comodato alla coerede

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    In caso di comodato ad una sola coerede per la durata di 20 anni di una casa lasciata in eredità ab intestato a 3 sorelle,
    quid juris ?

    Il comodato é soggetto a riduzione e collazione ? Per me no. La giurisprudenza mi pare contraria.

    E se le altre sorelle volessero entrare in possesso dell'immobile per locarlo ?

    Vige solo la regola dell'art. 1809 c.c.
    per rientrarne in possesso - come temo-
    o qualcosa mi sfugge ?

    Grazie per i contributi che vorrete elargirmi.
     
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  2. ARANCIA.meccanica
     
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    Spiegati meglio. C'è una casa data in comodato ad una donna e la stessa casa è oggetto di lascito ereditario in favore di 3 sorelle, di cui una è la comodataria?
     
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    Sì.

    Il comodato (ventennale) é stato fatto pochi mesi prima della morte, per "fregare" le altre coeredi
     
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  4. ARANCIA.meccanica
     
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    CITAZIONE (eldiablo @ 1/1/2017, 19:22) 
    Sì.

    Il comodato (ventennale) é stato fatto pochi mesi prima della morte, per "fregare" le altre coeredi

    Che vuol dire fregare?
    Tizio, proprietario dell'immobile x, lo concede in comodato per 20 anni a Caia. Redige testamento e lascia lo stesso bene in eredità a Caia, Sempronia e Mevia. Giusto?
     
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    La figlia a cui é stato lasciato il bene in comodato può giovarsene anche nei confronti
    delle altre figlie divenute comproprietarie (subentrate al defunto nel contratto do comodato), perché il comodato non si estingue per morte
    del comodante.

    La successione é ab intestato.

    L'unico rimedio per le comproprietarie mi pare invocare l'art. 1809 c.c. in relazione al loro (ipotetico)
    bisogno sopravvenuto che, tuttavia, non é facilissimo da dimostrare.

    Oppure potrebbero chiedere la divisione, ma intanto il comodato opererebbe.

    Chiedevo se mi sfugge qualcosa.
     
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  6. ARANCIA.meccanica
     
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    Secondo me nel dire che il comodato non si estingue per morte del comodante, bisogna andarci piano.
    Si tratta di un contratto intuitu personae, in genere concluso in ambito familiare, amicale, ecc, anche perché si tratta di un contratto essenzialmente gratuito. Inoltre viene trasferita la sola detenzione e solo per fini determinati (uso).
    Anzi ciò è confermato proprio dalla disposizione testamentaria, che è successiva al contratto. Qualora il testatore avesse voluto conservare il comodato, avrebbe potuto riferirlo nella disposizione testamentaria oppure avrebbe potuto formularla in modo diverso, ad esempio lasciando l'usufrutto a Caia.
    C'è una sorta di antinomia. Altrimenti si dovrebbe ipotizzare una disposizione testamentaria gravata da un onere implicito.
    Diverso sarebbe stato il caso di successione legittima. Non essendoci una volontà del testatore, non ci sarebbe stata incompatilibilità. Ma qui si ritorna al discorso dell'intuitu. Cioè è il proprietario-possessore che cede la detenzione ad un soggetto affinché se ne serva. Cambiando la proprietà-possesso, cambia tutto.
    Poi che la giurisprudenza dica tutto e il contrario di tutto, ce ne frega tanto poco quanto niente. :lol:


    Vedi che ho trovato
    E' discusso se la morte del comodante provochi la scioglimento del contratto (Per l'opinione negativa LUMINOSO. In senso contrario: in giurisprudenza: Cass. 4258/1991; in dottrina SCOZZAFAVA, argomentando dal fatto che il comodato è contratto intuitu personae.

    https://books.google.it/books?id=1ltG88lQ0...%2F1991&f=false
     
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  7. emiemi
     
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    La casa è l'unico cespite?
     
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    1344 c.c. ?
     
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  9. emiemi
     
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    Concordi con emiemi

    Ma quale é la nozione esatta di "peso ereditario" contemplato dall'art. 549 c.c. ?

    Non la ritrovo negli indici del mio c.c.
     
