Tracce febbraio 2012

e migliori elaborati per ciascuna materia

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    Civile

    L'efficacia del contratto sui terzi, con particolare riferimento agli effetti di protezione.

    Assegno per marzo: i diritti reali.

    Penale

    Traccia 1 - Legalità e colpevolezza nelle scriminanti.
    Traccia 2 opzionale - I reati di pericolo: problemi di costituzionalità delle fattispecie anche alla luce del principio di precauzione.
    Assegno per marzo: Il reato omissivo improprio. Il concorso di persone.

    AMMINISTRATIVO

    L'attività autoritativa della pubblica amministrazione: discrezionalità tecnica, attività vincolata, discrezionalità amministrativa e merito. Si soffermi il candidato sulle tecniche di sindacato da parte del giudice, con particolare riferimento alle prove nei concorsi pubblici.

    Suggerimento: la traccia e' notevolmente complessa. Si consiglia di mettere in relazione la seconda parte con tutte le forme della attività amministrativa autoritativa della seconda parte, soffermandosi sulle ricadute nei concorsi pubblici in generale (non solo temi, ma anche prove preselettive, le quali ultime, come e' noto, presentano dei margini di opinabilità molto più limitate)

    Assegno marzo: pubblico impiego.

    Note: se perverranno buoni temi, il migliore verra pubblicato sulla rivista nuove frontiere del diritto numero di marzo a firma del redattore, al quale potrà essere proposta una collaborazione a discrezione del comitato scientifico, laddove siano rinvenute qualità apprezzabili.
    Rimane fermo il principio per cui non si debbono utilizzare testi in ausilio nella redazione della traccia, pena la inidoneità del plano.
     
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    miglior tema civile
    L’efficacia del contratto sui terzi, con particolare riferimento agli effetti di protezione

    L’efficacia del contratto sui terzi è fenomeno, che va ascritto nel più ampio ambito di tutti quei casi in cui, un soggetto dell’ordinamento subisca un decremento o un incremento (effetti favorevoli o sfavorevoli) del proprio patrimonio giuridico, inteso come complesso di tutte le situazioni giuridiche di cui esso sia titolare, a prescindere da una sua manifestazione di volontà.
    Detto altrimenti, tale fenomeno può avere varia natura. Ha natura negoziale quando la fonte di tale effetto sia un negozio giuridico. Il negozio a sua volta potrà essere unilaterale (testamento) oppure bilaterale (contratto a favore di terzi); potrà avere natura normativa quando la sua fonte sarà la legge (es. espropriazione); potrà avere, infine, natura giudiziale quando tale fenomeno troverà la sua fonte in un provvedimento giurisdizionale (es. sentenza di condanna).
    In tutte queste ipotesi, al fine di poter considerare lecito tale fenomeno (rectius effetto), si pone sempre la necessità di risolvere il problema del bilanciamento, ovverosia del contrasto tra valori costituzionali.
    Nel caso dell’espropriazione (che determina un effetto sfavorevole nella sfera giuridica del destinatario importandogli la perdita della proprietà di un bene), essa è ammessa o meno, all’esito del contemperamento tra il valore costituzionale del riconoscimento della proprietà privata (art 42 Cost.) con altro valore costituzionale (ad esempio la salvaguardia della salute art.32 Cost.). Ogni qualvolta prevale il secondo (con sacrificio della proprietà privata), si ammette l’espropriazione (effetto sfavorevole).
    Ebbene, tale bilanciamento, va operato anche nel caso in cui tale effetto, del tutto scollegato dalla volontà del soggetto destinatario, promani dall’attività negoziale, e per quello che afferisce più nello specifico il nostro tema, dall’attività contrattuale. In realtà, per taluni (la maggioranza), il contrasto è solo apparente e quindi non sarà necessaria alcuna operazione di bilanciamento.
    L’apparente contrasto , qui attiene al valore costituzionale dell’autonomia privata (art. 41 Cost.) con il principio di libertà di autodeterminazione (art. 13 Cost.).
    L’autonomia privata consiste nel potere di disposizione delle proprie situazioni giuridiche (ampio genere ricomprendente eterogenei istituti quali diritti, doveri, interessi legittimi, potestà, status e così via). Il potere di disposizione può consistere in attività giuridica che, a sua volta, può avvenire in via negoziale o contrattuale (a seconda se l’atto sia un negozio o un contratto). L’art. 1322 c.c., che disciplina l’autonomia contrattuale (rectius attività contrattuale), statuisce che essa è tipica (quando si usano gli schemi predisposti dal legislatore) o atipica (quando si crea un nuovo schema). L’attività atipica, poi, deve essere finalizzata ad un interesse meritevole di tutela (e cioè in linea con norme imperative, ordine pubblico e buon costume). L’attività giuridica può, infine, incontrare limiti, anche in conseguenza della natura giuridica della situazione sulla quale si va ad agire (il diritto al nome, per esempio, è indisponibile e quindi intrasferibile, salvo deroghe legislative).
