minore o l'infermo stesso.
    Mi parrebbe difficile "estendere" tale normativa alla fattispecie della comunione immobiliare dove, invece, a parte il caso diverso, la maggioranza dei due terzi potrebbe votare.


     
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  12. adamclayton
     
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    Concordo, hai ragione non si applicano
     
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  13. stracàsso
     
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    - vedi questi articoli


    Conflitto di interessi in assemblea di condominio e votazione
    28 Gennaio 2018

    Non esiste il divieto di voto per i soci che si trovano in conflitto di interessi con il condominio, salvo ne derivi un netto danno agli interessi del condominio stesso.

    Nel tuo condominio si sta decidendo il rifacimento del tetto; tra le ditte che hanno presentato il preventivo ce n’è anche una tra i cui soci figura un condomino del tuo stesso palazzo. Nel momento in cui vengono messe al voto le varie proposte, quest’ultimo vorrebbe votare a favore della propria società, ritenendola più competitiva e vantaggiosa delle concorrenti. Invece, in assemblea, gli altri condomini glielo vorrebbero impedire: lo ritengono infatti in conflitto di interessi per via del vantaggio che, nel caso di aggiudicazione dell’appalto, ne trarrebbe la sua società. Lo invitano così a non partecipare alla votazione. Lui insiste: in quanto condomino è tenuto alla spesa e, quindi, anche se la stessa andrà a beneficio della sua società, egli dovrà comunque pagare. Chi ha ragione? Cosa prevede la legge sul conflitto di interessi in assemblea di condominio? La questione è stata analizzata più volte dalla Cassazione, in ultimo con una ordinanza di questi giorni [1]. Vediamo cosa hanno chiarito i giudici supremi sul tema e quali sono gli eventuali obblighi di astensione dalla votazione per il condomino in conflitto di interessi.
    Non esistono norme del codice civile che regolano il conflitto di interessi all’interno dei condomini. Le possibili soluzioni devono essere prese partendo da un’applicazione analogica delle disposizioni previste per le votazioni all’interno delle società, ossia nel caso di conflitto di interessi tra soci e persona giuridica. Proprio questa lacuna normativa ha portato la Cassazione ha ritenere che i condomini in potenziale conflitto di interessi con il condominio possono, e non devono, astenersi dal votare.


    Le maggioranze necessarie per approvare le delibere dell’assemblea – osserva la Corte – sono previste in modo inderogabile dal codice civile e fanno riferimento al numero di partecipanti in assemblea e ai valori millesimali di ciascuno di essi, anche di quelli in conflitto di interessi. Ad esempio, laddove la legge stabilisce che il punto all’ordine del giorno deve essere approvato con la maggioranza dei partecipanti alla riunione che rappresentino almeno metà del valore dell’edificio si riferisce a tutti i condomini, compreso quello che, da tale decisione, ne potrebbe ricevere un vantaggio personale. Il semplice fatto che vi sia un ritorno economico o di altra natura per uno dei proprietari di appartamenti non impedisce a questi di votare e nessuno può opporsi: la delibera quindi non è neanche nulla.
    La delibera è invalida solo qualora, dalla situazione di conflitto di interessi, venga leso un interesse del condominio. Quindi, non è tanto il conflitto di interesse in sé ad essere sanzionato o il vantaggio del singolo votante quanto le ricadute sul condomino stesso. Ad esempio, se si dovesse decidere di agire in tribunale contro un condomino moroso sicuramente questi non potrebbe votare in quanto l’eventuale decisione potrebbe arrecare un danno economico al condominio; stesso discorso per l’azione di responsabilità nei confronti di un condominio che ha esercitato il ruolo di amministratore macchiandosi di gravi colpe. Ma laddove la votazione non implica alcun danno al condominio, il condomino in conflitto può esercitare il suo voto (fermo restando che è anche suo diritto astenersi).


    La Cassazione ricorda – come già in passato aveva fatto [2] che, in materia di conflitto di interessi, la deliberazione assembleare sarà invalida soltanto se risulti dimostrata una chiara divergenza tra l’interesse del condominio e specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini i quali non si siano astenuti ed abbiano perciò con il loro voto concorso a formare la maggioranza assembleare.
    I principi espressi dalla decisione in esame appaiono perciò chiarissimi e perfettamente in linea con le precedenti decisioni della Corte: non esiste alcun divieto per i soci in potenziale conflitto di interessi di partecipare alle assemblee condominiali e neppure di concorrere alla formazione della volontà assembleare esprimendo il loro voto. Le delibere espresse anche con il voto di potenziali portatori di conflitto di interessi, sono viziate e devono essere dichiarate illegittime solo e soltanto se da esse possa derivare un danno anche solo potenziale per il condominio.
    Il condomino in conflitto d’interessi non è obbligato ad astenersi dal voto ma, più semplicemente, può esercitare il diritto di astensione.
    In sintesi, all’interno dei condomini, anche qualora sia ravvisabile un conflitto di interessi tra un condomino e l’argomento all’ordine del giorno, non è possibile escludere i millesimi di quest’ultimo né dal quorum costitutivo né da quello deliberativo. Ciò in primo luogo perché al condominio non sono applicabili le norme dettate in materia di società. Inoltre, nel nostro ordinamento, non abbiamo alcuna disposizione che vieta al condomino in conflitto di partecipare all’assemblea ed esprimere il proprio voto. Neanche il regolamento approvato all’unanimità può derogare alle norme relative alla costituzione dell’assemblea ed alla validità delle sue delibere. Peraltro, nell’ipotesi in cui il condomino in conflitto dovesse essere escluso e non fosse possibile raggiungere la maggioranza, la decisione sarebbe assunta dalla minoranza e ciò contrasta concettualmente con i principi basilari in materia di condominio che vedono il prevalere della volontà della maggioranza su quella della minoranza.

    note

    [1] Cass. ord. n. 1853/18 del 25.01.2018.
    [2] Cass. sent. n. 19131/15. Secondo una prima interpretazione, non solo il condomino in conflitto sarebbe obbligato ad astenersi dal voto ma i suoi millesimi dovrebbero essere portati in detrazione dal totale dei millesimi presenti e votanti. In altri termini alla delibera dell’assemblea di condominio si applicherebbero gli stessi principi dettati dal codice civile (art. 2373 c.c.) in materia di delibera assembleare delle società di capitale. Secondo un’altra possibile interpretazione, la delibera sarebbe semplicemente annullabile solo se, all’esito della prova di resistenza, i voti espressi dal condomino in conflitto, risultino decisivi per il raggiungimento del quorum. Un caso illustre è quello deciso dalla Seconda Sezione Civile della Cassazione con la sentenza n. 1201/2002. In questo caso gli Ermellini hanno sentenziato che, ove vi sia conflitto di interessi tra il condominio e taluni partecipanti, le maggioranze costituenti il quorum deliberativo devono essere calcolate con riferimento a tutti i condomini ed al valore dell’intero edificio. Insomma, non sarebbe possibile applicare, neanche per analogia, l’art. 2373 c.c. in tema di società di capitali, che stabilisce l’obbligo di astensione del socio in posizione di conflitto di interessi. Invero nelle società di capitali assumono rilevanza tanto lo scopo-fine, configurato dalla ripartizione degli utili a beneficio dei soci, quanto lo scopo-mezzo, consistente nell’esercizio delle attività economiche dirette alla produzione dei profitti mentre tali principi non trovano riscontro in ambito condominiale.

