Dottorati di ricerca e pubblico impiego

la riforma Gelmini getta il bambino con l'acqua sporca

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. -camillo-
     
    .

    User deleted


    Condivisibile la norma volta a far cessare gli abusi dell'istituto che consentiva di fruire dell'aspettativa retribuita anche a chi avesse già conseguito il dottorato, segnalo la modifica legislativa che, in regime di turn over della P.A., e dunque di carenza del personale, di fatto impedirà quasi sempre l'esercizio del "diritto" (trasformatosi in interesse legittimo?) all'aspettativa dell'impiegato pubblico dottorando di ricerca, rimettendolo alla graziosa discrezionale (o arbitraria?) concessione del singolo dirigente.
    In barba all'art. 9 Cost.


    CITAZIONE
    Tempi duri per i pubblici dipendenti inclini a dispiegare le proprie energie in favore dello studio, dell’accrescimento culturale e della ricerca ovvero valori fondamentali tutelati anche dall’art. 9 Cost. e per i quali la Repubblica, nell’ottica del legislatore costituzionale, ne “promuove lo sviluppo”.

    In particolare, l’art. 19, L. n. 240/2010 (Norme in materia di organizzazione delle universita', di personale accademico e reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita' e l'efficienza del sistema universitario) restringe le possibilità di accesso dei pubblici dipendenti ai corsi di dottorato di ricerca agendo in due direzioni e non senza qualche dubbio di costituzionalità.

    In primo luogo viene espressamente condizionata l’accoglibilità della domanda del dipendente che intenda partecipare al corso di dottorato di ricerca (previo superamento del pubblico concorso) alle “esigenze dell’amministrazione”, laddove ante riforma il congedo straordinario, retribuito e non, per la frequenza dei corsi in parola spettava di diritto e, dunque, senza discrezionali valutazioni del datore di lavoro pubblico.

    In secondo luogo, si preclude ancor più incisivamente la partecipazione ai corsi di dottorato - per il tramite del divieto di fruire di congedo retribuito e non retribuito - ai dipendenti che “abbiano gia' conseguito il titolo di dottore di ricerca” ed ai “i pubblici dipendenti che siano stati iscritti a corsi di dottorato per almeno un anno accademico, beneficiando di detto congedo”.

    Limitazione assente nel previgente quadro normativo anche in ragione della previsione legale “sanzionatoria” - non modificata dalla novella - secondo la quale “Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica cessi per volonta' del dipendente nei due anni successivi, e' dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo” (ovvero gli emolumenti stipendiali erogati in costanza del congedo straordinario retribuito).

    Questo, dunque, il nuovo testo dell’art. 2, L. n. 476/1984 (Norma in materia di borse di studio e dottorato di ricerca nelle Università) modificato dalla recente riforma: “Il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato a domanda, compatibilmente con le esigenze dell'amministrazione, in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. In caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l'interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell'amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro. Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica cessi per volontà del dipendente nei due anni successivi, è dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo. Non hanno diritto al congedo straordinario, con o senza assegni, i pubblici dipendenti che abbiano già conseguito il titolo di dottore di ricerca, nè i pubblici dipendenti che siano stati iscritti a corsi di dottorato per almeno un anno accademico, beneficiando di detto congedo. I congedi straordinari e i connessi benefici in godimento alla data di entrata in vigore della presente disposizione sono mantenuti”.

    Ma v’è di più. La cogenza della disciplina restrittiva appena descritta deve essere apprezzata alla luce del nuovo art. 2, D.Lgs. n. 165/2001 il quale all’indomani della modifica di cui alla L. n. 15/2009, in tema di sistema delle fonti del rapporto di pubblico impiego, così recita: “Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge” e specificando l’art. 1, L. n. 15/2009 che detta nuova disposizione “si applica alle disposizioni emanate o adottate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”.

    Dunque, la nuova disciplina Gelmini sul dottorato di ricerca dei pubblici dipendenti non soltanto appare di immediata applicazione anche se contrastante con i vigenti CCNL (essendo questi ultimi in linea con la pregressa e più favorevole disciplina legislativa)[1], ma non risulta per il futuro affatto derogabile in melius per il tramite dell’esercizio dell’autonomia contrattuale collettiva e ciò in assenza, nelle nuove disposizioni, di apposite clausole “autorizzatorie” in tal senso ex art. 1, L. n. 15/2009.