    La libertà di autodeterminazione, di converso, consiste nella necessità del soggetto di volere le modifiche che coinvolgono la propria sfera giuridica. Tanto è vero, che la manifestazione di volontà è elemento costitutivo della fattispecie negoziale (e quindi anche contrattuale), pena la sua nullità.
    Ecco allora, che emerge il problema dell’ammissibilità di modifiche della sfera giuridica di un soggetto che tali modifiche non abbia voluto, proprio perché, è mancata la manifestazione di volontà in tal senso. Più precisamente, il soggetto non ha preso parte a quella attività contrattuale (e quindi è terzo e non parte) e, ciò nonostante, può vedersi modificato il bagaglio di situazioni giuridiche soggettive di cui è titolare. Ergo: le parti contrattuali invocano l’autonomia privata, il terzo, destinatario degli effetti, invoca la libertà di autodeterminazione.
    La positivizzazione della soluzione di detto apparente contrasto, è avvenuta ad opera del Legislatore con l’art. 1372 c.c..
    Al primo comma di tale articolo viene enunciato il principio dell’efficacia del contratto tra le parti (e solo tra loro). Il contratto ha forza di legge tra le parti. Al secondo comma, invece, si evidenzia che detto principio non è assoluto, bensì relativo, perché si statuisce che il contratto può produrre effetti verso i terzi se ciò sia previsto dalla legge.
    Il secondo comma, allora, appare come una deroga, una ipotesi eccezionale al principio generale sancito dal primo comma.
    Apparentemente, sembra sancita la primazia del valore costituzionale dell’autonomia privata rispetto al valore dell’autodeterminazione. In realtà, il contrasto è solo apparente, perche i due principi possono convivere armonicamente, laddove si predisponga un meccanismo che fa salvo il contratto (e quindi non sacrifica l’autonomia contrattuale) ma del pari fa salva la libertà di autodeterminazione del terzo. Ciò avviene lasciando libero il terzo, di acconsentire o meno, alla produzione di quegli effetti nella sua sfera giuridica.
    Tale meccanismo è infatti, quello che opera in tutte le fattispecie legislativamente previste, come vuole il secondo comma dell’art. 1372 cc, laddove viene prevista la necessità della dichiarazione del terzo di voler profittare di tali effetti. Nel caso in cui egli non ne approfitterà (salvezza dell’autodeterminazione), il contratto sarà valido ed efficace (salvezza dell’autonomia privata) ma spiegherà i suoi effetti verso altro soggetto, di solito una delle parti contrattuali.
    Non c’è quindi nessuna deroga nell’art. 1372 cc, nessun contrasto costituzionale a dover essere bilanciato, bensì tale disposizione armonizza tra di loro i valori costituzionali protagonisti della vicenda.
    Le ipotesi legislativamente previste sono varie. In realtà, accanto alle fattispecie di parte speciale quali, il deposito, il trasporto, l’assicurazione e la rendita vitalizia, tutte, a favore di terzo, il legislatore predispone anche il contratto a favore di terzi, collocandolo nella disciplina generale del contratto, e ciò a riprova dell’ammissibilità di tale fenomeno.
    A questo punto, è opportuno evidenziare, che l’efficacia può essere favorevole o sfavorevole, immediata o mediata. Tale classificazione è fondamentale; la possibilità di ricomprendere un fenomeno in una categoria, piuttosto che in un'altra, ci permetterà di risolvere la problematica afferente l’ammissibilità stessa di tale fenomeno.
    Più nello specifico, va evidenziato che il combinato disposto dell’art 1372 cc, di volta in volta, con uno degli articoli di parte speciale, ovvero con la disciplina generale del contratto a favore di terzo, fa emergere la sola ammissibilità degli effetti favorevoli (in disparte, per il momento, la problematica degli effetti immediati o mediati).
    Le singole fattispecie di parte speciale (deposito a favore di terzo, trasporto a favore di terzo etc.), infatti, si caratterizzano tutte, per la costante presenza di una prestazione a favore di terzo, dal che se ne desume, che l’effetto destinato al terzo è di tipo incrementativo.
