“SPIARE E COLPIRE”: I DOSSIER E LA REGIA DI B.

di Peter Gomez ed altri

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    Nessuno di loro ci sta a rimanere con il cerino in mano. Hanno spiato, certo. Hanno creato dossier e schede su quelli che Silvio Berlusconi considerava i suoi nemici. Hanno consultato fonti aperte e fiduciarie. Hanno archiviato documenti in cui si ipotizzavano interventi per “disarticolare”, “neutralizzare”, “ridimensionare” e “dissuadere”, anche con “provvedimementi” e “misure traumatiche”, i presunti avversari del premier. Forse hanno addirittura organizzato pedinamenti e disposto intercettazioni telefoniche. Ma di sicuro non lo hanno fatto di loro iniziativa. Avevano ordini precisi. Disposizioni che arrivavano dall’alto. E, se mai adesso fossero processati, potrebbero parlare. Per questo il presidente del Consiglio, all’ultimo momento ha deciso di coprire con il segreto di Stato le attività dell’ex direttore del Sismi, Niccolò Pollari, legate all’ufficio disinfomatjia dei servizi segreti militari, scoperto a Roma, il 5 luglio del 2006 dalla Digos di Milano. Per questo l’uomo che dirigeva quel centro analisi, l’ex consulente di don Luigi Verzé, Pio Pompa – incredibilmente diventato prima uno 007 e poi un collaboratore de Il Foglio di Giuliano Ferrara – ha pure lui chiesto che il segreto, controfirmato da Berlusconi, blocchi di fatto l’inchiesta sul quelle schedature di stile vetero-cecoslovacco. Un’indagine che a Perugia era a un passo dalle richieste di rinvio a giudizio, ma che adesso è invece avviata verso un binario morto.
    Restano però i fatti e i documenti. Carte che raccontano come tra il 2001 e il 2006, il governo Berlusconi abbia utilizzato i servizi per fare politica, avvelenare l’informazione, controllare o pagare i giornalisti (Renato Farina), spiare i giudici, il movimento dei Girotondi e una serie di esponenti dell’opposizione. Decine e decine di persone e di associazioni che nei computer di Pompa erano catalogate con degli acronimi e delle sigle: Furio Colombo, per esempio, era “Rioco”, Magistratura democratica era “Traca”, l’allora segretario della Federazione nazionale della stampa italiana, Paolo Serventi Longhi, era “Svli”, il magistrato Juan Ignazio Patrone, all’epoca segretario di “Medel”, l’associazione europea dei giuristi democratici, era “Jne”. L’analista di Pollari che, in una lettera indirizzata al premier si descriveva come un suo “collaboratore fedele e leale”, aveva pronto un nomignolo per tutti. Ecco dunque che nel siglario l’ex capogruppo dei Ds al Senato, Cesare Salvi, diventa “Vli”, l’ex membro del Copaco (il comitato di controllo sui servizi segreti), Massimo Brutti viene indicato come “Tti”, mentre Luciano Violante è “Nte”.
    Rileggendo in controluce la strana carriera di Pompa, prima comunista e sindacalista alla Sip, poi socio dell’uxoricida Patrizia Reggiani Gucci, è infine devoto a Don Verzé, Pollari e Berlusconi, verrebbe quasi da ridere. Senonché molte delle spericolate ed eversive analisi sequestrate in via Nazionale (carte delle quali Pompa tenta di disconoscere la paternità), risultano poi essersi trasformate in atti di governo o, come ha sottolineato il Consiglio superiore della magistratura, i precise campagne stampa riprese in Parlamento.
    In un documento, attualissimo, che parte da un assioma caro a Berlusconi (l’esistenza di “un dispositivo approntato in sede politico-giudiziaria” che si muove contro “esponenti dell’attuale maggioranza di governo e di loro familiari”), dopo gli elenchi contenenti i nomi dei presunti nemici, si suggeriscono le contromisure . Vediamole in sintesi: “1) Disarticolazione, graduale ma costante, del dispositivo approntato in sede politico-giudiziaria [...],Tale attività implica la considerazione di alcuni personaggi, di rilievo, che in Italia ed, ora, anche all’estero rappresentano strutture di supporto [...] delle iniziative di aggressione. 2) Disarticolazione, nei medesimi termini, delle iniziative ed attività riconducibili a soggetti – politicamente caratterizzati – che hanno, anche, ricoperto incarichi di Governo nella pregressa Legislatura [...]
    3) Neutralizzazione di iniziative, politico-giudiziarie, riferite direttamente a esponenti della attuale maggioranza di Governo e/o di loro familiari (anche attraverso l’adozione di provvedimenti traumatici su singoli soggetti). Sedi: Milano, Torino, Roma, Palermo.