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  11. attalo
     
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    Credo che la risposta sia in questa sentenza della Cassazione Civile n. 24866/2006: “In tema di divisione ereditaria, non è qualificabile come donazione soggetta a collazione il godimento, a titolo gratuito di un immobile concesso durante la propria vita dal “de cuius” a uno degli eredi, atteso che l’arricchimento procurato dalla donazione non può essere identificato con il vantaggio che il comodatario trae dall’uso personale e gratuito della cosa comodata, in quanto detta utilità non costituisce il risultato finale dell’atto posto in essere dalle parti, come avviene nella donazione, bensì il contenuto tipico del comodato stesso. A tal fine non solo si deve escludere che venga integrata la causa della donazione (in luogo di quella del comodato) nell’ipotesi in cui il comodato sia pattuito per un periodo alquanto lungo o in relazione a beni di notevole valore, ma rileva la insussistenza dell'”animus donandi”, desumibile dalla temporaneità del godimento concesso al comodatario”.
    Il comodato non è quindi annoverabile tra le donazioni indirette e pertanto non è soggetto a collazione.
     
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  12. ARANCIA.meccanica
     
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    Dire che il comodato per 20 anni concesso da una persona in fin di vita non è una donazione indiretta, è una affermazione forte. Che altro sarebbe? Un gelato con la panna? 😁
     
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    C'é giurisprudenza contraria, ma trovo dottrina che mi dice che il comodato può essere assimilato ad una liberalità indiretta. Se avete dottrina che lo confermi, me la segnalate, per cortesia ?
     
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  14. matusalemme1
     
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    Il Corriere Giuridico, 3 / 1999, p. 329

    QUALIFICAZIONE GIURIDICA E FORMA RICHIESTA NEL COMODATO A VITA DI UN BENE IMMOBILE

    Paolo Morozzo Della Rocca

    Riferimenti

    Cassazione Civile Sez. III Sentenza 06-10-1998 n. 9909



    Sommario: Comunione ordinaria e comunione legale - Comodato vita natural durante e termine di efficacia del contratto - La forma del contratto - Relazioni familiari e rilevanza giuridica del vincolo


    Una vicenda emblematica


    Particolarmente intricante, perché evocativa di molteplici scenari, pare essere la vicenda sottostante alla pronuncia in commento.

    Un figlio ormai adulto, sposato e con figli, consegna al padre un immobile facente parte della comunione legale al fine di dotarlo di un'abitazione per la restante parte della sua vita [1].

    La nuora non è certo lasciata all'oscuro. Ella tuttavia, da quanto è dato di capire in motivazione alla sentenza, non partecipa né si oppone a quell'atto che il marito ha compiuto, probabilmente, nel modo in cui spesso si prendono e mantengono le decisioni all'interno della cornice familiare: prima un «parlottare» in famiglia con la moglie, forse già dubbiosa ma priva della volontà di opporsi, poi, semplicemente, la consegna delle chiavi al padre.

    La successiva morte del marito muta però gli equilibri familiari e forse anche le condizioni economiche della famiglia, spingendo la donna a richiedere al suocero la riconsegna dell'immobile.

    Ne segue una lite giudiziaria nel corso della quale viene individuata nella consegna dell'immobile al suocero la conclusione di un contratto di comodato, come tale non richiedente la forma scritta; ma che avrebbe invece richiesto, a termini dell'art. 180 comma 2, c.c., in quanto atto attributivo di un diritto personale di godimento su di un bene posto in regime di comunione legale, la partecipazione della ricorrente.

    I giudici, però, constatano la validità del contratto di comodato in ragione dell'inerzia della donna che non aveva esperito l'azione di annullamento entro i termini previsti dall'art. 184 c.c.

    Viene poi escluso dal Supremo Collegio che nel caso di specie sia configurabile un comodato c.d. precario, ricorrendo il quale il concedente - e dunque la moglie ed i figli, suoi aventi causa a titolo universale in quanto suoi eredi - avrebbe conservato la facoltà di recedere ad nutum dal rapporto.

    A quest'ultima conclusione i giudici giungono constatando che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, un termine di efficacia del contratto sia individuabile nel riferimento alla vita del comodatario; costituendo purtroppo un evento certo, almeno nell' an , la morte di quest'ultimo, il quale dunque, sino a quella data, potrà rimanere il legittimo e qualificato detentore dell'immobile.

    Non potendo prescindere dall'accertamento dei fatti compiuto dai giudici del merito, la pronuncia in esame non fa che ricomporre le tessere del mosaico, ciascuna delle quali corrispondente ad uno degli istituti giuridici evocati dalla vicenda.

    L'immagine che ne risulta è ben nitida ed anche coerente con i precedenti orientamenti giurisprudenziali della Cassazione; sembra quindi opportuno ripercorrere innanzitutto le linee essenziali che la compongono.