    Ancor di più, analizzando la disciplina testuale e generale del contratto a favore di terzi, di cui agli artt. 1411 c.c. e ss, del pari si evince l’esclusiva ammissibilità di effetti favorevoli.
    Sintetizzando la disciplina de qua, può dirsi che, è valida la stipulazione a favore di terzo, qualora lo stipulante vi abbia interesse, e che il terzo acquista il diritto contro il promittente, per effetto della stipulazione. Il contratto può, poi essere revocato o modificato dal contraente, finché il terzo non abbia dichiarato di volerne profittare.
    Ebbene, gli assunti: “..acquista un diritto..”e “..dichiara(to) di volerne profittare” sono indici palesi di effetti incrementativi.
    Detto altrimenti, laddove non si possa applicare il secondo comma dell’art. 1372 cc, con annesso meccanismo di adesione (a presidio della libertà di autodeterminazione), perché gli effetti sono da considerarsi sfavorevoli, troverà applicazione il primo comma, che limita la produzione degli effetti alle sole parti contrattuali. In questo caso il terzo non sarà costretto a difendersi mediante l’adesione, perché è già la legge che lo difende, limitando l’efficacia della pattuizione alle sole parti contrattuali. Il contratto ad effetti sfavorevoli per un terzo sarà allora, contratto nullo per violazione di norma imperativa.
    Non manca poi, chi ,constatando l’inammissibilità di effetti sfavorevoli, arriva a dire che la disposizione in questione, risolve il contrasto (nient’affatto apparente) tra i due valori costituzionali di cui si è ampiamente detto, con la prevalenza della liberà di autodeterminazione sulla autonomia privata. Tale valore è infatti comprimibile (art 13 Cost) solo per ordine dell’autorità giudiziaria e nei casi e con limiti stabiliti dalla legge. In vero, per i sostenitori di tale tesi è interessante evidenziare anche quanto dispone l’art 23 Cost: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Concludendo, comunque, contrasto o non contrasto, sono tutti d’accordo nel ritenere vietati gli effetti sfavorevoli (ergo: ammettono la relatività favorevole degli effetti).
    Ritornando alla disamina degli effetti (quali risultato di una operazione di costituzione, estinzione o modificazione di una situazione giuridica) , questi possono subire anche una sottoclassificazione dal punto di vista quantitativo o qualitativo. Sommariamente e semplificando, può affermarsi, che se si costituisce si incrementa (effetto quantitativo di segno positivo), se si estingue si decrementa (effetto quantitativo di segno negativo,), e se si modifica la risposta varierà a seconda del caso. In tale ultimo caso, insomma, non sarà sempre agevole stabilire se quel effetto debba qualificarsi favorevole o sfavorevole (o addirittura neutro). La questione può avere dei risvolti pratici (per la verità rari), che vanno tuttavia evidenziati per comprendere il meccanismo operativo del fenomeno posto alla nostra attenzione.
    Come già detto, sono vietate nel nostro ordinamento le attività contrattuali che importino la produzione di effetti sfavorevoli verso i terzi. Laddove ciò avvenga, il contratto sarà nullo per violazione di norma imperativa (l’art. 1372 c.c., in combinato, di volta in volta, con la norma relativa allo schema contrattuale utilizzato), ex art. 1418 primo comma, cc.. Ciò, conseguentemente, comporterà l’espunzione di quel contratto dal mondo giuridico, perché improduttivo di effetti (meno che mai dell’obbligo di eseguire una prestazione).
    Ove il contratto, invece, dispone effetti favorevoli verso i terzi ex art. 1372 , secondo co. c.c., deve ritenersi valido ed efficace; se il terzo manifesterà il suo rifiuto, non succederà certo che quel contratto non produrrà effetti, bensì, quegli stessi effetti (in virtù di quanto statuito nello stesso contratto) devieranno verso altro soggetto che di norma sarà uno dei contraenti.
    Nell’ipotesi in cui il terzo o una delle parti abbiano proposto azione di nullità, se il giudice si trova di fronte ad una operazione che comporta una modifica della situazione giuridica, non immediatamente qualificabile come favorevole o sfavorevole, dovrà preliminarmente procedere alla sua valutazione. Ciò perché, solo ove essa sia sfavorevole determinerà l’accoglimento della declaratoria di nullità; nell’ipotesi opposta, quel contratto sarà invece valido ed efficace, e se il terzo non vorrà profittare della prestazione, questa dovrà comunque essere eseguita ( di norma, a favore dello stipulante).