    Dubbi di costituzionalità potrebbero essere paventati per una limitazione non giustificata della libertà nella formazione della cultura e nella divulgazione del sapere - ubi consitam dei valori di cui all’art. 9 e 33 Cost. nonché ex art. 2 Cost. -, limitazioni legate peraltro ad uno status, quello di pubblico dipendente.

    Se il nostro ordinamento contempla tra i propri principi fondamentali la promozione della ricerca scientifica e tecnica e della cultura per il tramite di interventi pubblici (art. 9 Cost., “La Repubblica promuove…”) e consacra la libertà di ricerca (art. 33 Cost, “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento…”), non pare che il recente intervento normativo possa considerarsi conforme a detti principi ispiratori non più operanti con i caratteri della generalità; il pubblico dipendente vincitore di un concorso relativo ad un dottorato di ricerca, infatti, vede oggi fortemente limitato quei diritti di libertà costituzionalmente protetti.

    A ciò aggiungasi che la disciplina Gelmini, in parte qua, appare altresì contraddittoria se considerata alla luce delle ultime riforme riguardanti l’accesso alla dirigenza pubblica ex D.Lgs n. 150/2009 che con la modifica dell’art. 28, D.Lgs. n. 165/2001 (accesso alla qualifica di dirigente di seconda fascia) introducono tra i titoli di ammissione al concorso dirigenziale il conseguimento del dottorato di ricerca (unitamente ad un periodo minimo e ridotto di servizio), con ciò mostrandosi un generale favor per tale titolo accademico al fine dell’acquisizione di cariche pubbliche apicali.

    (Altalex, 9 febbraio 2011. Articolo di Luigi D'Angelo)

     
    .
  2. pucci.goloso
     
    .

    User deleted


    Quindi, se ho capito bene, se io, dottore di ricerca quando ero avvocato (e quindi senza possibilità di chiedere alcun congedo) mi iscrivo ora ad un dottorato e come dipendente chiedo il congedo (per la prima volta) questo mi può essere negato???








    CITAZIONE (-camillo- @ 4/3/2011, 08:33) 
    Condivisibile la norma volta a far cessare gli abusi dell'istituto che consentiva di fruire dell'aspettativa retribuita anche a chi avesse già conseguito il dottorato, segnalo la modifica legislativa che, in regime di turn over della P.A., e dunque di carenza del personale, di fatto impedirà quasi sempre l'esercizio del "diritto" (trasformatosi in interesse legittimo?) all'aspettativa dell'impiegato pubblico dottorando di ricerca, rimettendolo alla graziosa discrezionale (o arbitraria?) concessione del singolo dirigente.
    In barba all'art. 9 Cost.


    CITAZIONE
    Tempi duri per i pubblici dipendenti inclini a dispiegare le proprie energie in favore dello studio, dell’accrescimento culturale e della ricerca ovvero valori fondamentali tutelati anche dall’art. 9 Cost. e per i quali la Repubblica, nell’ottica del legislatore costituzionale, ne “promuove lo sviluppo”.

    In particolare, l’art. 19, L. n. 240/2010 (Norme in materia di organizzazione delle universita', di personale accademico e reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita' e l'efficienza del sistema universitario) restringe le possibilità di accesso dei pubblici dipendenti ai corsi di dottorato di ricerca agendo in due direzioni e non senza qualche dubbio di costituzionalità.

    In primo luogo viene espressamente condizionata l’accoglibilità della domanda del dipendente che intenda partecipare al corso di dottorato di ricerca (previo superamento del pubblico concorso) alle “esigenze dell’amministrazione”, laddove ante riforma il congedo straordinario, retribuito e non, per la frequenza dei corsi in parola spettava di diritto e, dunque, senza discrezionali valutazioni del datore di lavoro pubblico.