    Sentenza


    Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 7 dicembre 2017 – 25 gennaio 2018, n. 1853
    Presidente Manna – Relatore Scarpa
    Fatti di causa e ragioni della decisione
    G.F. , Co.Sa., A.R.E., C.G. e N.M.S. hanno proposto ricorso articolato in due motivi (violazione e falsa applicazione dell’art. 1394 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 2373 c.c.) avverso la sentenza 10 novembre 2016, n. 1666/2016, resa dalla Corte d’Appello di Catania, la quale, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Condominio (omissis), contro la pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Catania, ha respinto l’impugnazione della deliberazione assembleare del 19 febbraio 2010.
    Il Condominio (omissis), resiste con controricorso.
    La Corte d’Appello di Catania ha escluso che fosse ravvisabile, in relazione all’impugnata deliberazione assembleare, un conflitto di interessi (in analogia al disposto di cui all’art. 2373 c.c.) in capo al condomino L.S. , in quanto titolare dell’impresa appaltatrice dei lavori di manutenzione dell’edificio condominiale, le cui spese erano state approvate appunto con la delibera del 19 febbraio 2010. Ha sostenuto la Corte d’Appello che fosse rimasta indimostrata la circostanza che i lavori condominiali, se affidati in appalto ad altra impresa, avrebbero comportato un risparmio di spesa rispetto al corrispettivo da versare all’impresa del condomino L., sicché mancava in concreto prova dello specifico conflitto di interessi denunciato.
    Ora G.F., Co.Sa., A.R.E., C.G. e N.M.S., condomini che avevano proposto due distinte azioni ex art. 1137 c.c., poi riunite, allegano, col primo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1394 c.c., giacché, a differenza di quanto affermato dalla Corte di Catania, per aversi annullamento del contratto concluso da rappresentante in conflitto di interessi, non occorrerebbe prova specifica di un concreto danno arrecato al rappresentato, avendo peraltro, nella specie, l’assemblea dovuto votare “in blocco” il bilancio consuntivo degli anni 2004-2008, con indicazione dei lavori eseguiti in un’unica voce, senza neppure poter verificare la convenienza di un’eventuale diversa offerta. Col secondo motivo, i ricorrenti prospettano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2373 c.c., ribadendo, pure con riferimento a questa norma, come per la rilevanza del conflitto di interessi basti la potenzialità del danno, nonché un potenziale conflitto tra l’interesse del singolo condomino e quello del condominio.
    Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
    I ricorrenti hanno presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c.. Va al riguardo premesso che, come questa Corte ha già precisato, l’art. 380-bis c.p.c., modificato dall’art. 1-bis del d.l. n. 168 del 2016 (conv., con modif., dalla l. n. 197 del 2016), non prevede che la “proposta” del relatore di trattazione camerale possa e debba essere motivata, potendo essa contenere sommarie o schematiche indicazioni, ritenute dal presidente meritevoli di segnalazione alle parti, al momento della trasmissione del decreto di fissazione della camera di consiglio, al fine di una spontanea e non doverosa agevolazione nell’individuazione dei temi della discussione, senza che possa riconoscersi un loro corrispondente diritto (Cass. Sez. 6 – 3, 22/02/2017, n. 4541).
    I due motivi di ricorso si rivelano comunque il primo inammissibile ed il secondo infondato.
    Il primo motivo rivela carenza di specificità e riferibilità della censura alla decisione impugnata. Si invoca dai ricorrenti, a parametro di legittimità della sentenza della Corte d’Appello di Catania, l’art. 1394 c.c., ma nella fattispecie astratta prevista da questa norma il conflitto di interessi si manifesta al momento dell’esercizio del potere rappresentativo, e verte sul contrasto tra l’interesse personale del rappresentato e quello, pure personale, del rappresentante, laddove, nel caso previsto dall’art. 2373 c.c., sul quale si è incentrata, piuttosto, la presente controversia, il conflitto di interessi si manifesta in sede di assemblea al momento dell’esercizio del potere deliberativo, e verte sul contrasto tra l’interesse proprio del partecipante al voto collegiale e quello comune della collettività (arg. da Cass. Sez. 1, 10/10/2013, n. 23089).
    Il secondo motivo di ricorso è infondato alla stregua dell’orientamento espresso sul punto da questa Corte, che il Collegio intende riaffermare. Si è chiarito come, in tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del “quorum” costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (e non debbono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto, ferma la possibilità per ciascun partecipante di ricorrere all’autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio (così Cass. Sez. 2, 28/09/2015, n. 19131; Cass. Sez. 2, 30/01/2002, n. 1201). È noto come tale orientamento discenda dal presupposto dell’ammissibilità, nella disciplina delle assemblee di condominio, di una “interpretazione estensiva” (o meglio, del ricorso ad un’applicazione analogica) dell’art. 2373 c.c., norma riguardante il conflitto di interessi del socio nelle deliberazioni della società per azioni. Nel testo dell’art. 2373 c.c., conseguente alla riformulazione operatane dal d. lgs. n. 6 del 2003, è venuta meno la disposizione che portava a distinguere, in caso di conflitto di interesse, tra quorum costitutivo dell’assemblea e quorum deliberativo della stessa, e si afferma unicamente che la deliberazione approvata con il voto determinante di soci, che abbiano un interesse in conflitto con quello della società, è impugnabile, a norma dell’art. 2377 c.c., qualora possa recarle danno. Nella ricostruzione da ultimo offerta da Cass. Sez. 2, 28/09/2015, n. 19131 (ma si veda anche Cass. Sez. 2, 16/05/2011, n. 10754), dunque, soltanto se risulti dimostrata una sicura divergenza tra l’”interesse istituzionale del condominio” e specifiche ragioni personali di determinati singoli partecipanti, i quali non si siano astenuti ed abbiano, perciò, concorso con il loro voto a formare la maggioranza assembleare, la deliberazione approvata sarà invalida. L’invalidità della delibera discende, quindi, non solo dalla verifica del voto determinante dei condomini aventi un interesse in conflitto con quello del condominio (e che, perciò, abbiano abusato del diritto di voto in assemblea), ma altresì dalla dannosità, sia pure soltanto potenziale, della stessa deliberazione. Il vizio della deliberazione approvata con il voto decisivo dei condomini in conflitto ricorre, in particolare, quando la stessa sia diretta al soddisfacimento di interessi extracondominiali, ovvero di esigenze lesive dell’interesse condominiale all’utilizzazione, al godimento ed alla gestione delle parti comuni dell’edificio. In ogni modo, il sindacato del giudice sulle delibere condominiali deve pur sempre limitarsi al riscontro della legittimità di esse, e non può estendersi alla valutazione del merito, ovvero dell’opportunità, ed al controllo del potere discrezionale che l’assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei partecipanti (si veda, ad esempio, Cass. Sez. 2, 20/06/2012, n. 10199). L’impugnazione ex art. 1137 c.c., grazie anche al rinvio all’art. 1109 c.c. consentito dall’art. 1139 c.c., si amplia al più all’ipotesi in cui la delibera ecceda dai poteri dell’organo assembleare, non potendosi consentire alla maggioranza del collegio, distolta dal perseguimento di interessi particolari, di ledere l’interesse collettivo. Allorché la decisione dell’assemblea sia deviata dal suo modo di essere, perché viene formata con il voto determinante di partecipanti ispirati da finalità extracondominiali, al giudice non può quindi chiedersi comunque di controllare l’opportunità o la convenienza della soluzione adottata dal collegio, quanto, piuttosto, di stabilire che essa non costituisca il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell’organo deliberante (cfr. Cass. Sez. 6 2, 21/02/2014, n. 4216; Cass. Sez. 2, 14/10/2008, n. 25128). Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Catania ha fatto corretto uso di questi principi, motivatamente escludendo che, nell’approvare con la delibera del 19 febbraio 2010 le spese dell’appalto eseguito dall’impresa del condomino L. , l’assemblea dei condomini, supportata dal voto dello stesso L. , abbia perseguito apprezzamenti obiettivamente rivolti alla realizzazione di interessi incompatibili con l’interesse collettivo alla buona gestione dell’amministrazione.
    Il ricorso va perciò rigettato e i ricorrenti vanno condannati a rimborsare al Condominio controricorrente le spese del giudizio di cassazione.
    Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
    P.Q.M.
    La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
    Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

    Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 4 novembre 2014 – 28 settembre 2015, n. 19131
    Presidente Triola – Relatore Petitti
    Svolgimento del processo
    S.A., B.G., M.I., G.L., P.M., I.R., Z.D., C.M., Pa.Ma.Gi., P.R., Q.E. e Sp.Ma. convenivano in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Roma, il Supercondominio (OMISSIS) , chiedendo l’annullamento della delibera adottata dall’assemblea in data 25 maggio 1999, limitatamente ai punti 2 e 4, recanti, rispettivamente, “cause pendenti contro il sig. Sp.Ma. : esame problematiche e delibere consequenziali”, e “integrazione compenso dell’amministratore giudiziario per le assemblee straordinarie: esame problematiche e delibere consequenziali”.
    Quanto al punto 2, gli attori deducevano che la questione della instaurazione di un nuovo giudizio nei confronti dello S. non figurava all’ordine del giorno e, quanto al punto 4, che il compenso concesso all’amministratore superava le tariffe previste dalle Associazioni di Amministratori condominiali.
    Si costituiva il Supercondominio (…) chiedendo il rigetto della domanda.
    L’adito Tribunale, con sentenza in data 5 giugno 2002, annullava la delibera limitatamente al punto 2, rigettando la domanda concernente il punto 4.
    Avverso questa sentenza proponeva appello il Supercondominio XXXXXX resistevano S.A. , B.G. , M.I. , V.L. , P.M. , I.R. , Z.D. , C.M. , Pa.Ma.Gi. , P.R. , Q.E. e Sp.Ma. .
    Con l’unico motivo di impugnazione il Supercondominio censurava la sentenza del Tribunale per non aver fatto applicazione dell’art. 2373 cod. civ., che in tema di maggioranze assembleari prevede che ai fini del computo delle maggioranze si deve tenere conto del voto dei condomini titolari, in relazione all’oggetto della deliberazione, di un interesse particolare contrastante, anche solo potenzialmente, con quello condominiale. E nella specie, rilevava il Super-condominio, il conflitto di interessi era stato dichiarato dai condomini attori, i quali, proprio per tale ragione, all’assemblea del 25 maggio 1999, avevano dichiarato di astenersi sul voto relativo al punto 2 dell’ordine del giorno.
    Con sentenza depositata il 29 ottobre 2008, la Corte d’appello di Roma accoglieva il gravame.
    Premesso che doveva ritenersi incontroversa l’esistenza del conflitto di interessi degli appellati M. , B. , I. , V. , P. , Sa. , S. e Z. , avendo gli stessi espressamente dichiarato di astenersi dal voto per avere un interesse proprio, la Corte distrettuale aderiva all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, espresso dalle sentenze n. 44080 del 2002 e 100683 del 2002, secondo cui ai fini del calcolo delle maggioranze assemblea-ri condominiali non vanno computate le quote di partecipazione condominiale e i voti dei condomini che siano in conflitto di interessi con il condominio in relazione all’oggetto della delibera.
    Nella specie, la delibera impugnata era stata approvata con una maggioranza di 490,25 millesimi mentre il quorum minimo, tenuto conto che le quote dei condomini astenuti dal voto per conflitto di interessi erano pari a 87,94 millesimi, ammontava a 456,06 millesimi.
    Per la cassazione di questa sentenza hanno proposto ricorso S.A., B.G. e Sp.Ma., affidato a due motivi; ha resistito, con controricorso, il Supercondominio (…); sono rimasti intimati Q.E., I.R., M.I., G.L., P.M., Z.D., C.M., Z.C., Pa.Ma.Gi., P.R..
    Motivi della decisione
    1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono “carente, contraddittoria motivazione della Sentenza d’appello su punti fondamentali della controversia, travisamento dei fatti, violazione e falsa applicazione dell’art. 2373 c.c. e dell’art. 1136 c.c.”. Premesso che la Corte d’appello avrebbe errato nel leggere il verbale dell’assemblea condominiale del 21 maggio 1999, atteso che la verbalizzazione doveva essere rettamente intesa, per come fatto palese dalle parole utilizzate, nel senso che la affermazione della sussistenza di un conflitto di interesse doveva essere ravvisata solo in capo ai condomini che avessero citato in giudizio lo Sp. e non anche in capo ai sottoscrittori della dichiarazione, i ricorrenti, oltre a rilevare la erroneità delle indicazioni contenute nella sentenza impugnata in ordine pronunce di questa Corte in materia, sostengono che il presidente dell’assemblea condominiale avrebbe errato nel ritenere approvata una deliberazione che non aveva invece raggiunto il quorum della metà dei voti validi espressi a favore della delibera stessa. Le disposizioni sul conflitto di interessi, infatti, non consentirebbero al presidente dell’assemblea di detrarre dal numero dei votanti, dopo l’espressione del voto, coloro che si trovano in conflitto di interessi, atteso che la disposizione dell’art. 2373 cod. civ. opera con modalità differenti, nel senso che una volta effettuata la votazione occorre fare la prova di resistenza per verificare se la delibera, detratti i voti dei partecipanti in conflitto di interessi, abbia ottenuto comunque la maggioranza richiesta.
    A conclusione del motivo i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto: “Voglia la Corte di cassazione enunciare il principio di diritto secondo cui la maggioranza necessaria, in conformità degli artt. 1136 e 2373 c.c., è quella richiesta volta per volta dalla legge in rapporto a tutti i condomini ed all’intero edificio e anche nei casi di conflitto di interesse la maggioranza richiesta per le delibere si rapporta alla totalità dell’elemento personale e reale, vale a dire a tutti i partecipanti al condominio ed al valore dell’intero edificio; conseguentemente anche nell’ipotesi di conflitto di interessi, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini, i quali rappresentino la maggioranza personale e reale fissata volta per volta”.
    2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 1136, 1138 e 2373 cod. civ. e dell’art. 1 del d.lgs. n. 6 del 2003, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione, con specifico riferimento al fatto che la Corte d’appello ha ritenuto che correttamente il presidente dell’assemblea abbia detratto 87,94 millesimi da quelli presenti in assemblea, senza considerare che la detta componente reale era riferibile a condomini che avevano conferito la delega e senza quindi verificare se il conflitto di interessi fosse ravvisabile con riferimento a ciascuno di essi.
    I ricorrenti ricordano, poi, la nuova formulazione dell’art. 2373 cod. civ., dalla quale desumono anche l’interpretazione della previgente disciplina, nel senso che la delibera è annullabile solo se, all’esito della prova di resistenza, i voti espressi da chi si trovi in conflitto di interesse, risultino decisivi per il raggiungimento del quorum previsto.