    Comunione ordinaria e comunione legale

    L'assunto proposto dai ricorrenti è che il contratto di comodato non fosse opponibile alla moglie, in quanto essa, comproprietaria del bene, non aveva partecipato all'atto.

    Tale argomento, però, non poteva trovare accoglimento, ostandovi la diversa natura e disciplina della comunione legale rispetto alla comunione ordinaria.

    La comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza di quella ordinaria, è priva di quote [2]. Pertanto i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni in comunione e v'è l'impossibilità giuridica della partecipazione alla stessa di estranei. Ne consegue che, nei rapporti con i terzi ciascun coniuge può disporre dell'intero bene comune; anche se per la regolarità del procedimento negoziale è richiesto il consenso dell'altro coniuge, la cui mancanza costituisce però, per espressa previsione di legge, un vizio da far valere ai fini dell'annullamento, secondo la disciplina dettata dall'art. 184 c.c., e non invece una causa di nullità, come sarebbe ove il bene fosse da intendersi compreso in una comunione di diritto civile [3].

    In tal caso, infatti, il comodante avrebbe disposto di un diritto non proprio, contravvenendo in primo luogo al disposto di cui all'art. 1103 c.c., e compiendo altresì un atto di straordinaria amministrazione assai più pregiudizievole di una locazione ultranovennale, vista anche l'assenza di un corrispettivo alla dazione in godimento del bene. Si sarebbe, allora, potuta dichiarare l'inefficacia assoluta del contratto di comodato a vita e chiedere la riconsegna dell'immobile, essendovi, tra l'altro, l'unanime volontà dei comunisti a seguito della successione della vedova e dei figli nei diritti del comodante deceduto [4].

    Ma così non è perché il caso di specie riguarda un bene sottoposto al regime di comunione legale tra i coniugi. Pertanto la donna, pur non avendo partecipato alla stipula del negozio ed anche in mancanza di un successivo atto di convalida, è tuttavia parte nel rapporto che ne consegue in quanto contitolare del bene [5], non avendo per tempo agito per l'annullamento ai sensi dell'art. 184 c.c. [6]. Essa, inoltre, è tenuta al rispetto del termine contrattuale anche nella qualità di erede del coniuge deceduto. Benché, infatti, nel vigente codice civile non sia stata riprodotta, in quanto superflua, la norma dell'art. 1807 cod. civ. del 1865 [7], le medesime conclusioni sono agevolmente desumibili dai principi generali delle successioni mortis causa , oltre che dal precetto di cui all'art. 1811 c.c., per il quale solo in caso di morte del comodatario si può esigere dagli eredi la immediata restituzione della cosa [8].

    Comodato vita natural durante e termine di efficacia del contratto

    Diversa sarebbe, ovviamente, la posizione degli attori se il comodato oggetto della lite dovesse considerarsi privo del termine di efficacia.

    In tal caso non potrebbe certo trovare applicazione l'art. 1183 c.c., ai sensi del quale il giudice può stabilire il tempo in cui deve avvenire l'esecuzione della prestazione promessa nei casi in cui sul punto manchi un accordo delle parti. Si opererebbe, altrimenti, una indebita sovrapposizione tra il termine per l'adempimento di un contratto il cui regolamento sia rimasto privo di un elemento necessario alla sua esecuzione ed il termine di efficacia del contratto stesso, che trova una sua esplicita regolamentazione, nel caso del comodato, agli artt. 1809 ss., c.c. [9].

    In particolare, l'art. 1810 c.c. stabilisce, in prima approssimazione, che ove un termine (di efficacia) non sia stato convenuto - e questo non sia nemmeno desumibile dall'uso cui la cosa sia stata destinata in forza del contratto [10] - il comodatario è tenuto a restituire la cosa non appena il comodante la chieda; dando tuttavia al comodatario un congruo termine per provvedere al rilascio là dove ciò sia imposto dalla buona fede, in relazione alle particolari circostanze nelle quali si colloca il rapporto contrattuale [11]. Ma nel caso di specie non costituisce oggetto di dubbio, almeno davanti alla Suprema Corte, che il comodato sia stato stipulato a favore del comodatario vita natural durante ed abbia dunque un termine legale di durata.

    Infatti, la morte del comodatario, come già fugacemente s'è accennato in limine a queste brevi note, sebbene costituisca un evento incerto sul quando, corrisponde comunque ad un evento certo nell' an ; e tanto basta perché essa possa svolgere la funzione di termine di efficacia in un contratto [12].