    In secondo luogo, si preclude ancor più incisivamente la partecipazione ai corsi di dottorato - per il tramite del divieto di fruire di congedo retribuito e non retribuito - ai dipendenti che “abbiano gia' conseguito il titolo di dottore di ricerca” ed ai “i pubblici dipendenti che siano stati iscritti a corsi di dottorato per almeno un anno accademico, beneficiando di detto congedo”.

    Limitazione assente nel previgente quadro normativo anche in ragione della previsione legale “sanzionatoria” - non modificata dalla novella - secondo la quale “Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica cessi per volonta' del dipendente nei due anni successivi, e' dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo” (ovvero gli emolumenti stipendiali erogati in costanza del congedo straordinario retribuito).

    Questo, dunque, il nuovo testo dell’art. 2, L. n. 476/1984 (Norma in materia di borse di studio e dottorato di ricerca nelle Università) modificato dalla recente riforma: “Il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato a domanda, compatibilmente con le esigenze dell'amministrazione, in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. In caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l'interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell'amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro. Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica cessi per volontà del dipendente nei due anni successivi, è dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo. Non hanno diritto al congedo straordinario, con o senza assegni, i pubblici dipendenti che abbiano già conseguito il titolo di dottore di ricerca, nè i pubblici dipendenti che siano stati iscritti a corsi di dottorato per almeno un anno accademico, beneficiando di detto congedo. I congedi straordinari e i connessi benefici in godimento alla data di entrata in vigore della presente disposizione sono mantenuti”.

    Ma v’è di più. La cogenza della disciplina restrittiva appena descritta deve essere apprezzata alla luce del nuovo art. 2, D.Lgs. n. 165/2001 il quale all’indomani della modifica di cui alla L. n. 15/2009, in tema di sistema delle fonti del rapporto di pubblico impiego, così recita: “Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge” e specificando l’art. 1, L. n. 15/2009 che detta nuova disposizione “si applica alle disposizioni emanate o adottate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”.

    Dunque, la nuova disciplina Gelmini sul dottorato di ricerca dei pubblici dipendenti non soltanto appare di immediata applicazione anche se contrastante con i vigenti CCNL (essendo questi ultimi in linea con la pregressa e più favorevole disciplina legislativa)[1], ma non risulta per il futuro affatto derogabile in melius per il tramite dell’esercizio dell’autonomia contrattuale collettiva e ciò in assenza, nelle nuove disposizioni, di apposite clausole “autorizzatorie” in tal senso ex art. 1, L. n. 15/2009.

    Dubbi di costituzionalità potrebbero essere paventati per una limitazione non giustificata della libertà nella formazione della cultura e nella divulgazione del sapere - ubi consitam dei valori di cui all’art. 9 e 33 Cost. nonché ex art. 2 Cost. -, limitazioni legate peraltro ad uno status, quello di pubblico dipendente.

    Se il nostro ordinamento contempla tra i propri principi fondamentali la promozione della ricerca scientifica e tecnica e della cultura per il tramite di interventi pubblici (art. 9 Cost., “La Repubblica promuove…”) e consacra la libertà di ricerca (art. 33 Cost, “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento…”), non pare che il recente intervento normativo possa considerarsi conforme a detti principi ispiratori non più operanti con i caratteri della generalità; il pubblico dipendente vincitore di un concorso relativo ad un dottorato di ricerca, infatti, vede oggi fortemente limitato quei diritti di libertà costituzionalmente protetti.

    A ciò aggiungasi che la disciplina Gelmini, in parte qua, appare altresì contraddittoria se considerata alla luce delle ultime riforme riguardanti l’accesso alla dirigenza pubblica ex D.Lgs n. 150/2009 che con la modifica dell’art. 28, D.Lgs. n. 165/2001 (accesso alla qualifica di dirigente di seconda fascia) introducono tra i titoli di ammissione al concorso dirigenziale il conseguimento del dottorato di ricerca (unitamente ad un periodo minimo e ridotto di servizio), con ciò mostrandosi un generale favor per tale titolo accademico al fine dell’acquisizione di cariche pubbliche apicali.

    (Altalex, 9 febbraio 2011. Articolo di Luigi D'Angelo)

     
    .
  3. forbiddenevil
     
    .