    A conclusione del motivo i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto: “Voglia la Corte di cassazione enunciare il principio di diritto secondo cui, anche applicando al Condominio per analogia le disposizioni ex art. 2373 c.c., la situazione di conflitto tra l’interesse proprio e quello collettivo in cui versi uno dei soggetti partecipanti all’assemblea non può ritenersi aprioristicamente estesa anche ad altri soggetti che, non partecipando all’assemblea, abbiano delegato a rappresentarli il soggetto in conflitto di interessi”.
    3. La questione giuridica posta dal primo motivo di ricorso è la seguente: se, nel condominio negli edifici, nel caso di conflitto di interessi tra il condominio e taluni partecipanti, le maggioranze costituenti il quorum deliberativo debbano essere calcolate con riferimento a tutti i condomini ed al valore dell’intero edificio; ovvero soltanto ai condomini ed ai millesimi facenti capo ai singoli partecipanti, i quali non versano in conflitto di interessi relativamente alla delibera. In altri termini, se dal numero dei condomini e dal valore dell’intero edificio (1000 millesimi) debba essere detratta la quota, personale e reale, rappresentata dai condomini in conflitto di interessi per ciò che concerne la proposta messa ai voti; se, quindi, nel calcolo della maggioranza richiesta per approvare la delibera, debba o no tenersi conto dei condomini e dei millesimi facenti capo ai partecipanti in conflitto di interessi.
    Il Collegio ritiene che al quesito cosi come formulato debba rispondersi affermativamente, ribadendosi le argomentazioni contenute nella decisione di questa Corte n. 1201 del 2002 e la soluzione alla quale essa è pervenuta.
    3.1. Occorre premettere che l’ordinamento giuscivilistico, pur non riconoscendo al condominio una sia pur limitata personalità giuridica, attribuisce, purtuttavia, ad esso potestà e poteri di carattere sostanziale e processuale, desumibili dalla disciplina della sua struttura e dai suoi organi, cosi che deve ritenersi applicabile, quanto al computo della maggioranza della relativa assemblea, la norma dettata, in materia di società, per il conflitto di interessi, con conseguente esclusione dal diritto di voto di tutti quei condomini che, rispetto ad una deliberazione assembleare, si pongano come portatori di interessi propri, in potenziale conflitto con quello del condominio (Cass. n. 11254 del 1997; in precedenza, Cass. n. 270 del 1976).
    Nella sentenza n. 1201 del 2002 si è, quindi, rilevato come in tema di condominio negli edifici l’ipotesi del potenziale conflitto di interessi tra il condominio ed i singoli partecipanti non è regolata e che, per disciplinarla, dalla giurisprudenza si è richiamato per analogia il disposto dell’art. 2373 cod. civ., nel testo ratione temporis applicabile, anteriore alle modificazioni introdotte dal d.lgs. n. 6 del 2003, dettato in tema di società di capitali, che stabilisce l’obbligo di astensione del socio, il quale si trova in posizione di conflitto (primo comma), e l’impugnabilità della delibera “se, senza il voto dei soci che avrebbero dovuto astenersi dalla votazione, non si sarebbe raggiunta la necessaria maggioranza” (secondo comma). Il comma ultimo dello stesso articolo prescrive(va) che le azioni, per le quali non può essere esercitato il diritto di voto, sono tuttavia computate ai fini della regolare costituzione della assemblea.
    Si è quindi rilevato come, con riferimento alle società di capitali, la giurisprudenza dominante abbia affermato che il quorum deliberativo deve essere computato non già in rapporto all’intero capitale sociale, bensì in relazione alla sola parte di capitale facente capo ai soci aventi diritto al voto, con esclusione della quota dei soci che versino in conflitto di interessi (Cass. n. 2489 del 1959; Cass. n. 2562 del 1996; Cass. n. 15613 del 2007).
    La Corte ha quindi proceduto alla verifica della sussistenza, ai fini della estensione della medesima disciplina delineata per le società di capitali all’assemblea di condominio, della stessa ratio, pervenendo ad una soluzione sul punto negativa.
    Delle argomentazioni svolte nella sentenza n. 1201 del 2002 a sostegno di tale conclusione, ad avviso del Collegio, sono determinanti quella che fa riferimento al rapporto esistente tra gestione delle cose comuni e fruizione delle proprietà esclusive, e quella che si fonda sulla diversità strutturale del funzionamento delle assemblee nelle società ci capitali e di quelle condominiali.
    3.1.1. Sotto il primo profilo, invero, non appare discutibile che, a differenza di quanto avviene nelle società di capitali, nel condominio non esiste un fine gestorio autonomo: la gestione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni non mira a conseguire uno scopo proprio del gruppo e diverso da quello dei singoli partecipanti. La gestione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni è strumentale alla loro utilizzazione e godimento individuali e, principalmente, al godimento individuale dei piani o delle porzioni di piano in proprietà esclusiva. Tutto ciò si riflette, anzitutto, sul conflitto di interessi, posto che per il sorgere del conflitto tra il condominio ed il singolo condomino è necessario che questi sia portatore, allo stesso tempo, di un duplice interesse: uno come condomino ed uno come estraneo al condominio (e, che l’interesse sia estraneo al godimento delle parti comuni ed a quello delle unità abitative site nell’edificio) e che i due interessi non possano soddisfarsi contemporaneamente, ma che il soddisfacimento dell’uno comporti il sacrificio dell’altro. E si riflette, altresì, sulla disciplina delle maggioranze assembleari, in quanto, posto che nell’organizzazione dell’assemblea la gestione delle parti comuni è predisposta in funzione del godimento delle parti comuni e soprattutto in funzione strumentale a vantaggio del godimento dei piani o delle porzioni di piano in proprietà esclusiva, la disciplina del metodo collegiale e del principio di maggioranza risponde a criteri specifici ; il che comporta che le maggioranze occorrenti per la validità delle delibere in tema di gestione in nessun caso possono modificarsi in meno.