    Deve quindi trovare applicazione l'art. 1809 c.c., ai sensi del quale l'obbligo di restituzione della cosa sorge a carico del comodatario solo alla scadenza del termine convenuto, salva l'eventuale sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno del comodante.

    Deve però darsi conto di un'opinione dottrinale, del tutto condivisibile, secondo la quale la previsione contrattuale del termine fissato in coincidenza con la morte del comodatario dovrebbe essere correttivamente integrata, nei comodati aventi ad oggetto beni immobili, dal disposto di cui all'art. 1573 c.c., il quale stabilisce che le locazioni stipulate per un termine superiore ai trent'anni siano ridotte nella loro efficacia a tale limite massimo [13].

    L' analogia iuris è infatti qui resa doverosa dalla considerazione che la ratio sottostante all'art. 1573 c.c. è rinvenibile con anche maggior evidenza nel comodato di beni immobili. In tal caso, infatti, deve presumersi che il sacrificio sopportato dal comodante sia maggiore di quello sopportato da chi invece abbia dato in locazione un bene del medesimo valore dietro corrispettivo di un canone [14].

    La forma del contratto

    La prevalente dottrina ritiene, con la giurisprudenza, che il comodato, ancorché ultranovennale, o comunque di lunga durata, non richieda la forma scritta [15]. Di tale orientamento è ben consapevole la difesa dei ricorrenti, la quale infatti tenta di presentare l'assunto relativo al preteso vizio di forma ipotizzando, in via subordinata, la presenza di un contratto attributivo di un diritto reale di abitazione, nullo per mancanza di forma.

    Assunto però tardivo, oltre che mal fondato. Infatti, la rassomiglianza tipologica tra il comodato vita natural durante ed il diritto di abitazione importa semplicemente la necessità di un'indagine in fatto del giudice del merito al fine di acclarare se le parti abbiano effettivamente voluto concludere un contratto costitutivo dell'una o dell'altra fattispecie potendone in entrambe le ipotesi derivare il diritto di abitare l'immobile per il tempo residuo di vita del beneficiario, pur differenziandosi radicalmente gli effetti (obbligatori nell'un caso, reali, nell'altro) e le facoltà attribuite [16].

    È invece da chiedersi se il prevalente orientamento dottrinale e giurisprudenziale affermativo della forma libera per il comodato vitalizio, o comunque ultranovennale, di beni immobili - confermato in ultimo proprio dalla sentenza in commento - non debba divenire oggetto di una critica rivisitazione.

    Al riguardo due paiono essere i possibili itinerari, talvolta già esplorati dalla minoritaria dottrina. Il primo - e più ovvio - muove da una riflessione sulle regole relative alla forma nei contratti, con particolare riferimento a quelle relative ai contratti aventi ad oggetto diritti di godimento sui beni altrui.

    Il perno essenziale sul quale innestare ogni successivo ragionamento consiste nel ritenere che le norme sulla forma non costituiscano necessariamente delle eccezioni al principio generale della forma libera, individuando invece una varietà di settori nei quali poter considerare il formalismo contrattuale, di volta in volta, la regola o l'eccezione ad essa; od almeno, proponendo una interpretazione estensiva delle norme sul formalismo che ne salvaguardi, almeno sul piano declamatorio, l'eccezionalità [17].

    Postulata tale premessa, il fatto che l'art. 1350 c.c. menzioni specificamente tra i negozi che devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità, i contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni (n. 8), ed i contratti di società o di associazione con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri diritti reali immobiliari per un tempo eccedente i nove anni (n. 9), non esclude che la medesima norma trovi applicazione anche agli altri contratti aventi il medesimo oggetto, «e cioè, il trasferimento, la modifica o la rinunzia a diritti reali immobiliari o la concessione ultranovennale di diritti di godimento» [18].

    È indubbio, infatti, che un identico regime formale per negozi aventi il medesimo principale effetto giuridico, attributivo di un diritto (personale) di godimento ultranovennale, condurrebbe ad una maggiore razionalità il sistema. Non può infatti sfuggire all'interprete il paradosso costituito dalla validità del comodato ultranovennale amorfo, in quanto ciò comporta, a parità degli effetti attributivi, che il contratto gratuito sia meno formale del contratto a titolo oneroso, «mentre la donazione è invece più solenne della vendita!» [19].

    Il punto è dunque quello di valutare se tale razionalità sia già rinvenibile nel sistema stesso attraverso l'ermeneusi o se invece occorra attendere un nuovo ed improbabile intervento del conditor iuris.