    User deleted


    non si tratta di una norma del tutto campata per aria, laddove sia impiegata per sanzionare
    abusi che, chiunque conosca un minimo gli ambienti universitari, conosce bene...

    a mio parere però si tratta di disposizioni isolate che al di fuori di una riforma generale dei rapporti dottorati di ricerca/PA
    lascia il tempo che trova...
     
    .
  4. buttalapastaorA
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (forbiddenevil @ 11/3/2011, 12:50) 
    non si tratta di una norma del tutto campata per aria, laddove sia impiegata per sanzionare
    abusi che, chiunque conosca un minimo gli ambienti universitari, conosce bene...

    a mio parere però si tratta di disposizioni isolate che al di fuori di una riforma generale dei rapporti dottorati di ricerca/PA
    lascia il tempo che trova...

    Intanto ala norma c'e e le amministrazioni la applicano finche qualcuno non farà ricorso incidentale alla corte cost. Speriamo in tempi rapidi.

    CITAZIONE (pucci.goloso @ 11/3/2011, 12:10) 
    Quindi, se ho capito bene, se io, dottore di ricerca quando ero avvocato (e quindi senza possibilità di chiedere alcun congedo) mi iscrivo ora ad un dottorato e come dipendente chiedo il congedo (per la prima volta) questo mi può essere negato???


    Purtroppo e' così, sono nella tua stessa condizione.





    CITAZIONE (-camillo- @ 4/3/2011, 08:33) 
    Condivisibile la norma volta a far cessare gli abusi dell'istituto che consentiva di fruire dell'aspettativa retribuita anche a chi avesse già conseguito il dottorato, segnalo la modifica legislativa che, in regime di turn over della P.A., e dunque di carenza del personale, di fatto impedirà quasi sempre l'esercizio del "diritto" (trasformatosi in interesse legittimo?) all'aspettativa dell'impiegato pubblico dottorando di ricerca, rimettendolo alla graziosa discrezionale (o arbitraria?) concessione del singolo dirigente.
    In barba all'art. 9 Cost.


    CITAZIONE
    Tempi duri per i pubblici dipendenti inclini a dispiegare le proprie energie in favore dello studio, dell’accrescimento culturale e della ricerca ovvero valori fondamentali tutelati anche dall’art. 9 Cost. e per i quali la Repubblica, nell’ottica del legislatore costituzionale, ne “promuove lo sviluppo”.

    In particolare, l’art. 19, L. n. 240/2010 (Norme in materia di organizzazione delle universita', di personale accademico e reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita' e l'efficienza del sistema universitario) restringe le possibilità di accesso dei pubblici dipendenti ai corsi di dottorato di ricerca agendo in due direzioni e non senza qualche dubbio di costituzionalità.

    In primo luogo viene espressamente condizionata l’accoglibilità della domanda del dipendente che intenda partecipare al corso di dottorato di ricerca (previo superamento del pubblico concorso) alle “esigenze dell’amministrazione”, laddove ante riforma il congedo straordinario, retribuito e non, per la frequenza dei corsi in parola spettava di diritto e, dunque, senza discrezionali valutazioni del datore di lavoro pubblico.

    In secondo luogo, si preclude ancor più incisivamente la partecipazione ai corsi di dottorato - per il tramite del divieto di fruire di congedo retribuito e non retribuito - ai dipendenti che “abbiano gia' conseguito il titolo di dottore di ricerca” ed ai “i pubblici dipendenti che siano stati iscritti a corsi di dottorato per almeno un anno accademico, beneficiando di detto congedo”.

    Limitazione assente nel previgente quadro normativo anche in ragione della previsione legale “sanzionatoria” - non modificata dalla novella - secondo la quale “Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica cessi per volonta' del dipendente nei due anni successivi, e' dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo” (ovvero gli emolumenti stipendiali erogati in costanza del congedo straordinario retribuito).