    3.1.2. Sotto il secondo profilo, deve rilevarsi che nell’assemblea condominiale, sia nella disciplina ratione temporis applicabile, sia in quella introdotta con la legge n. 220 del 2012, il quorumdeliberativo – come quello costitutivo – è determinato con riferimento sia all’elemento personale (i condomini partecipanti all’assemblea), sia all’elemento reale (il valore di ciascun piano o porzione di piano rispetto all’intero edificio, espresso in millesimi).
    Da nessuna norma si prevede che, ai fini della costituzione dell’assemblea o delle deliberazioni, non si tenga conto di alcuni dei partecipanti al condominio e dei relativi millesimi. Il principio maggioritario, adottato dal codice per le deliberazioni assembleari con la regola della “doppia maggioranza” è un principio specifico dell’istituto condominiale, che vale a distinguerlo dalla disciplina della comunione e delle società, in quanto solo nel condominio è previsto che la maggioranza venga raggiunta dal punto di vista delle persone e del valore.
    La sentenza del 2002 individua la ragione della inderogabilità in meno delle maggioranze, e specialmente delle maggioranze qualificate, in quella di impedire che tramite il principio maggioritario, in qualche misura, vengano menomati i diritti dei singoli partecipanti sulle parti comuni e il godimento delle unità immobiliari in proprietà esclusiva. Perciò, i quorum sono fissati in misura inderogabile (in meno), richiedendosi per le decisioni di particolare importanza il concorso di un numero considerevole di partecipanti e di una frazione consistente del valore dell’edificio. E, si badi, le maggioranze occorrenti per la validità delle delibere in tema di gestione in nessun caso possono modificarsi in meno. Infatti, i quorum costitutivo e deliberativo dall’assemblea, che decide a maggioranza, non possono immutarsi in meno, e gli stessi quorum non possono modificarsi in misura minore neppure per contratto. Ciò si ricava con certezza dalla disposizione dettata dall’art. 1138, quarto comma, cod. civ., secondo cui il regolamento contrattuale di condominio in nessun caso può derogare alle norme ivi richiamate, comprese quelle stabilite dall’art. 1136 cod. civ. concernenti la costituzione dell’assemblea e la validità delle delibere (Cass. n. 11268 del 1998).
    Orbene, nel caso in cui la maggioranza prescritta non si possa raggiungere perché non si può tenere conto del numero e dei millesimi dei condomini in potenziale conflitto di interessi, non si vede la ragione – al fine di evitare la paralisi del collegio – di attribuire uno straordinario potere deliberativo alla minoranza. Se l’assemblea non può deliberare perché nella votazione non si raggiunge la maggioranza prescritta, nel caso di conflitto di interessi il rimedio di attribuire alla minoranza un ingiustificato potere di deliberare sovvertirebbe gli equilibri fissati, sulla base degli elementi personale e reale, dalle regole concernenti il metodo collegiale ed il principio maggioritario.
    Con la precisazione che se l’assemblea non può deliberare soccorre la disposizione contenuta nell’art. 1105, quarto comma, cod. civ. – applicabile al condominio in virtù del rinvio fissato dall’art. 1139 cod. civ. – secondo cui, quando non si formano le maggioranze, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria.
    3.2. Né è senza rilievo la circostanza che la riforma del diritto societario (d.lgs. n. 6 del 2003) abbia rimodulato l’art. 2373 cod. civ., il quale nella sua attuale formulazione prevede, al primo comma, che “la deliberazione approvata con il voto determinante di coloro che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società è impugnabile a norma dell’articolo 2377 qualora possa recarle danno” e, al secondo comma, che “gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità. I componenti del consiglio di gestione non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza”. Come si vede, e come evidenziato dai ricorrenti, nella nuova formulazione dell’art. 2373 cod. civ. è venuta meno la disposizione, sulla quale pure si fondava la soluzione adottata in ambito societario ai fini di poter distinguere, in tema di conflitto di interesse, il quorum costitutivo dell’assemblea da quello deliberativo della stessa (Cass. n. 2562 del 1996; Cass. n. 15613 del 2007).
    D’altra parte, il legislatore del 2012, nel riformare il condominio, nulla ha aggiunto in tema di disciplina del conflitto di interesse nell’ambito condominiale; con il che rafforzando l’interpretazione giurisprudenziale che, pur richiamando la disciplina societaria in tema di conflitto di interesse, faceva salve le specificità dell’istituto condominiale, e segnatamente quella della impossibilità di distinguere il quorum costitutivo da quello deliberativo.
    3.3. Il Collegio rileva che le argomentazioni svolte dalla sentenza n. 1201 del 2002, che consapevolmente si è contrapposta ad un precedente orientamento che aderiva alla soluzione seguita dalla Corte d’appello nella sentenza impugnata, non siano state a loro volta contrastate da successive pronunce di questa Corte. In particolare, la quasi coeva sentenza n. 10863 del 2002, probabilmente perché deliberata prima della pubblicazione della sentenza n. 1201 del 2002, non contiene altro che un richiamo al precedente orientamento e non si misura in alcun modo con gli argomenti prima evidenziati.
    Altre decisioni della Corte hanno poi interessato il diverso problema della computabilità o no dei voti espressi dal condomino che si trovi in conflitto di interessi, qualora questi sia anche rappresentante di altri condomini, ma non hanno in alcun modo considerato il profilo qui in esame (Cass. n. 10863 del 2002; Cass. n. 22234 del 2004; Cass. n. 18192 del 2009).
    In sostanza, deve qui riaffermarsi il principio per cui “in tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del conteggio del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (non debbono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto. Pertanto, anche nell’ipotesi di conflitto d’interesse, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini che rappresentino la maggioranza personale e reale fissata dalla legge e, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio, ciascun partecipante può ricorrere all’Autorità giudiziaria”.
    4. La Corte d’appello si è discostata da tale principio, sicché si impone l’accoglimento del primo motivo, con assorbimento del secondo.
    La sentenza impugnata deve essere conseguentemente cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame del gravame alla luce dell’indicato principio di diritto.
    Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.
    P.Q.M.
    La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