    4) Neutralizzazione o, al più, ridimensionamento di attività aggressive, politiche, giudiziarie, provenienti dall’estero, [...] Paesi di interesse: Spagna, Inghilterra [indagini Mills e Telecinco ndr].
    5) Neutralizzazione di un disegno, in fase di perfezionamento concettuale e operativo, realizzato nell’ambito di organismi investigativi dell’Unione Europea, volto [...] stimolare le dimissioni o anche proposte di impeachment.
    6) Esigenza di concettualizzare un team di soggetti di riferimento che prenda come missione prioritaria la valutazione e la diagnosi precoce di ogni iniziativa aggressiva[...] Al contempo, il citato team, potrebbe (in parallelo) svolgere attività di dissuasione mediante l’adozione di adeguate contromisure”. Lo scritto risale all’estate del 2001. Subito dopo la teoria, si trasforma in prassi. Di governo. Il documento invita infatti a muoversi nella “prima quidicina di settembre”. Così se la Spectre anti-Cavaliere da “disarticolare” si occupa di corruzione e di reati finanziari, ecco subito la legge che depenalizza il falso in bilancio. Se il nemico si annida anche nelle magistrature del resto d’Europa, ecco pronta la norma che cestina le rogatorie internazionali. E se l’esecutivo deve guardarsi dagli “organismi investigativi dell’Unione Europea”, come l’Olaf e l’Eurojust (l’organo che facilita la collaborazione tra le magistrature), ecco il sabotaggio di entrambi gli enti, seguito dal no del governo italiano al mandato di arresto europeo. Il 23 novembre 2001 l’esecutivo Berlusconi blocca la nomina all’Olaf di tre magistrati italiani, Perduca (citato due volte nelle liste di via Nazionale), Mario Vaudano e Nicola Piacente, che hanno vinto un regolare concorso. A Gian Carlo Caselli non viene invece confermata la nomina ad Eurojust, mentre altri magistrati dossierati, come Ilda Boccassini e Gherardo Colombo, verranno perseguitati dal ministro della Giustizia con continue ispezioni e procedimenti disciplinari.
    E in ogni caso quasi tutte le toghe citate saranno oggetto di “iniziative traumatiche”: tra i primi provvedimenti del secondo governo Berlusconi c’è il taglio delle scorte ai giudici in prima linea.
    Il documento del Sismi denuncia poi il pericolo di “attività aggressive svolte in sinergia” tra pm italiani, spagnoli e inglesi. Anche questo delirio produce ben presto contromisure concrete. Il 14 dicembre 2001 il giornalista e senatore forzista Lino Jannuzzi, buon amico di Pollari, “rivela” su Panorama e su Il Giornale che Ilda Boccassini s’è incontrata in un albergo di Lugano con i colleghi Carlos Castresana, Carla Del Ponte ed Elena Paciotti (eurodeputato Ds) per incastrare Berlusconi» e “trovare il modo di arrestarlo”. Naturalmente è tutto falso, ma la smentita non arriverà mai. L’estensore del piano vanta comunque ottime fonti. In un passaggio, fa riferimento a qualcuno che si è appena insediato nello staff del ministro della Giustizia.
    In un altro parla di un anonimo magistrato con un incarico di “supporto governativo”. In un terzo cita una giornalista (senza nome) che avrebbe partecipato a Milano a un incontro tra pm in cui si era discusso il cambio d’imputazione in un processo alla Fininvest. Pare che l’informatissimo 007 disponga di una struttura in grado di controllare le mosse della parte più attiva della magistratura. E infatti L’espresso scoprirà nel 2005 che sotto il governo Berlusconi, oltre al centro di via Nazionale, i servizi segreti avevano almeno altri due uffici – uno a Palermo in via Notarbartolo, l’altro a Milano in piazza Sant’Ambrogio – da cui si spiavano le inchieste delle Procure più calde d’Italia. Il tutto sotto una regia unica. E all’ombra di un premier che oggi vorrebbe diventare un padre costituente: Silvio Berlusconi.