    Questo, dunque, il nuovo testo dell’art. 2, L. n. 476/1984 (Norma in materia di borse di studio e dottorato di ricerca nelle Università) modificato dalla recente riforma: “Il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato a domanda, compatibilmente con le esigenze dell'amministrazione, in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. In caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l'interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell'amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro. Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica cessi per volontà del dipendente nei due anni successivi, è dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo. Non hanno diritto al congedo straordinario, con o senza assegni, i pubblici dipendenti che abbiano già conseguito il titolo di dottore di ricerca, nè i pubblici dipendenti che siano stati iscritti a corsi di dottorato per almeno un anno accademico, beneficiando di detto congedo. I congedi straordinari e i connessi benefici in godimento alla data di entrata in vigore della presente disposizione sono mantenuti”.

    Ma v’è di più. La cogenza della disciplina restrittiva appena descritta deve essere apprezzata alla luce del nuovo art. 2, D.Lgs. n. 165/2001 il quale all’indomani della modifica di cui alla L. n. 15/2009, in tema di sistema delle fonti del rapporto di pubblico impiego, così recita: “Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge” e specificando l’art. 1, L. n. 15/2009 che detta nuova disposizione “si applica alle disposizioni emanate o adottate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”.

    Dunque, la nuova disciplina Gelmini sul dottorato di ricerca dei pubblici dipendenti non soltanto appare di immediata applicazione anche se contrastante con i vigenti CCNL (essendo questi ultimi in linea con la pregressa e più favorevole disciplina legislativa)[1], ma non risulta per il futuro affatto derogabile in melius per il tramite dell’esercizio dell’autonomia contrattuale collettiva e ciò in assenza, nelle nuove disposizioni, di apposite clausole “autorizzatorie” in tal senso ex art. 1, L. n. 15/2009.

    Dubbi di costituzionalità potrebbero essere paventati per una limitazione non giustificata della libertà nella formazione della cultura e nella divulgazione del sapere - ubi consitam dei valori di cui all’art. 9 e 33 Cost. nonché ex art. 2 Cost. -, limitazioni legate peraltro ad uno status, quello di pubblico dipendente.

    Se il nostro ordinamento contempla tra i propri principi fondamentali la promozione della ricerca scientifica e tecnica e della cultura per il tramite di interventi pubblici (art. 9 Cost., “La Repubblica promuove…”) e consacra la libertà di ricerca (art. 33 Cost, “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento…”), non pare che il recente intervento normativo possa considerarsi conforme a detti principi ispiratori non più operanti con i caratteri della generalità; il pubblico dipendente vincitore di un concorso relativo ad un dottorato di ricerca, infatti, vede oggi fortemente limitato quei diritti di libertà costituzionalmente protetti.

    A ciò aggiungasi che la disciplina Gelmini, in parte qua, appare altresì contraddittoria se considerata alla luce delle ultime riforme riguardanti l’accesso alla dirigenza pubblica ex D.Lgs n. 150/2009 che con la modifica dell’art. 28, D.Lgs. n. 165/2001 (accesso alla qualifica di dirigente di seconda fascia) introducono tra i titoli di ammissione al concorso dirigenziale il conseguimento del dottorato di ricerca (unitamente ad un periodo minimo e ridotto di servizio), con ciò mostrandosi un generale favor per tale titolo accademico al fine dell’acquisizione di cariche pubbliche apicali.

    (Altalex, 9 febbraio 2011. Articolo di Luigi D'Angelo)

     
    .
  5. lea2
     
    .

    User deleted


    ragazzi qualcuno di voi conosce esempi di pubblici impiegati che l'hanno richiesta recentemente?

    Edited by lea2 - 7/3/2013, 13:42
     
    .
  6. Bodhidharma
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (lea2 @ 19/2/2013, 18:08) 
    ragazzi qualcuno di voi conosce esempi di pubblici impiegati che l'anno richiesta recentemente?

    sì, l'hanno scorso :undiavoloditoga.gif:
     
    .
  7. lea2
     
    .

    User deleted


    e sai se è stata concessa tranquillamente? questa norma mi sembra dare troppo discrezionalità alle varie PA nel decidere se e quali siano queste "esigenze"!
     
    .
  8. - Ammuina -
     
    .

    User deleted


    Sapete se in caso di dipendente pubblico che ottenga l'aspettativa retribuita, si perde la 13^?
     
    .
7 replies since 4/3/2011, 08:33   458 views
  Share  
.