    Bisogna a questo punto sgomberare il campo da equivoci. Il terzo, laddove il contratto produttivo di effetti nei suoi confronti sia annullabile, rescindibile o risolubile, non potrà mai agire per far valere le conseguenti azioni. Lui infatti è terzo e non parte; l’unica cosa che potrà far valere, sempre che ve ne siano i presupposti, sarà un’azione di nullità. Le azioni di annullamento rescissione e risoluzione spetteranno solo alle parti contraenti.
    Urge allora differenziare nettamente la figura del terzo da quella di parte. Quest’ultima prende parte al contratto e manifesta la propria volontà ; il terzo, invece, è soggetto estraneo al contratto e che non manifesta la propria volontà. Avvolte non è agevole distinguere tra terzo e parte. E’ il caso del rifiuto del coacquisto di un coniuge da parte dell’altro, in comunione legale dei beni. Per una tesi, proprio in virtù del principio di autodeterminazione, ed in quanto terzo rispetto all’operazione contrattuale, compiuta esclusivamente dall’altro coniuge, il coniuge non partecipante può esercitare il rifiuto. Secondo altra tesi, ciò gli è precluso perché per effetto del matrimonio; egli avrebbe ratificato preventivamente tutti gli atti compiuti dall’altro coniuge individualmente .
    Ritornando nuovamente alla disamina del tema generale, si badi che l’art. 1372 cc, si riferisce all’attività contrattuale, per cui, può chiedersi se detto regime debba trovare applicazione anche in altre differenti attività giuridiche. Si può affermare che l’attività giuridica unilaterale tra vivi, a carattere patrimoniale, vi rientra, perchè l’art. 1324 cc. statuisce che, per questi atti si osservano le regole generali sul contratto, e quindi, anche l’art. 1372, 2 co., c.c. (e conseguentemente anche la disciplina del contratto a favore di terzo).
    Ciò determina la possibilità di applicazione del regime dell’efficacia (favorevole) del contratto su terzi, in casi come la remissione del debito, la remissione della fideiussione e la novazione. Tutte queste vicende riguardano la vita dell’obbligazione . Ciò che rileva è che, l’operatività del fenomeno nei casi de quibus, comporta, che in presenza di più debitori in solido, o di più fideiussori, la remissione del debito di un debitore libera anche gli altri, e se garantito da fideiussione libera anche il fideiussore; così anche per la novazione, che ove statuita per uno, è operativa anche per gli altri. Detto altrimenti, qui il destinatario degli effetti è un soggetto titolare di una obbligazione (situazione giuridica di segno negativo). Per effetto di una attività negoziale normalmente di tipo unilaterale, a cui non prende parte, tale situazione viene estinta, comportandogli in via mediata un effetto incrementativo del proprio patrimonio giuridico. Si badi, anche qui opera il meccanismo della dichiarazione di volerne profittare, che fa salva la libertà di autodeterminazione, ex art. 1236 cc. In realtà, qui non si è in presenza di un effetto mediato, perché l’effetto da attività negoziale si riverbera pur sempre in via diretta nella sfera giuridica del terzo; l’operazione estingue direttamente una situazione giuridica di segno negativo di cui è titolare il terzo. Sull’efficacia mediata ed immediata si dirà esaustivamente in seguito.
    Ora, non tutta l’attività giuridica, però può rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 1372, 2 co., c.c.; è il caso dell’attività giuridica unilaterale mortis causa (es testamento).
    Si premetta che il contratto è un accordo (incontro di volontà) tra due o più parti a carattere patrimoniale; il negozio giuridico è un accordo a carattere non patrimoniale che, laddove unilaterale, è espressione di una singola volontà. Ebbene, il testamento (quale negozio giuridico unilaterale) si caratterizza proprio per il fatto, che un soggetto (in vista della sua morte) stabilisce con un atto unilaterale, a chi dovranno essere trasferite tutte le situazioni giuridiche di cui è titolare; nel fare ciò il de cuius determinerà la produzione di effetti in capo a soggetti terzi rispetto a quel negozio. La peculiarità è che egli potrà predisporre anche effetti sfavorevoli, senza che per questo, possa comminarsi la nullità del testamento. Invero, l’erede sarà tutelato (analogamente al meccanismo di adesione nel contratto a favore di terzi) dal meccanismo dell’accettazione, con o senza il beneficio di inventario. La ammissibilità degli effetti sfavorevoli è qui sorretta dalla necessità di garantire la certezza dei rapporti giuridici. Proprio perché tale ipotesi, prevede una disciplina a sé, non rientrando sotto l’ambito di applicazione dell’art. 1372 cc, sembra meglio non ascrivere la qualifica di terzo al soggetto estraneo all’attività negoziale. Tanto che il legislatore, di volta in volta, a seconda dei casi, lo qualifica con altro termine (erede, legittimario).