    I MAGISTRATI
    DAL POOL DI MILANO ALL’ANTIMAFIA DI PALERMO
    di Antonella Mascali
    Imagistrati sono politicizzati, si vogliono sostituire al Parlamento. Sono le frasi più eleganti che abbiamo sentito in questi anni. Quelle più tranchant usate da Berlusconi , vanno da “antropologicamente diversi” a “ grumi eversivi”. Soprattutto quelli che indagano su corruzione, mafia e stragi. Sono loro gli spiati dal Sismi. Intercettato il pool mani pulite, da Borrelli a D’Ambrosio, da Greco a Boccassini, da Colombo a Davigo, a Taddei. Ancora, Edmondo Bruti Liberati e Fabio De Pasquale, il pm dei processi Mediaset e Mills. Un dossier riguarda il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro che si è scontrato, insieme al collega Pomarici, sul segreto di Stato, sia con il governo Prodi che con quello Berlusconi, in merito all’inchiesta sul rapimento Abu Omar. È proprio lui ad aver sequestrato le carte di Pio Pompa. Spiati magistrati di Palermo come Gioacchino Natoli, tra i pm del processo Andreotti, oggi vice presidente dell’Anm, e Antonio Ingroia, il pm del processo Dell’Utri che indaga sulla trattativa Stato-mafia. Schedato il procuratore di Torino, Gian Carlo Caselli, che ha diretto l’ufficio di Palermo. Il governo Berlusconi lo ha estromesso da Eurojust e ha varato una legge per impedirgli di dirigere la procura nazionale antimafia. Spiati Libero Mancuso, che ha indagato sulla strage di Bologna, suo fratello Paolo, magistrato di Napoli, Livio Pepino, consigliere del Csm e di magistratura democratica, come Ignazio Patrono. Entrambi sono stati dossierati anche perché membri di Medel ( associazione europea di magistrati per la democrazia e la libertà). Nell’elenco c’è l’ex magistrato di Venezia Felice Casson, che ha indagato su Gladio. L’Anm, dal Sismi viene trattata alla stregua di un’associazione sovversiva. In una scheda sulle elezioni del sindacato delle toghe, del maggio 2003, viene espressa la preoccupazione per la probabile vittoria dell’ala “radicale e antigoverntativa”. Di questa attività del Sismi si è occupato il Csm nel luglio 2007, quando ha approvato una relazione di Fabio Roia. Il Fatto riporta stralci che evidenziano l’illegalità del dossieraggio:” dall'estate del 2001 ebbe inizio nei confronti di alcuni magistrati italiani ed europei e delle associazioni di riferimento (in particolare Magistratura democratica e Medel), una attività da parte del Sismi protrattasi, in modo capillare e continuativo, sino al settembre 2003 e, in modo saltuario, sino al maggio 2006...”. E ancora: “L'attività sin qui descritta è estranea alle attribuzioni e competenze del Sismi, preposto”, in base alla legge, a ” tutti i compiti informativi e di sicurezza per la difesa sul piano militare, dell'indipendenza e della integrità dello Stato da ogni pericolo”, nonché “ai compiti di controspionaggio connessi con i fini suddetti. È chiaro, che le iniziative giudiziarie e le attività di partecipazione al dibattito politico-culturale sono componenti essenziali della democrazia e nulla hanno a che vedere con aggressioni o minacce ..”. Quindi per il Csm lo spionaggio aveva fini eversivi: “Tale attività si proponeva di conseguire effetti di intimidazione nei confronti di alcuni magistrati e di cagionare perdita di credibilità nei confronti di altri, preposti a indagini e processi particolarmente delicati…”. I magistrati spiati tacciono, ma diversi di loro pensano che il segreto di Stato in questo caso sia un alibi. Tace anche l’Anm “perché - spiega il presidente Palamara - c’è un procedimento in corso”.

    Parlamento unito nel “segreto di Stato”
    LA LEGGE È PASSATA A MAGGIORANZA NEL 2007
    di Alessandro Ferrucci
    Sì, ultimamente va di moda il concetto di inciucio. Una strizzatina d’occhio qua, una dichiarazione dall’altra parte, una smentita di un collega. E così via. Massimo D’Alema ha rinverdito il periodo post-guerra e i rapporti tra Dc e Pci, altri hanno puntato sugli anni ’70, i più “giovani” hanno scomodato la Bicamerale: a ognuno il suo. Poi ci sono le piccole-grandi vicende, le peggiori quando arrivano, così inaspettate, altrettanto violente: il caso Pollari-Pompa denunciato ieri dalle colonne de il Fatto Quotidiano, è una di queste.