    Un secondo itinerario, a critica dell'asserita libertà di forma del comodato vitalizio di beni immobili, è stato percorso - pur se anch'esso senza il favore né della restante dottrina né della giurisprudenza - ipotizzando che tale fattispecie potesse rientrare nella figura giuridica della donazione.

    Quest'ultima era già stata l'opinione di una dottrina ormai risalente, la quale, in base alla valutazione di talune circostanze, come il valore della cosa data in comodato e la significativa durata del rapporto, aveva ritenuto che questo contratto - come ogni altro contratto a titolo gratuito - determinando un arricchimento del beneficiario, potesse configurarsi come donazione e richiedere pertanto la redazione in forma pubblica [20].

    A lungo rifiutata dalla dottrina, questa opinione sembra ora trovare significativa eco in un recente contributo [21].

    L'autore, dopo aver tracciato la più generale distinzione tra negozi gratuiti e negozi liberali, collocando nella seconda categoria tutti gli atti nei quali vi sia da parte del disponente lo scopo dell'arricchimento del donatario, individua la fattispecie donativa in tutti i casi nei quali lo scopo di arricchimento, oltre che voluto, si sia anche realizzato; mentre si avrebbe un atto di liberalità quando, pur non realizzandosi l'arricchimento, questo risulti comunque essere stato l'obiettivo perseguito dagli autori del negozio.

    In base a tali premesse dovrebbero quindi essere soggetti alla disciplina prevista dal codice per la donazione, anche quei contratti - pur sussumibili entro schemi formali tipici, quali il mutuo od il comodato - che rechino in se stessi, alla stregua di una valutazione in concreto, il fine obiettivato e raggiunto dell'arricchimento del beneficiario.

    Alle tesi ora brevemente riportate è stato obiettato, tra l'altro, che «se il comodato è l'atto a titolo gratuito con il quale si concede un diritto personale di godimento non si vede come analogo contenuto possa avere la donazione» [22]. Ma tale obiezione, per quanto di non lieve spessore sistematico, potrebbe non essere decisiva, poiché l'interprete deve, da un lato, considerare l'estrema ampiezza della definizione codicistica del contratto di donazione, entro la quale rientrano anche le obbligazioni, sì da creare problemi di sovrapposizione anche con altre figure contrattuali, prima fra tutte il c.d. contratto unilaterale di cui all'art. 1333 c.c.; dall'altro, potrebbe pure sostenersi che le ambigue radici del comodato, certamente non estranee all'ambito dei rapporti c.d. di cortesia, potrebbero suggerirne una lettura prudente e ridimensionata, a favore di una maggiore operatività dell'istituto donativo.

    Relazioni familiari e rilevanza giuridica del vincolo

    Vero è che, alla luce dei prevalenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali relativi alle questioni di diritto poste alla Suprema Corte, la decisione da questa resa risulta ampiamente scontata.

    Un diverso epilogo la vicenda avrebbe potuto ricevere solo di fronte ad una differente qualificazione del fatto della consegna al convenuto dell'abitazione da parte del figlio.

    Sono note le tesi secondo cui la realità di taluni contratti gratuiti fungerebbe come una sorta di adempimento formale sostitutivo della causa [23]. Ed è stato anche osservato - forse più a completamento che non a smentita di quelle tesi - che la consegna del bene avrebbe la funzione di segnare il passaggio dall'ambito dei rapporti di cortesia a quello di un rapporto giuridicamente rilevante [24].

    Tuttavia, non sembra che, nella cerchia dei rapporti familiari ed in genere in quella dei rapporti caratterizzati da una più intensa socialità ed affettività, la sola consegna del bene, ancorché si tratti di un bene immobile - dotato, quindi, di un rilevante valore economico - sia sufficiente a fornire un riscontro oggettivo della volontà dei soggetti di porre in essere un rapporto giuridicamente vincolante; e dunque, come nel caso di specie si è invece accertato, un contratto di comodato a termine [25].

    Infatti, più intenso è il legame comunitario che unisce tra loro i soggetti e più ambiguo risulterà il fondamento, giuridico o meno, delle loro relazioni di natura patrimoniale.

    Ed ecco allora che, sul piano dell'accertamento in fatto dell'esistenza di un contratto dovrebbe contare in termini decisivi la sua consacrazione formale in un atto scritto.