    Cassazione civile, sez. II, 28/09/2015, n. 19131
    Nelle assemblee condominiali, le maggioranze necessarie per il “quorum” costitutivo e deliberativo sono stabilite in misura inderogabile: per il loro calcolo non rileva la situazione di conflitto di interessi tra condomino e condominio. Al condomino in questa situazione viene riconosciuta la facoltà di astenersi o di esercitare il diritto di voto, salva l’opportunità, per gli altri condomini, di ricorrere all’autorità giudiziaria in caso di impossibilità di funzionamento del collegio o di mancato raggiungimento della maggioranza. Il principio maggioritario all’interno del condominio risponde a logiche specifiche che rendono inapplicabili per analogia le norme dettate per i quorum assembleari delle società di capitali.
    Cassazione civile, sez. II, 24/05/2013, n. 13011
    In materia di condominio, ai fini della invalidità della delibera assembleare, il conflitto di interessi può essere riconosciuto solo ove risulti dimostrata una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio.
    Cassazione civile, sez. II, 24/05/2013, n. 13011
    In tema di deliberazioni dell’assemblea di condominio, nella specie relativo ad edificio destinato all’esercizio di attività imprenditoriale, non dà luogo, di per sé, a conflitto di interessi la coincidenza, in capo ad uno dei partecipanti al voto, delle posizioni di condomino di maggioranza, amministratore del condominio e gestore dell’impresa ivi esercitata, non determinando tale situazione, caratterizzata dalla compresenza di distinti rapporti, una sicura incompatibilità con gli interessi degli altri condomini alla corretta amministrazione del condominio.
    Tribunale Roma, sez. V, 15/03/2012, n. 5411
    In tema di assemblea condominiale, laddove l’amministratore in carica sia stato munito di delega cd. “vincolata” al voto di conferma dell’amministratore medesimo e, dunque, non agisca nell’esercizio di un potere discrezionale, attenendosi – piuttosto – alla puntuale osservanza della scelta specificamente effettuata a monte dal condomino delegante, non può ravvisarsi la sussistenza di un conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato.
    Cassazione civile, sez. II, 16/05/2011, n. 10754
    In tema di validità delle delibere assembleari condominiali, sussiste il conflitto d’interessi ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo alla delibera di sistemazione del tetto e ripulitura del canale di gronda, motivatamente apprezzati nella sentenza impugnata come attività inquadrabili nella manutenzione ordinaria del fabbricato e non coinvolgenti la responsabilità del costruttore — anche condomino votante — per presunti vizi dell’edificio, tra l’altro in assenza di specifica contestazione di difetti costruttivi).
    Tribunale Prato, 24/11/2010, n. 1555
    Qualora gli argomenti sottoposti all’esame e alla decisione dell’assemblea dei condomini implichino un giudizio sulla persona e sull’operato dell’amministratore in materie inerenti alla gestione economica della cosa comune (nella specie, approvazione del bilancio consuntivo e conferma dell’amministratore), sussiste una situazione di conflitto di interessi tra amministratore e condominio, che può essere fatta valere da qualsiasi partecipante alla collettività condominiale.
    Tribunale Salerno, sez. I, 09/02/2010
    La deliberazione dell’assemblea condominiale in materie inerenti all’operato dell’amministratore circa la gestione economica della cosa comune (nella specie, approvazione del bilancio preventivo delle spese annuali) non comporta di per sè la non computabilità del voto espresso dall’amministratore per delega di taluno dei condomini, dovendo il condomino che abbia interessa all’impugnazione della delibera dedurre e provare che il condomino delegante non fosse a conoscenza o non fosse in grado di rendersi conto, con la normale diligenza, della situazione di conflitto di interessi.