    Vi sono, poi, vere è proprie attività contrattuali che apparentemente sembrano realizzare lo schema della relatività degli effetti, ma poi in realtà così non è; è il caso della rappresentanza volontaria.
    In detta fattispecie rileva più un fenomeno di sostituzione soggettiva nell’attività giuridica, giustificato dall’esigenza di garantire, ad un soggetto temporaneamente impossibilitato a compiere attività giuridica, di farsi sostituire. Qui non troverà assolutamente applicazione l’art. 1372 cc, ciò comportando, l’impossibilità di qualificare eventuali effetti sfavorevoli, prodottisi a seguito dell’attività negoziale del rappresentante nella sfera giuridica del rappresentato, come inammissibili, per nullità della pattuizione. Il contratto sarà infatti valido ed efficace (salva naturalmente la nullità per altri vizi, tra i quali anche la violazione di legge ma, non certo la violazione dell’art. 1372 cc)
    La rappresentanza volontaria esercitata in nome e nell’interesse del rappresentato ( ossia in presenza di procura), ex art. 1388c.c., determina la produzione degli effetti, frutto di quella attività di rappresentanza, direttamente nei confronti del rappresentato. Qui, si ha un contratto stipulato tra due contraenti, uno dei quali è il rappresentante di un altro soggetto (e ciò in virtù di altra attività negoziale) che appare terzo rispetto al contratto. Tale attività non è equiparabile all’attività contrattuale a favore di terzi, per una serie di motivi. Nella rappresentanza è necessario che sia stata rilasciata procura preventiva (o ratifica successiva). Tale negozio è espressione del potere di farsi sostituire dal rappresentante, che per effetto di tale investitura, compirà l’attività giuridica (in nome, ove la procura è preventiva e) per conto del rappresentato. L’adesione nel contratto a favore di terzi è invece sempre successiva. L’effetto sostitutivo è poi evidente, laddove il rappresentato si obbliga nei confronti del soggetto con cui stipula il rappresentante; nella disciplina degli artt 1411 cc e ss, il terzo non è in alcun modo obbligato (a fare, non fare, dare nulla).
    Detto in altri termini, nella rappresentanza, il legislatore ammette se non, addirittura, impone gli effetti sfavorevoli in capo al rappresentato.
    Un’altra differenza tra il contratto a favore di terzo e la rappresentanza volontaria, riguarda la differenza che involge la natura giuridica dell’atto di volerne profittare e della ratifica successiva (tra l’altro come visto solo eventuale)
    In via preliminare, si consideri che il terzo potrà fare una dichiarazione positiva (dichiarazione espressa) , potrà fare una dichiarazione negativa (rifiuto espresso) oppure potrà tenere un comportamento concludente (accetta materialmente la prestazione). La terza ipotesi è pacificamente equiparabile alla prima.
    Detto ciò, relativamente alle dichiarazioni di segno positivo, ci si è divisi, tra chi riconosce a tale atto la natura giuridica negoziale (sarebbe una manifestazioni di volontà), e chi gli riconosce la natura giuridica di atto giuridico in senso stretto (gli effetti si producono direttamente dalla legge ed indipendentemente dal fatto, che essi siano stati voluti dall’autore dell’atto). Ascrivendo all’adesione, natura di atto giuridico in senso stretto la differenza con la ratifica è allora evidente.
    Va evidenziato, per completezza espositiva, un altro punto di criticità della disciplina del contratto a favore di terzo. L’art 1411 c.c. statuisce che il terzo acquista il diritto per effetto della stipulazione. Ciò sembra evocare la possibilità che l’effetto entri già nel patrimonio del terzo, per effetto della stipulazione e che, attraverso una dichiarazione di segno negativo, il terzo poi faccia uscire quell’effetto dalla sua sfera giuridica. In realtà, questa è la prerogativa della rinuncia. Siccome nel capoverso immediatamente successivo, si enuncia il principio della dichiarazione di volerne profittare, sembra che la disposizione si contraddica. Ove il terzo deve manifestare tale assenso, deve escludersi che l’effetto possa entrare nel suo patrimonio, prima di tale manifestazione. La dichiarazione di segno negativo, è infatti unanimamente qualificata come rifiuto. Tra l’altro, lo stipulante può revocare (o modificare) il contratto, solo prima che intervenga la dichiarazione del terzo; sarebbe assurdo, allora, che ad effetto già prodottosi (ad esecuzione avviata) nella sfera del terzo, il contratto possa poi essere revocato.