    Anche perché nell'ambito familiare le promesse di fedeltà e di perpetuità delle reciproche devozioni e servizi costituiscono parte di un gioco nel quale sia le iperboli, sia i fingimenti o nascondimenti utilizzano volentieri lo strumento rassicurante ma leggero della parola; mentre i gesti, compreso quello della consegna del bene, vedono sminuita la loro inequivocabilità nei riguardi di soggetti che vantino una particolare familiarità o frequentazione della persona e dei suoi beni.

    Tuttavia, forse perché umanamente sensibile alla sorte delle vedove, ma anche al destino dei padri, dei figli o degli amanti, il giudice italiano sembrerebbe propenso ad apprezzare positivamente la rilevanza giuridica delle dichiarazioni pronunciate nell'ambito familiare o quasi-familiare, quando esse riguardino il godimento di un'abitazione nella quale il presunto beneficiario sia stato effettivamente introdotto.

    Questo, almeno, è quanto pare di dover constatare alla lettura di una breve rassegna di decisioni rese dai giudici del merito in tema di comodato vita natural durante [26].

    Non solo anziani genitori, ma anche domestici e segretarie sembrano essere i principali ispiratori di un indirizzo della giurisprudenza pratica volto a riconoscere l'esistenza di contratti di comodato - ed in specie di quelli vita natural durante del comodatario - anche dove tale vincolo non risulti tangibilmente o univocamente dalla volontà del comodante, al fine di salvaguardare esigenze d'ordine morale.

    Siamo qui a stretto ridosso con le obbligazioni naturali; o meglio, al tentativo di utilizzare il momento della qualificazione del contratto come leva per attribuire rilevanza a doveri di solidarietà che altrimenti non riuscirebbero a trovare un riconoscimento giuridico altrettanto efficace.

    Del resto alla stessa meta, pur percorrendo altri sentieri, è volto un recente contributo dottrinario nel quale il dovere di solidarietà nei confronti degli appartenenti alla comunità familiare è presentato come fondamento di atti negoziali attributivi di beni al coniuge od altri familiari, considerati validi in quanto negozi di adempimento di un'obbligazione naturale [27].

    Ed a questo riguardo utili spunti di riflessione provengono, in ultimo, da una recente pronuncia del pretore di Pordenone il quale, qualificando il relativo rapporto come un contratto di fatto di comodato, ha ritenuto esistere in capo al proprietario di un'abitazione l'obbligo, derivante dal principio di buona fede, di comunicare con congruo preavviso all'ex convivente more uxorio la propria volontà di tornare a godere in modo esclusivo dell'abitazione in passato adibita a casa parafamiliare [28].

    Sembra tuttavia legittimo scorgere, dietro quel sottile e trasparente paravento della categoria dei rapporti contrattuali di fatto, la realtà di un contatto sociale alieno a qualsiasi sua definizione legale e purtuttavia sufficientemente intenso da indurre il giudice a connettervi una tutela, prudentemente mascherata dalla mentitoria qualificazione in termini contrattuali.

    È da chiedersi, allora, se la figura del comodato non sia in realtà utilizzata dai giudici del merito come mero espediente per dare effettività a fatti diversi dal contratto e dall'atto illecito e pur tuttavia giudicati idonei a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico, a termini dell'art. 1173 c.c.; senza così dover affrontare le inevitabili censure davanti al giudice di legittimità [29].

    Note:

    [1] La figura del comodato vita natural durante è ben conosciuta dalla giurisprudenza. Cfr., ad esempio, Cass. 24 aprile 1957, n. 1384, in Giur. it., 1958, I, 1, 383; Cass. 3 febbraio 1978, n. 511; Cass. 17 giugno 1980, n. 3834, in Giur. it., 1981, I, 1, 1516 ss.

    [2] In argomento: Schlesinger, Note introduttive agli articoli 177-197, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo, Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, 368 ss; Gabrielli G. e Cubeddu, Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, 1997, 105 ss.

    [3] Così Cass. 14 gennaio 1997, n. 284.

    [4] Sul punto, con riferimento, a dire il vero, ad ipotesi riguardanti contratti di locazione ultranovennali da parte di comunisti proprietari di una sola frazione del bene dato in locazione, cfr. Cass. 9 novembre 1982, n. 5890, in Giust. civ. Mass., 1982, n. 10-11; Trib. Cagliari 7 giugno 1993, in Riv. giur. sarda, 1994, 394 ss.