    Allora, nel 2007 con in carica il governo Prodi, quasi la totalità del Parlamento votò la nuova legge sul “Segreto di Stato”, la numero 124, atta ad aggiornare la precedente e datata 1977. Insomma durante una delle legislature più complicate della nostra storia, con una maggioranza costruita su difficili rapporti di forza e con il costante supporto dei senatori a vita; con una minoranza agguerrita e pronta a dare “spallate”, spesso all’aria; ecco in un clima del genere è stato possibile trovare un argomento condiviso, “e sbagliato”, spiega il senatore Felice Casson. “Vede, assieme a pochi altri colleghi, tra i quali Rosa Calipari – continua – ci rendevamo conto dell’esigenza di stringere le maglie. Dovevamo rendere ancora più complicata la possibilità di far ricorso a un tale strumento. Detto questo, trovo vergognoso l’atteggiamento tenuto dal governo; un atteggiamento strumentale”. Per la cronaca, l’ex pm veneziano, è triplice interessato: come uomo delle istituzioni, come parlamentare e soggetto preso di mira dalle attività di Pio Pompa. “Su cosa abbiamo migliorato la legge? Sulla possibilità di togliere il segreto dopo un certo numero di tempo”. Tradotto: sono almeno 15 anni, estendibili a 30. Poi via libera ai “topi” da biblioteca e alla loro voglia di sapere.
    Comunque, cappello e sostanza sono pressoché identici: “Sono coperti dal segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea ad arrecare danno all’integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, all’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato”, recita quella del 2007. Nella precedente, l’unica modifica toccava il concetto di “Repubblica” definita “Stato democratico”.
    “Non credo siano stati fatti degli errori di valutazione, il problema nasce solo con chi la utilizza e come”, interviene Massimo Brutti, già vicepresidente del Comitato servizi di sicurezza. Anche lui spiato. “E comunque il segreto è stato posto per attività del tutto estranee all’interesse dello Stato, quindi in maniera illegittima. Ma è anche vero che è stato utilizzato per casi come Villa Certosa...”.
    Punti di vista. Poi c’è chi la vicenda l’ha vissuta da dentro. “La prima impressione? Bè, la stessa confermata dopo averlo ascoltato: di questo non ci si può fidare neanche quando declina le generalità”. Il soggetto è Pio Pompa, chi parla è Milziade Caprili, ex senatore di Rifondazione comunista, membro del Copaco, ora Copasir, durante il governo Prodi e presente alle audizioni dei due protagonisti nostrani dell’affare Abu Omar, Pio Pompa e il generale Pollari. Per lui vige il segreto di commissione: questione di garanzia. Quindi amen sui particolari più “scottanti”, ma lo stesso vuole darci una sua impressione sull’“orecchio” lungo dell’allora Sismi: “Appena arrivato ci tenne a fare una precisazione: ‘Da giovane sono stato un militante del Pci, diffondevo l’Unità la domenica’”. Come a dire: oh, ragazzi, sono uno dei vostri. Poi basta. Per il resto dovremo attendere 15, o al massimo trent’anni.

    I GIORNALISTI
    “NOI, SCHEDATI PER IMBAVAGLIARE LA STAMPA”
    di Elisabetta Reguitti
    “Esprimere opinioni, raccontare i fatti e difendere la libertà d’informazione in Italia è considerato sovversivo e da contrastare in ogni modo”. C’era anche Paolo Serventi Longhi, segretario generale della Fnsi dal 1996 al 2007, nell’elenco dei giornalisti schedati e spiati. “L’aspetto più grave è che di quella vicenda non siano mai emerse ipotesi di reato che quel sistema sia stato considerato a tutti gli effetti del tutto legittimo. Temo che le cose siano addirittura destinate a peggiorare”. Allora la Fnsi, secondo Serventi Longhi, era impegnata a sostenere battaglie tra cui quella della riforma tv. La discussione sulla legge Gasparri solo un esempio. “I giornalisti liberi hanno sempre dato fastidio. E non mi stupirei che anche oggi ci fossero elementi poco chiari o peggio di intimidazioni ad personam per i professionisti impegnati nel difendere la libertà d’informazione uno dei cardini della Costituzione”. Il pericolo maggiore per Serventi Longhi è rappresentato anche dalla poca sensibilità dell’opinione pubblica: “Bisogna vigilare su tutti i fronti perché non passi che il lavoro fatto dagli appartenenti ad alcuni servizi deviati oltre che politicizzati sia utile e indispensabile alle finalità istituzionali come avete ben scritto ieri sul vostro giornale”. Dal canto suo Beppe Giulietti giornalista e portavoce dell’associazione Articolo21 ricorda come la vicenda dell’archivio riservato del Sismi sequestrato dalla Digos venga considerata “del tutto normale. Come del resto essere minacciati in sedi istituzionali dagli stessi rappresentanti politici del cosiddetto Partito dell’Amore che si avvale di personaggi che operano nell’ombra”.