    Abbiamo in precedenza, sommariamente ravvisato un fenomeno apparentemente mediato ma in realtà immediato, nel caso della remissione del debito (e delle altre fattispecie di parte speciale). La categoria degli effetti mediati va a questo punto analizzata più nel dettaglio. Ciò perché vedremo, che se è vero che ove il contratto produce effetti sfavorevoli è nullo per violazione delle norme imperative, è vero però soltanto ove tale effetto sia immediato. Detto altrimenti tutte le ipotesi di effetti mediati escono fuori dall’ambito di applicazione dell’art.1372 c.c. Riassumendo, la relatività degli effetti, nel nostro ordinamento, è solo favorevole e immediata.
    In generale, si parla di effetti mediati a favore di terzo nel caso di quelli fatti salvi dal legislatore, a determinate condizioni, a seguito dell’accertamento di invalidità di un contratto a cui, come al solito, il terzo non ha preso parte.
    Più nello specifico, in tutti i casi in cui un contratto presenti un vizio ma anche quando debba essere risolto o rescisso, ed a seguito di quell’atto, ne siano poi stati compiuti altri che abbiano coinvolto dei terzi (anche detti in questo caso aventi causa), tali soggetti, a date condizioni (di solito buona fede e rispetto delle regole sulla trascrizione), non perderanno i diritti acquisiti (effetti favorevoli), ancorchè l’atto, a cui non hanno preso parte (presupposto all’atto a cui hanno preso parte), venga rimosso dal mondo giuridico. Si parla in questi casi di effetti mediati perché, in realtà, in detta ipotesi gli effetti sono già entrati a far parte della sfera giuridica del terzo, e con il meccanismo della salvezza, si intende evitare che egli li perda. Qui, non rileva la necessità che il soggetto si autodetermini alla produzione di quegli effetti non ancora prodottisi (necessità assecondata come visto con il meccanismo dell’adesione), bensì, qui il soggetto è già divenuto titolare di quelle situazioni, e tutto quello che vuole, è preservale di fronte al rischio di poterle perdere (a tutela, tra l’altro, della certezza dei traffici giuridici).
    A titolo esemplificativo, si portino come esempi quelli della disciplina generale del contratto (artt. 1445 -1458 c.c.), ma il codice è disseminato di disposizioni in tal senso, anche nella disciplina speciale relativa alle singole figure contrattuali.
    Dalle considerazioni ora svolte, se ne deduce, che quando l’effetto è mediato non può rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 1372 c.c.. Si può, allora, affermare che solo gli effetti favorevoli e immediati ricadono sotto il regime dell’efficacia del contratto sui terzi.
    A questo punto è necessario chiedersi, assunto che esistano effetti favorevoli e sfavorevoli, mediati ed immediati, dove vada collocata la categoria dei cd effetti di protezione. La disamina di tale problema ci permetterà di configurare o meno, tali effetti nell’ambito della disciplina dell’efficacia del contratto sul terzo.
    Per rispondere al quesito, può essere d’aiuto partire dalla apparente interferenza dell’istituto della revocatoria con il contratto a favore di terzi.
    L’azione revocatoria è disciplinata dall’art. 2901 c.c.. Tale rimedio permette ad un soggetto creditore di un altro soggetto, in presenza di vari presupposti, tra cui la lesione della garanzia patrimoniale, di cui all’art 2740 c.c., di rendere inefficace nei suoi confronti un atto dispositivo decrementativo del patrimonio del debitore, posto in essere da quest’ultimo. Ora, ricostruiamo la vicenda guardandola da un’altra prospettiva: un soggetto stipula un contratto di vendita di un proprio bene con un altro soggetto. Il soggetto creditore del venditore, in virtù di altra attività contrattuale pregressa, lamenta la lesione della garanzia patrimoniale che ha ridotto la massa patrimoniale su cui potrà soddisfarsi, determinando così un effetto a lui sfavorevole. Detta in questi termini, per quanto sopra evidenziato, se il contratto di vendita potesse configurarsi come un contratto a (s)favore di terzi, tale contratto sarebbe nullo per nullità virtuale. Ma noi sappiamo che non basta, perché dobbiamo anche andare a vedere se l’effetto sfavorevole è mediato o immediato. Ora, l’effetto sfavorevole prodottosi a seguito della vendita, non è immediatamente diretto al patrimonio del terzo creditore, ma solo in via riflessa e mediata. Infatti, il decremento agisce in via diretta sul patrimonio del debitore, conseguentemente, e quindi in via mediata, sul patrimonio del terzo creditore. Per le coordinate precedentemente esposte, allora, tale effetto è sfavorevole ma mediato, e quindi non ricade sotto l’egida dell’art. 1372 c.c. in combinato con gli artt. 1411 cc e ss (pena l’impossibilità di chiedere la nullità del contratto). Tanto è vero, che in armonia con tutto il sistema, la revocatoria è azione che importa l’ inefficacia dell’atto nei soli confronti del soggetto agente, non certo permette di espungere l’atto dal mondo giuridico.