    [5] Così Cass. 24 febbraio 1986, n. 1136, in Vita not., 1986, 289 ss.; Cass. 21 dicembre 1987, n. 9523; Cass. 18 ottobre 1994, n. 8469, in Arch. loc., 1995, 383 ss.; Cass. 17 dicembre 1994, n. 10872, in Vita not., 1995, 758; Cass. 2 febbraio 1995, n.1252, in Vita not., 1995, 759 ss.

    [6] La brevità del termine di prescrizione dell'azione di annullamento di cui all'art. 184 c.c. viene giustificata in ragione delle particolari esigenze di contemperamento dell'interesse del coniuge leso con quello del terzo alla salvezza degli effetti dell'atto. Così Corte cost. 17 marzo 1988, n. 311, in Vita not. 1988, 640 e Foro it., 1990, I, 2146; Cass. 22 luglio 1987, 6369, in Giust. civ., 1988, I, 135 ss. e in Dir. fam. pers., 1988, 786 ss.; Cass. 18 luglio 1988, n. 7055.

    [7] A termini del quale le obbligazioni che si contraggono in forza di comodato passano agli eredi del comodante.

    [8] Così, oltre alla sentenza in commento, Cass. 12 settembre 1968, n. 2927; Cass. 10 aprile 1970, n. 986; Cass. 17 giugno 1980, n. 3834, cit. Ma ad una diversa conclusione è giunta Cass. 19 aprile 1991, n. 4258, in Giur. it., 1992, I, 1, 346 ss.

    [9] Sulla distinzione tra termine negoziale e termine di adempimento, cfr., di Majo, Le modalità dell'obbligazione, Bologna, 1986, 630 ss.

    [10] Occorrerà allora una specifica destinazione del bene, restando il termine individuato attraverso le particolari prescrizioni e limitazioni dettate per il suo godimento. Sul punto, tra molte, Cass. 8 marzo 1995, n. 2719, in Giust. civ., I, 1773 ss., con nota di de Tilla, Sulla durata del comodato.

    [11] Sul punto cfr. Canale, Comodato «vita natural durante», in Giur. it., 1992, I, 1, 1820. Nonché, per la più recente giurisprudenza: Pret. Pordenone 9 maggio 1995, ord. in Nuova giur. civ. comm., I, 1997, 240 ss., con nota di commento di Lepre, Abitazione «parafamiliare» e problemi possessori.

    [12] Così, tra molte, Cass. 13 settembre 1963, n. 2502, in Giust. civ., 1963, I, 2292; Cass. 10 gennaio 1981, n. 211.

    [13] In tal senso, cfr. Teti, voce Comodato, in Dig., disc. priv., sez. civ., III, 1988, 44.

    [14] Costituisce, invece, norma speciale non riassuntiva di un principio generale, nemmeno ratione materiae, l'art. 1607 c.c., il quale del resto è a sua volta derogato dalle disposizioni contenute dalla legislazione del settore.

    [15] Così, per tutti, Luminoso, voce Comodato, in Enc. giur., VII, Roma, 1988, 2; Bonacci, In tema di comodato vita natural durante, in Dir e giur., 1968, 774 ss. In giurisprudenza: Cass. 23 febbraio 1981, n. 1083, in Giur. it. Rep., 1981, voce Comodato, n. 7; Cass. 25 giugno 1977, n. 2732, in Giur. it. Rep., 1977, voce cit., n. 8; Cass. 4 dicembre 1990, n. 11620, in Giur. it., 1992, I, 1, 1810 ss., con nota di Canale, Comodato «vita natural durante».

    [16] Potendo, ad esempio, il comodatario utilizzare il bene per fini diversi dall'abitarvi, purché a ciò autorizzato dal contratto, mentre tale facoltà è impedita al titolare di un diritto di abitazione. Sulla distinzione tra diritto reale di abitazione e comodato, cfr.: Cass. 24 aprile 1957, n. 1384, cit.; App. Napoli 12 luglio 1968, in Dir. giur., 1968, 774 ed in Giur. it., 1970, I, 2, 82

    [17] Assumono un atteggiamento variamente critico rispetto al dogma della libertà di forma nei contratti: Scalisi, La revoca non formale del testamento e la teoria del comportamento concludente, Milano, 1974, 386 ss.; Irti, Idola libertatis, Milano, 1985, spec. 20 s., 59 e 83 ss.; Perlingieri, Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli, 1987, spec. 60 s., 118 ss., 151 s.; Vitucci, Applicazioni e portata del principio di tassatività delle forme solenni, in La forma degli atti nel diritto privato, Studi in onore di Michele Giorgianni, Napoli, 1988, spec. 821 ss.