    Anche Giulietti, tra gli spiati, si dice comunque tranquillo: “Chi ha qualcosa da temere sono coloro che hanno diversi livelli di comunicazione più o meno legittimi”. Ma non è tutto: per un paese che ha vissuto e vive ancora dei segreti di Stato come Piazza Fontana, la strage di Piazza della Loggia a Brescia e molti altri infatti sarebbe necessario scardinare ogni attitudine a secretare. “L'Italia ha bisogno di liberarsi da ogni metastasi che inficia la trasparenza. Costi quel che costi”. Eric Jozsef – corrispondente di Libération – in qualità di “spiato” dal sistema Pollari & Pompa si chiede: “Mi piacerebbe sapere chi aveva incaricato Pio Pompa di operare secondo quelle modalità. Perchè Pompa ha lavorato su quelle informazioni ‘aperte’”. Ma , avverte, “non è solo una situazione italiana. È bene regolarsi”.
    Dal canto sul Lorenzo Del Boca - presidente del consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti - sintetizza la questione affermando come in linea di principio “qualsiasi procedimento non promosso dall' autorità giudiziaria è illegale e quindi non può essere sottoposto ad alcun segreto di stato”. Si tratta dunque di una questione di etica e di principio per il presidente Del Boca che sulla specifica vicenda “Pollari e Pompa” parla della possibilità che sia più complicata di quello che appare . In ogni caso, però, sulla presenza in quegli elenchi di alcuni nominativi di giornalisti il presidente nazionale Del Boca non ha dubbi: “La difesa della libertà di stampa viene prima di tutto”.
    Roberto Natale, attuale presidente della Fnsi invece afferma che “le schedature son pratiche incompatibili con una democrazia e non c'è alcun motivo dicibile e confessabile perchè venga apposto il segreto di stato”.


    MANCINI SPERA NEL “LODO POLLARI” PER TACERE SUI SEGRETI TELECOM
    La risposta potrebbe arrivare a Natale nel processo per spionaggio
    di Antonio Massari
    Sul segreto di stato, invocato da Marco Mancini, la risposta potrebbe arrivare già domani. Secondo i calcoli della procura di Milano, infatti, i termini per la decisione, affidata alla Presidenza del Consiglio, scadono il 25 dicembre. Il nodo sul “Segreto di Stato” per Mancini, ex capo del controspionaggio targato Sismi, è l’ennesimo tassello del processo sullo “spionaggio” targato Telecom.
    Parliamo della Telecom
    dove, intorno al 2006, convergevano gli interessi di tre “vecchi amici”: Luciano Tavaroli (ex capo della struttura di security), Marco Mancini ed Emanuele Cipriani, titolare dell’agenzia di sicurezza Polis d’Istinto, che confezionò circa 7 mila dossier illegali su magistrati, politici e giornalisti. L’inchiesta della Procura di Milano, condotta dai pm Fabio Napoleone, Stefano Civardi e Nicola Piacente , ebbe inizio con ulteriori sospetti: che alcune fughe di notizie sulle indagini, avvenute intorno al 2006, in realtà, fossero partite proprio dalla Telecom. Un sospetto, mai dimostrato, che oggi si ripresenta, come vedremo dopo, per un’altra compagnia telefonica, o meglio per un omologo di Tavaroli, il direttore della security Wind Salvatore Cirafici. Ma andiamo con ordine e torniamo ai tre vecchi amici del caso Telecom.
    Indagato con l’accusa di associazione per delinquere, corruzione e rivelazione di notizie non divulgabili, Mancini chiede di avvalersi del segreto di Stato per il seguente motivo: difendersi dall’accusa d’aver passato a Luciano Tavaroli, ex direttore della Security Telecom, alcune notizie attinte dal Sismi, equivarrebbe a svelare alcuni assetti del servizio segreto militare. Mancini, peraltro, ha sempre sostenuto di aver espletato attività “previamente autorizzate”. E ora può nutrire buone speranze: come ha rilevato ieri Il Fatto Quotidiano, Berlusconi s’è già espresso, due settimane fa su un’altra vicenda di spionaggio. L’archivio riservato del Sismi, sequestrato nel 2006 dalla Procura di Milano nell’ufficio segreto di via Nazionale a Roma – quello gestito dal Pio Pompa, dove comparivano veline su magistrati, politici e giornalisti – era “autorizzato dal presidente del Consiglio dei ministri”. Quindi il segreto di rafici. Ex carabiniere, esattamente come Tavaroli. Anch’egli in ottimi rapporti con personaggi influenti dei nostri servizi segreti.
    Cirafici è indagato dal pm di Crotone, Pierpaolo Bruni, con l’accusa di favoreggiamento, per aver rivelato a un altro indagato, un maggiore dei carabinieri, che il suo telefono era controllato dalla procura. L’avrebbe favorito per agevolare, poi, il suo passaggio ai servizi segreti civili. Infine: Cirafici avrebbe offerto, a personaggi istituzionali, delle schede difficilmente rintracciabili per le procure italiane. Schede in apparenza “disattive” ma, in realtà, perfettamente utilizzabili.