    La recente giurisprudenza, preoccupata di riconoscere una tutela rafforzata, ad un soggetto legato (principalmente da un vincolo di parentela) ad un altro soggetto, parte di un contratto avente ad oggetto una prestazione sanitaria inesattamente adempiuta, è arrivata a rinvenire in detti contratti, effetti favorevoli di protezione per i parenti (terzi rispetto al contratto), in termini di riconoscimento di un diritto processuale di azione,e nello specifico da responsabilità contrattuale.
    Chiariamoci su un punto: il soggetto legato da un vincolo di parentela, che subisca un danno (patrimoniale e non), a seguito della morte o della lesione del proprio congiunto, è già tutelato dall’ordinamento; attraverso il riconoscimento della azione per responsabilità extracontrattuale, ex art 2043 cc.. Quindi, nel caso in cui dimostri la presenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie ( fatto illecito, evento, danno, doppio nesso causale: fatto/evento - evento/danno, elemento soggettivo del dolo o della colpa) e sia celere ad agire, nel termine prescrizionale breve riservato alla tutela aquiliana, si vedrà riconosciuto il suo diritto. Il problema è che la giurisprudenza, al fine di rafforzare e facilitare tale tutela, ha riconosciuto a detti soggetti la possibilità di agire in via contrattuale, ancorchè gli stessi soggetti non siano mai stati parte di alcun contratto.
    Si vada per ordine: tra il paziente ed il sanitario, quasi mai vi è un contratto scritto. Il contratto intercorre tra la struttura sanitaria ed il paziente. Tuttavia, per la tesi della responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato, all’atto della presa in carico del paziente da parte del medico, tra questi ed il paziente, si istaura un rapporto contrattuale. Dal momento, che fonte dell’obbligazione, ex art. 1173 c.c. , è il contratto, il fatto illecito ma anche ogni altro atto o fatto idoneo a produrla, la giurisprudenza, riconosce alla presa in carico del paziente, il fatto idoneo a produrre una obbligazione; in specie, quella di curare il paziente e cioè di svolgere la propria attività professionale secondo buona fede. Per cui, ove si verifichi un fatto illecito, questo sarà perseguibile, non più ex art. 2043 c.c., bensì ex artt. 1218 c.c. e ss. Ciò comporta l’alleggerimento dell’onere probatorio del paziente che dovrà solo allegare la colpa, spostandosi sul medico la prova di una esimente che lo mandi esente da responsabilità. Il termine prescrizionale si allunga in quello decennale ordinario.
    In passato, quando ancora la giurisprudenza non aveva coniato la tesi della responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato, si era fatta strada, in dottrina, una soluzione che arrivava a garantire lo stesso tipo di protezione, attraverso la configurazione del contratto intercorrente tra struttura sanitaria e medico, come un contratto a favore di terzo. Il terzo era il paziente.
    In realtà quando, in caso di inadempimento il paziente agiva in via giudiziale, azionava il contratto stipulato tra lui e la casa di cura, il che non gli permetteva di rivalersi direttamente sul medico. La conseguenza era che, se non si accertava la responsabilità della struttura, il paziente, o agiva in via extracontrattuale contro il medico, o rimaneva senza alcun risarcimento.
    Superata detta tesi, e trovato il rimedio attraverso il quale esperire la responsabilità contrattuale anche direttamente contro il medico, si è ripresentato lo stesso problema, relativamente al caso di soggetti, che non investiti in via diretta dal danno provocato dal medico, in quanto legati da un vincolo di parentela al soggetto che lo subisce direttamente, lamentino comunque, a seguito di quell’inadempimento, una danno.
    In realtà, detto problema, e lo abbiamo già evidenziato, non c’è perchè il legislatore ha già apprestato tutela a questi soggetti, attraverso il riconoscimento dell’azione aquiliana. Il fatto è, che la giurisprudenza vuole alleggerire i gravosi oneri probatori a carico del danneggiato. Persegue allora tale via, attraverso la ricerca anche in capo a tali soggetti dei presupposti (in realtà legislativamente mancanti) legittimanti la tutela contrattuale.