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    mercoledì 15 giugno 2016
    Conflitto di interessi nel condominio


    Si parla di conflitto di interessi quando:
    vi è contrasto tra comprovate particolari ragioni personali del condomino e l’interesse generale del condominio e il soddisfacimento del primo comporta il sacrificio dell'altro;
    quando il voto del condomino in conflitto di interessi abbia determinato la volontà assembrare. (cd. prova di resistenza)
    Da un esame della giurisprudenza di legittimità e di merito relativa al conflitto di interessi sembrerebbero contrapporsi due correnti di pensiero:
    la prima ritiene che ai fini del calcolo delle maggioranze assembleari non vanno computate le quote di partecipazione condominiale e i voti dei condomini che siano in conflitto di interessi con il condominio (cfr. Cass.10683/02; Cass. 10754/11);
    la seconda sostiene al contrario che sia necessario considerare "la totalità dell'elemento personale e reale, vale a dire tutti i partecipanti ed il valore intero del condominio (cfr. Cass. 1201/02 e Caso. 19131/15).
    La pronuncia più recente, Cass. 19131/15, ha statuito che: "In tema di condominio le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell'intero edificio, sia ai fini del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto d’interesse con il condominio, i quali possono (e non debbono) astenersi dall'esercitare il diritto di voto, ferma la possibilità per ciascun partecipante di ricorrere all'autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio".
    La massima non è stata redatta nella forma migliore ed ha suscitato diversi commenti.
    Si è sostenuto (cfr. Paolo Pirruccio, Guida al Diritto II Sole 24 Ore, n. 44 del 31.10.2015) "che il principio di diritto sintetizzato a conclusione della sentenza sopraindicata non è corretto laddove, in un inciso, si afferma che i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio "possono (non debbono) astenersi dall'esercitare il diritto di voto". Questa affermazione incidentale, palesemente inconciliabile con il senso della motivazione, sarebbe infatti frutto di un errore compiuto nella redazione della massima ufficiale relativa alla sentenza n. 1201/02, poi riaffermata pedissequamente, come principio, nella motivazione della sentenza n. 19131/15".
    Evidenzia correttamente il Pirruccio che la Sentenza n. 1201/02 non statuisce in alcun punto che il condomino in conflitto di interessi non abbia l'obbligo di astenersi. Anzi afferma espressamente che al condominio, in virtù della ratio consimile, doveva estendersi il divieto di esercitare il diritto di voto, previsto in materia societaria dall'art. 2373, comma 1, c.c., per il condomino in potenziale conflitto di interessi.
    Ed ancora, che nel corpo della motivazione della sopra menzionata sentenza si legge: "anche nel caso di conflitto di interesse fra taluni condomini ed il condominio, la maggioranza richiesta per le delibere si rapporta alla totalità dell'elemento personale e reale, vale a dire a tutti i partecipanti al condominio ed al valore dell'intero edificio, e non già ai soli condomini ed ai millesimi rappresentati dai condomini, i quali possono e non debbono astenersi dall'esercitare il diritto di voto". In altri termini, i condomini che possono (e non debbono) astenersi dal voto sono solo quelli che non versano in conflitto di interessi. Nulla esclude, infatti, che un condomino, pur non presentando alcun conflitto di interessi con il condominio, preferisca astenersi dal voto, anche se non vi sarebbe tenuto.
    Pertanto il condomino in conflitto di interessi ha il dovere di astenersi e non può esercitare il diritto di voto. Qualora lo faccia, la deliberazione sarà annullabile se essa non supera la prova di resistenza (raggiungimento della maggioranza anche dopo la detrazione dei voti dei partecipanti in conflitto di interessi), quindi il condomino che ne ha interesse potrà impugnare la delibera nei termini previsti dall'art. 1137 c.c.. Il principio che la Sentenza 1201/02 e successivamente la 19131/15 hanno voluto sottolineare è che il diritto del condomino alla partecipazione all'assemblea, ed all'espressione in essa del suo voto, non può subire alcuna limitazione da parte degli altri partecipanti.
    In altri termini deve negarsi all'assemblea dei condomini la possibilità di impedire l’effettiva partecipazione alle delibere da parte di tutti i partecipanti al condominio.
    Non spetta al presidente della riunione condominiale escludere il confliggente dalla votazione ma, al più, potrebbe ammonirlo.
    II condomino in conflitto di interessi dovrebbe astenersi ma se non ottempera, nessuno può impedirgli di votare.
    II dovere - morale, ma non giuridico - di astenersi dalla relativa votazione (osserva Celeste in una bella nota pubblicata su immobili e società n. 2/2016) rientra nell'ambito della correttezza, e non può essere oggetto di coercizione.
    La valutazione circa l’esistenza di una situazione di conflitto di interessi tra condomino e condominio è rimessa esclusivamente al magistrato competente in sede di impugnazione della delibera eventualmente assunta con tale voto.
    Sempre nella motivazione della Sentenza n. 1201/02 si afferma: "in tema di condominio negli edifici - posto che, in caso di conflitto di interessi, al condomino sia vietato esercitare il diritto di voto - non si contempla nessuna ipotesi nelle quali, ai fini del quorum costitutivo e deliberativo, non si debba tener conto di tutti i partecipanti e di tutte le quote e nelle quali le maggioranze possano modificarsi in meno".
    Fino alla sentenza 1201/02 si applicava in via analogica la disciplina prevista dall'art. 2373, comma 4, c.c., (testo anteriore alle modificazioni introdotte dal D.Lgs. 6/2003) e, conseguentemente venivano detratti i condomini ed i millesimi in conflitto di interessi dal totale dei millesimi del condominio. Pertanto se i millesimi di un condomino in conflitto di interessi erano pari a 300, la maggioranza veniva calcolata sui 700 millesimi residui.
    La sentenza 1201/02 e la successiva 19131/15, invece, nell'evidenziare che nel condominio a differenza della società
    non esiste un fine gestorio autonomo;
    nell'assemblea condominiale il quorum costitutivo e quello deliberativo sono determinati con riferimento sia all'elemento personale (condomini partecipanti) che a quello reale (valore di ciascuna unità immobiliare), c.d. "doppia maggioranza",
    le disposizioni dell’art. 1136 c.c. concernenti la costituzione dell'assemblea e la validità delle delibere non sono modificabili, in virtù del disposto dell'art. 1138 comma 4 c.c. neppure con il consenso unanime dei condomini - sostengono che "le maggioranze occorrenti per la validità delle delibere in nessun caso possono modificarsi in meno".
    Bisogna comunque precisare che la soluzione adottata non ha soddisfatto tutti i commentatori: infatti, il problema sostanzialmente è rimasto perché se non si effettua la detrazione delle teste e dei millesimi dei condomini in conflitto di interessi si può ricadere, con maggiore frequenza, a causa dell’ostruzionismo degli stessi, nell'ipotesi, che dovrebbe essere assolutamente residuale, di impossibilità di funzionamento del collegio.
    Come detto la recente Sentenza n. 19131/15 non fa altro che rinviare facendole proprie a tutte le argomentazioni logico-giuridiche svolte ed ai principi enunciati nella Sentenza n. 1201/02.
    Cass. 19131/15: "il quorum deliberativo - come quello costitutivo - è determinato con riferimento sia all'elemento personale (partecipanti all'assemblea) sia all'elemento reale (valore di Ciascun piano o porzione di piano rispetto all'intero edificio, espresso in millesimi. Da nessuna norma si prevede che, ai fini della costituzione dell'assemblea o delle deliberazioni, non si tenga conto di alcuni dei partecipanti al condominio e dei relativi millesimi. Il principio maggioritario, adottato dal codice per le deliberazioni assembleari con la regola della "doppia maggioranza" è un principio specifico dell'istituto condominiale, che vale a distinguerlo dalla disciplina della comunione e della società. In quanto solo nel condominio e previsto che la maggioranza venga l'aggiunta dal punto di vista delle persone e del valore".
    Anche il periodo evidenziato nella massima della Sent. n. 19131/15 "ferma la possibilità per ciascun partecipante di ricorrere all'autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per l'impossibilità di funzionamento del collegio" è stato ripreso integralmente dalla Sent. n.1201/02 che ne spiega il significato.