    Tavaroli ha chiarito che l’ex numero uno di Telecom – Pirelli, Tronchetti Provera, non sapeva con quali modalità – illegali – acquisisse notizie riservate. Cipriani invece accusa: “Tronchetti Provera sapeva dei dossier”. E nell’intervista aggiunge: “Ho soltanto due strade da percorrere: o parlo o non parlo. Non sarò il solo a pagare il prezzo d’una storia scritta da altri”. Se non racconterà fatti inediti, però, sembra difficile che Cipriani possa trascinare Tronchetti Provera nel processo: di lui ha già parlato, con i pm di Milano, che però non l’hanno mai iscritto nel registro degli indagati. In ben quattro anni d'indagine. E se l'indagine su Telecom s’è chiusa – siamo all’udienza preliminare – un'altra se n'è aperta. Riguarda il capo della security Wind, Salvatore CiStato c’è. E Niccolò Pollari, può evitare di rispondere al magistrato. Stessa sorte potrebbe capitare a Mancini: la sua vicenda processuale cambierebbe radicalmente. Com’è già cambiata, per altri versi, quella di Tavaroli: ha patteggiato una pena di 4 anni e 6 mesi e – in base alla legge sull’indulto – non sconterà in carcere un solo giorno. A rischiare di più, adesso, è soprattutto Cipriani. Che ieri ha smosso le acque con un’intervista rilasciata a Repubblica.

    NOME IN CODICE: “RIOCO”
    IL BUIO, IL CITTADINO E LA SUA SPIA
    di Furio Colombo
    In un altro Paese, per esempio l’America, il “Freedom of Information Act” metterebbe in grado questo giornale, e soprattutto i grandi quotidiani impegnati a dire tutto all’opinione pubblica, di chiedere le carte sullo spionaggio illegale agli uffici di cui – a suo tempo – erano dirigenti o dipendenti il generale Pollari o il romanzesco funzionario Pio Pompa. Gli uffici competenti li dovrebbero consegnare, perché quella regola democratica negli Stati Uniti non può essere violata. Gli americani devono sapere. Gli italiani no. Noi non solo non abbiamo un “Freedom of Information Act”. Non abbiamo neppure una contrapposizione netta, riconoscibile lungo linee di partito, fra chi vuole sapere e chi ritiene che non si debba sapere mai, persino in caso abusi. Ora è certo un abuso organizzare in Italia lo spionaggio continuato e sistematico di magistrati, giornalisti, scrittori italiani. Ma non ne sapremo mai nulla, perché su tutta la vicenda è calato il segreto di Stato fin dal 2007, quando era al Governo il Centrosinistra. Ora è chiaro che il capo del Popolo della Libertà intende mantenere il segreto di Stato "senza se e senza ma" (e senza "però" come Stefano Bartezzaghi suggerisce di aggiungere alla ormai celebre espressione).Tutto, perciò, rimane e rimarrà al buio. Ma è un buio che dà fastidio dirò le ragioni.
    1. Non sapere vuol dire non poter calcolare il senso, dunque il pericolo dell’operazione di spionaggio che coinvolge tante persone. Dire che in tal modo si tiene il fiato sul collo dell’opposizione è un po’ ingenuo. Una simile operazione richiede – se non altro per il consenso di chi deve approvare e per gli archivi – un perché. Naturalmente quel perché è stato inventato. Ma intanto c’è. È un atto di governo ed è coperto da segreto. È un fatto grave e pericoloso.
    2. Spiare un cittadino è un atto offensivo. Autorizza altre persone a pensare in buona fede “ci sarà una ragione” persino mentre leggono queste righe. Io sto per dire che sono stato tra gli spiati, con il nome in codice “Rioco” (accostamento della seconda sillaba del primo nome con la prima del cognome).
    3. Eppure non è tutto. Qui entra in scena il sociologo sinistra-destra Luca Ricolfi (ottimo mestiere: ti definisci di sinistra, parli a destra e sei citato ogni giorno da una folla) che descrive così al “Riformista” (18 dicembre) il fare opposizione a Berlusconi: “C’è un vero e proprio capovolgimento rispetto al paradigma che vedeva l’impegno come sacrificio. È naturale che i più impegnati sono abituati a mescolare lavoro e divertimento. L’esatto contrario dei militanti di Berlinguer”. In altre parole la “compagnia di giro” (definizione del prof. Ricolfi per chi si ostina ad opporsi) si diverte un mondo a dire che la Repubblica del conflitto di interessi è in pericolo. E se viene anche spiata, pensa che festa. Magari ci puoi scrivere un thriller. Quanto al perché, non conosceremo mai le motivazioni offerte ai superiori gradi. Ma Ricolfi riesce a descrivere il caso con parole di cui Pio Pompa dovrebbe appropriarsi subito: “Se siamo in uno “stato di eccezione”, come fai a non pensare in buona fede che il fine giustifica i mezzi?”. I dipendenti di Pollari e Pompa hanno forse commesso un errore, trascurando Tartaglia. Ma se li lasciamo lavorare in pace nel segreto di Stato, tutti gli altri – da Travaglio, ai giudici di Milano e Palermo, a don Ciotti, al sottoscritto – non li perdono d’occhio un minuto. E l'Italia è salva.