    E’ il caso del danno da nascita indesiderata previsto per la gestante, e per tal via esteso anche alla figura paterna.
    Detto danno involge l’ipotesi (disciplinata da una normativa di settore) in cui, la donna incinta, per l’omessa informazione del medico relativamente a gravi malformazioni del feto, tali da mettere in pericolo la stessa vita della gestante, porti a termine la gravidanza, venendole precluso, così, l’esercizio del cd (atecnico) diritto di aborto, subendo il danno da nascita indesiderata.
    Il caso, a seguito di un intenso ed acceso dibattito, è stato poi configurato come responsabilità contrattuale per omesso rispetto dell’obbligo di informazione.
    Successivamente, la giurisprudenza ha riconosciuto anche al padre il diritto al risarcimento dello stesso danno, accordandogli la tutela contrattuale. Ciò è stato possibile, attraverso il riconoscimento di particolari effetti di protezione, posti a suo vantaggio ed implicitamente ricompresi, nel contratto intercorso tra la gestante ed il medico.
    In realtà, non è molto chiaro l’iter logico - argomentativo tracciato. Focalizzata a rendere applicabile anche al padre, l’art. 1223 c.c. (il danno deve essere conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento), la giurisprudenza, crea la figura giurisprudenziale degli effetti di protezione del contratto verso terzi. In questo modo, supera il maggior punto di criticità dell’ammissibilità della responsabilità contrattuale per tali fattispecie. Il presupposto fondante detta responsabilità è l’essere parte contrattuale, cosa che il padre non è, e conseguentemente è sprovvisto del presupposto. Per tale motivo, la giurisprudenza afferma che il danno prodotto dal medico è conseguenza diretta ed immediata, anche nei confronti del padre (applicabilità dell’art. 1223 c.c.), perché il presupposto fondante è l’obbligo di protezione del medico, implicitamente ricompreso nel contratto a cui il padre non ha preso parte, ma che in virtù dell’inadempimento dello stesso, subisce un danno. Sulla scorta di tali affermazioni, essa riconosce la più facile tutela.
    Ora, si comprende che diventa fondamentale andare a dare uno straccio di fondamento giuridico a detti effetti. Se si può pure essere d’accordo, su come la giurisprudenza ha superato l’impasse dell’art. 1223 c.c., non ci si può esimere, dall’evidenziare che essa non è stata altrettanto precisa, in punto di qualificazione degli effetti di protezione.
    Chi ha pensato di poter ricomprendere tale ipotesi, nel fenomeno della relatività favorevole degli effetti sui terzi, è stato seccamente smentito.
    L’aspetto più problematico si rinviene nel fatto che il riconoscimento del diritto ad una azione, come visto già per la revocatoria, non può certo essere visto come un effetto favorevole. Il riconoscimento di dette azioni sta presupponendo, che il terzo sta subendo un danno (effetto sfavorevole) per effetto di attività contrattuale a cui non prende parte. Tale effetto, poi, configurandosi come immediato e diretto nella sfera giuridica del terzo, potrebbe portare al paradosso della nullità del contratto (per violazione dell’art. 1372 c.c.), senza quindi nemmeno, la possibilità di chiedere il risarcimento per inadempimento (responsabilità contrattuale), da parte del coniuge contraente (la gestante).
    Si consideri poi, che il riconoscimento di non ben precisati obblighi di protezione, così come avvenuto, dovrebbe estendersi anche a fattispecie similari. Si pensi a tutti i casi di morte o di lesione intervenuti a seguito di prestazione sanitaria, laddove, già ora la giurisprudenza riconosce, per via extracontrattuale, il danno da lesione del vincolo parentale. Ragionare come fa la moderna giurisprudenza rende necessaria l’applicazione della tutela contrattuale anche in dette ipotesi, con evidente rischio di dare la stura ad un troppo disinvolto riconoscimento del danno, paralizzando la già paralizzata attività professionale medica; si pensi alla tecnica del taglio cesareo praticata largamente in ospedale, in luogo del parto naturale, proprio al fine di sottrarsi all’insorgere di possibili complicanze comportanti poi l’operatività della responsabilità medica.
    Dal momento che tali effetti sembrano di difficile collocazione (a quale disposizione vanno ancorati? La giurisprudenza non risponde) e in considerazione dei risvolti negativi che tale fattispecie potrebbe ingenerare, sembra auspicabile un ritorno sui propri passi.
     
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