    Precisa infatti la Sent. n. 1201/02 che: "Se l’assemblea non può deliberare perché nella votazione non si raggiunge la maggioranza prescritta - e da nessuno si evoca l'inconveniente della impossibilità di far funzionare il collegio - nel caso di conflitto di interessi il rimedio di attribuire alla minoranza un ingiustificato potere di deliberare sovvertirebbe gli equilibri fissati, sulla base degli elementi personale e reale, dalle regole concernenti il metodo collegiale ed il principio maggioritario. Per la verità se l'assemblea non può deliberare soccorre la disposizione contenuta nell'art. 1105 comma 4 c.c. secondo cui, quando non si formano le maggioranze, ciascun partecipante può ricorrere all'autorità giudiziaria".
    Il ricorso all'autorità giudiziaria ex art. 1105 c.c., applicabile al condominio in virtù del rinvio fissato dall'art. 1139 c.c., è esperibile, pertanto, nel caso in cui l'assemblea non possa deliberare perché nella votazione non si raggiunge la maggioranza prescritta come nel caso dell'elevato numero di condomini in conflitto di interesse o dell'elevato numero di millesimi facenti capo anche ad un solo condomino.
    Prescrive l'art. 1105 c.c.: "Se non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere alla autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore".
    Si tratta di un rimedio tutt'altro che agevole, in pratica, perché presupposti dell'azione sono:
    l'adozione di provvedimenti di ordinaria amministrazione finalizzati alla conservazione, utilizzazione e miglior godimento della cosa comune;
    la necessità del provvedimento inteso come dovuto ed indispensabile e non semplicemente opportuno.
    Il ricorso all'autorità giudiziaria ex art. 1105 c.c. presuppone ipotesi tutte riconducibili ad una situazione di assoluta inerzia in ordine alla concreta amministrazione della cosa comune per mancata assunzione dei provvedimenti necessari o per assenza di una maggioranza assembleare o per mancata esecuzione della delibera adottata, in tal senso, risolvendosi nell'adozione di atti di volontaria giurisdizione diretti a supplire od integrare, con l'intervento dell'A.G., la manchevole attività delle parti nell'amministrazione dei propri interessi, che dando luogo ad un difetto di funzionamento degli organi del condominio, paralizza la gestione della cosa comune.
    Il giudice, quindi, è chiamato ad attuare ciò che avrebbe dovuto fare il soggetto sostituito se regolarmente funzionante diversamente a ciò che accade in sede contenziosa in cui il giudice esercita la cd. iurisdictio sui diritti controversi individuando la sussistenza o meno di determinate posizioni di diritto soggettivo, arrivando anche ad una eventuale pronuncia di condanna risarcitoria.
    Con riferimento alle modalità di individuazione del conflitto di interessi, si afferma, sempre nelle motivazioni della Sentenza n. 1201/02, che "nelle società di capitali assumono rilevanza tanto lo scopo-fine, configurato dalla ripartizione degli utili a beneficio dei soci, quanto lo scopo-mezzo, consistente nell'esercizio delle attività economiche dirette alla produzione dei profitti. Nel condominio, invece, non esiste un fine gestorio autonomo: la gestione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni è strumentale alla loro utilizzazione e godimento individuali e, principalmente, al godimento individuale dei piani o delle porzioni di piano in proprietà solitaria".
    Pertanto, per poter parlare di conflitto tra il condominio ed il singolo condomino è necessario che questi sia portatore, allo stesso tempo, di un duplice interesse: uno come condomino ed uno come estraneo al condominio (e, che l'interesse sia estraneo al godimento delle parti comuni ed a quello delle unità abitative site nell'edificio) e che i due interessi non possano soddisfarsi contemporaneamente, ma che il soddisfacimento dell'uno comporti il sacrificio dell'altro.
    In tema di validità delle delibere assembleari condominiali sussiste il conflitto di interessi ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio (Cass. 10754/11; Cass. 6853/01, Cass. 15360/01).
    Non dà luogo, di per sé, a conflitto di interessi la coincidenza, in capo ad uno dei partecipanti al voto, delle posizioni di condomino di maggioranza, amministratore del condominio e gestore dell'impresa ivi esercitata, non determinando tale situazione, caratterizzata dalla compresenza di distinti rapporti, una sicura incompatibilità con gli interessi degli altri condomini alla corretta amministrazione del condominio (Cass. 13011/13).
    Ultimo accenno sui criteri di ripartizione delle spese laddove venga adottata una delibera con un condomino in conflitto di interessi. La S.C. con sentenza n. 13885/14 riportandosi ad una decisione del 1970 ha statuito che "nell'ipotesi di controversia tra condomini, l’unità condominiale viene a scindersi di fronte al particolare oggetto della lite, per dare vita a due gruppi di partecipanti al condominio in contrasto tra loro, con la conseguenza che il giudice, nel dirimere la controversia provvede anche definitivamente sulle spese del giudizio, determinando, secondo i principi di diritto processuale, quale delle due parti in contrasto debba sopportare, nulla significando che nel giudizio il gruppo dei condomini, costituenti la maggioranza, sia stato rappresentato dall'amministratore". In altri termini, la ripartizione delle spese legali, affrontate per una causa che si é persa, o per la quale il giudice ha deciso di compensare le spese affrontate, ha criteri propri rispetto al motivo della causa stessa. In sostanza, in caso di compensazione delle spese ognuno paga il proprio avvocato, in caso di condanna alle spese dichiarata dal giudice le spese sono a carico del soggetto soccombente indicato in sentenza.
    Casi pratici di possibile conflitto di interessi:
    condominio locatore e condomino conduttore;
    condomino titolare della ditta a cui vengono appaltati i lavori;
    costruttore-venditore, proprietario di numerose unità immobiliari, nei cui confronti si vorrebbe promuovere un giudizio per vizi di costruzione (1669 c.c.);
    assemblea convocata per promuovere una azione giudiziaria che vede coinvolto un condomino, o per resistere ad una domanda, o per promuovere un appello;
    amministratore-condomino che riceva deleghe da parte dei condomini per la nomina o per l’approvazione dei bilanci o comunque in tutti i casi in cui i condomini sono chiamati a valutare l'operato dell’amministratore. Divieto previsto dalla L. 220/12 che, tuttavia, non si estende ai collaboratori dell'amministratore (Cass. 18192/09);
    condomino dissenziente ex art. 1132 c.c. deve essere convocato e si deve astenere nel momento della votazione;
    portiere-condomino che voglia far valere suoi crediti di lavoro;
    condomino proprietario di albergo che abbia interesse ad effettuare interventi per motivi di sicurezza (ascensore adeguato ad invalidi, illuminazione scale con sistemi diversi da quelli esistenti, pavimentazione e corrimano a norma, ecc.).

    di Fabio Casinovi
    consulente legale ANACI Roma
    Fonte: Dossier Condominio
    Condominionews
     
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  14. adamclayton
     
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    Sì, sentenze molto interessanti, ti ringrazio.

    Qui il discorso é tuttavia un "filino" diverso: é l'amministratore ad essere accusato di appropriazione indebita
    (anche se 3 su 4 comunisti erano d'accordo col suo operato).

    Quindi controparte potrebbe dirmi: l'amministratore non poteva querelare se stesso e lo dovevo fare io, pur quotista di
    minoranza.

    Ma, in realtà non è così, mi pare: l'assemblea poteva, a maggioranza, revocarlo e/o nominare un nuovo amministratore e/o un curatore proprio per la querela
     
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  15. stracàsso
     
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    User deleted


    - Ti ho inviato quei riferimenti perché, ieri sera rileggendo il tutto, mi pareva di aver capito che uno dei comunisti (anzi,uno dei due unici consoci) era anche amministratore

    - se non è così, meglio!
     
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15 replies since 14/3/2019, 15:46   602 views
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