    La Corte dei Segreti di Stato
    di Bruno Tinti
    Se c’era bisogno di una prova che dimostrasse l’assurdità delle dichiarazioni di B circa la Corte Costituzionale composta da 9 giudici comunisti (vi ricordate l’indegno spettacolo messo in scena a Bonn?) eccola qui, involontariamente fornita dallo stesso B. che ha opposto il segreto di Stato al pm di Perugia che indaga su Pollari e Pompa. Cominciamo con il dire che, per una volta, B. ha esercitato un potere che la legge gli riconosce. Intendiamoci, che il segreto di Stato possa coprire informazioni quali chi pagava l’affitto dell’ufficio dove lavorava Pompa e chi era la persona che gli impartiva direttive è del tutto opinabile; così come è opinabile che il segreto di Stato possa coprire attività di dossieraggio ai danni di avversari, veri o presunti, della fazione politica che fa capo a B. Ma il punto è che nessuno, e nemmeno l’Autorità giudiziaria, può dissentire: segreto di Stato. Punto. Certo è preoccupante che il Presidente del Consiglio dei Ministri abbia un similepotere;peròcel’ha.Ilfattoè che, dopo la sentenza 106/2009 della Corte Costituzionale, quella che ha risolto il conflitto di attribuzioni tra Presidenza del Consiglio dei Ministri e Autorità Giudiziaria di Milano, la politica può legittimamente rivendicare il suo primato nei confronti della giurisdizione. Il ragionamento della Corte è stato obbiettivamente incalzante: il segreto di Stato riguarda “il supremo interesse della sicurezza dello Stato nella sua personalità internazionale, e cioè l'interesse dello Stato-comunità alla propria integrità territoriale, alla propria indipendenza e - al limite - alla stessa sua sopravvivenza”. E poiché questo interesse è palesemente superiore a ogni altro, ecco che anche la giurisdizione deve cedergli. Ma non solo: trattandosi di attività di natura esclusivamente politica, la valutazione sulla sussistenza del segreto di Stato non può che essere propria degli organi politici, con esclusione di ogni controllo di natura giurisdizionale. Insomma, dice la Corte, nessun Tribunale può ritenere non fondata l’opposizionedelsegretodiStatoe utilizzare comunque le prove per le quali esso è stato opposto; al massimo può ricorrere alla stessa Corte sollevando un conflitto di attribuzione, come appunto è avvenuto nel caso del processo Abu Omar. Però, avverte la Corte, si faccia attenzione: gli spazi per disattendere il segreto di Stato sono ridottissimi perché la valutazione sulla sua sussistenza, proprio in quanto politica, è di natura discrezionale. Questo vuol dire che la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha un’assoluta libertà nella decisione e che l’unico limite che incontra è costituito dalla necessità che il segreto opposto non riguardi “fatti eversivi dell'ordine costituzionale”.
    Così è davvero difficile contestare formalmente l’iniziativa di B. nel processoincorsoaPerugia.Egliha agito nell’ambito di un diritto; anzi, se non si trattasse proprio di lui, di una persona che ha fatto dell’interesse privato l’unica ragione della sua attività politica, potrebbe dirsi che ha agito nell’ambito di un dovere: il segreto di Stato tutela i “supremi interessi dello Stato”, ricordate?; e dunque “deve” essere opposto; si capisce, quando ne ricorrano i presupposti.
    E qui sta il punto, sempre lo stesso. B è persona che è stata coinvolta in numerosi episodi di criminalità, che ha collezionato un numero rilevante di assoluzioni per prescrizione (è stato ritenuto colpevole ma non era possibile condannarlo per via del troppo tempo trascorso), che si è costruito leggi fatte appostaperraggiungerequestorisultato; che, alla fine, sfruttando la sua posizione politica istituzionale, ha evitato parecchie condanne e, probabilmente, un rilevante numero di anni di galera. Si può far credito a una persona di questo tipo e ritenere che utilizzerà un potere così assoluto nell’esclusivo interesse dello Stato?