    [18] Così Bianca C.M., Il contratto, Milano, 1987, 282. Tuttavia questo autore afferma successivamente l'eccezionalità delle norme statuenti oneri formali, osservando però che ciò non impedirebbe l'applicazione in via estensiva delle norme stesse a fattispecie che presentino la medesima operazione economica o la medesima vicenda giuridica.

    [19] Così Sacco, in Sacco e De Nova, Il contratto, I, 607, il quale tuttavia ritiene che la serietà e ponderatezza del volere siano qui garantite dalla necessità della consegna del bene ai fini della conclusione del contratto di comodato.

    [20] Così Ascoli, Trattato delle donazioni, Milano, 1953, 134.

    [21] D'Ettore, Intento di liberalità e attribuzione patrimoniale. Profili di rilevanza donativa delle obbligazioni di fare gratuite, Padova, 1996, spec. 52 ss.

    [22] Così Teti, op. cit., 39. Ma sul punto, già in senso altrettanto critico, cfr. Giampiccolo, Comodato e mutuo, Milano, 1972, 11, n.21.

    [23] In tal senso Forchielli, I contratti reali, Milano, 1952, 97 ss.; Scozzafava, , Il comodato, in Trattato di diritto privato (diretto da) Rescigno, 12, Torino, 1985, 615.

    [24] Sul punto, cfr. Brunori, Del comodato, Firenze, 1949, 10 ss.; Carresi, Il comodato. Il mutuo, Torino, 1954, 13 ss. Sulla funzione della consegna in luogo della causa, cfr. Sacco, op. cit., 704 ss.

    [25] Né può essere condivisa l'opinione secondo cui non vi sarebbe nei contratti reali, ed in particolare nel comodato, la necessità del consenso e dunque dell'intento negoziale, sostenendosi, se non sempre consapevolmente almeno implicitamente, la funzione sostitutoria della consegna rispetto al requisito dell'intento giuridico In tal senso, ad esempio, alcuni cenni contenuti in Carresi, Il contratto, I, cit., 21.

    [26] Rassegna composta nel contesto di una brillante nota a sentenza da Canale, op. cit., 1809 s.

    [27] Così Oppo, La prestazione in adempimento di un dovere non giuridico (cinquant'anni dopo), in Riv. dir. civ., 1997, I, 515 ss.

    [28] Pret. Pordenone, cit.

    [29] Nel senso che la convivenza more uxorio, e più in generale i rapporti di fatto, debbano essere riconosciuti nella loro rilevanza giuridica prescindendo dalla nozione parallela di contratto, cfr., da ultimo, Stanghellini, Contributo allo studio dei rapporti di fatto, Milano, 1997, 29 ss.

    Una riflessione sui fatti diversi dal contratto e dall'illecito, idonei a produrre obbligazioni, in rapporto al principio di solidarietà, è svolta da Breccia, Le obbligazioni, Milano, 1991, 111 ss.; Cannata, Le obbligazioni in generale, in Trattato Rescigno, 9, Torino, 1984, 25 ss.; di Majo, Delle obbligazioni in generale, Bologna-Roma, 1988, 173 ss. Sia inoltre consentito di rinviare a P. Morozzo della Rocca, Gratuità, liberalità e solidarietà. Contributo allo studio della prestazione non onerosa, Milano, 1998, spec. 221 ss.









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    A. Milano, 17-12-2004 in Nuova giur. civ., 2005, I, 688, nota di LEONARDI.

    L’attribuzione, per un tempo considerevole, da parte del de cuius, ad uno degli eredi di un appartamento in uso gratuito, costituisce donazione indiretta, realizzata attraverso lo schema del comodato gratuito ed il relativo valore, pari all’ammontare complessivo dei canoni di locazione, con riferimento al momento dell’apertura della successione, va computato ai fini della determinazione della porzione disponibile; lo spirito di liberalità, in tal caso, può anche essere accertato presuntivamente, essendo individuabile in re ipsa.
     
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  15. matusalemme1
     
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    User deleted


    vai su Google www, avv.Paolo Nesta- Comodato di Paolo Franceschetti
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    Parte della dottrina afferma invece che quando il comodato assume un certo valore economico (come ad esempio il comodato immobiliare di lunga durata) integra gli estremi di una donazione indiretta (FRAGALI, MICCIO, TAMBURRINO, CARRESI).

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52 replies since 1/1/2017, 15:31   2072 views
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