    E poi: un potere del genere è un’arma micidiale, lo capisce chiunque. Si può bloccare qualsiasi processo semplicemente eccependo il segreto di Stato; un Parlamento piegato ai voleri del Governo non troverà nulla da ridire; e nel successivo conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale si vedrà: intanto tutto fermo. Va bene, è un’arma necessaria; ma è indispensabile che sia nelle mani di persone affidabili. Come può essere ritenuto affidabile chi sta ricattando il Paese con la minaccia di distruggere il processo penale, di mandare liberi decine di migliaia didelinquenti,dinegareognirisarcimento morale e materiale a decine di migliaia di persone offese, il tutto per sfuggire all’ennesimo processo e a una sicura condanna?
    Infine: la sentenza della Corte Costituzionale che ha dato ragione a B quanto al segreto di Stato nel processo Abu Omar è stata emessa dagli stessi giudici (proprio gli stessi, tutti e 15) che hanno emesso la sentenza con cui il Lodo Alfano (quello che doveva servire ad assicurare l’impunità a B per la corruzione dell’avvocato Mills e per alcune frodi fiscali) è stato dichiarato incostituzionale. La sentenza sul segreto di Stato è dell’11 marzo 2009; e la sentenza sul lodo Alfano è del 7 ottobre 2009, 7 mesi dopo. Ma che affidabilità può meritare uno che accusa di eversione gli stessi giudici della Corte Costituzionale che 7 mesi prima gli hanno consegnato un’arma così micidiale? Allora, quando diciamo che per B i giudici sono comunisti quando lo condannano e bravi, democratici e liberali quando emettono sentenze a lui favorevoli, non abbiamo ragione?

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    Non ci resta che sperare in Pio Pompa e in Italo Bocchino .

    E pensare che eravamo un dì usciti dal Pio Albergo Trivulzio .. :unsure: :sick:

     
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    L GRANDE AFFARE Pollari, Don Verzè e l’ombra di B.
    Le carte segrete del covo del “Sismi deviato” di Pio Pompa Migliaia di pagine e una grande ossessione: i magistrati
    di Marco Lillo
    Un gruppo di mitomani convinti di far parte di una setta di buoni ed eletti che doveva fronteggiare il male come nei film di Harry Potter. A leggere le carte finora segrete del covo di via Nazionale, l’ufficio segreto del servizio militare Sismi, allora diretto da Nicolò Pollari, c’è davvero da rabbrividire. Finora erano stati pubblicati dai giornali alcuni estratti delle decine di faldoni sequestrati dalla Digos di Milano nel 2006. “Il fatto quotidiano” ha visionato le migliaia di pagine dell’inchiesta e da oggi comincia a pubblicare una serie di articoli che provano a tracciare un primo quadro dell’attività del servizio deviato che ha operato in Italia dal 2001 al 2006.GliappuntisequestratiaPompadimostrano la sua ossessione per i magistrati. Dopo l’insediamento del Governo Berlusconi nel 2001, grazie alle sue fonti sparse per gli uffici giudiziari, era in grado di controllarne le mosse. Impressionante un suo report del 2001. “da fonte certa nella giornata di sabato 11 agosto 2001 si è avuta notizia dell’acquisizione da parte dei magistrati inquirenti di un elemento di prova circa la collusione tra persona politica di primissimo piano (Silvio Berlusconi Ndr) e un magistrato relativamente al processo SME, appellato in Cassazione. Tale elemento di prova va riferito al manoscritto, depositato agli atti dal magistrato in questione, che nel giorno successivo al deposito veniva affiancato da una copia dattiloscritta la cui redazione dopo apposita inchiesta interna non risulta avvenuta come di regola presso gli uffici giudiziari”.
    Pompa, in un italiano contorto, sta girando ai suoi capi una presunta “notizia bomba” su Berlusconi. Allora il premier era indagato con l’accusa di avere corrotto i giudici della contesa sulla cessione della Sme-Buitoni negli anni ottanta. Da questa accusa il Cavaliere sarà assolto con formula piena solo nel 2007 ma allora il caso lo preoccupava molto. Pompa monitorava la questione e scriveva nel suo report (probabilmente diretto a Nicolò Pollari, allora numero due del Cesis, l’organismo di cordinamento dei servizi) di avere saputo che i pm milanesi avevano trovato una sorta di “prova regina” contro Berlusconi: un documento manoscritto trovato negli atti del vecchio processo SME dal quale si capiva che un giudice non era stato il vero autore della sentenza Sme di allora, scritta in realtà da un legale amico. Scriveva Pompa nel 2001: “Pertanto si ritiene che tale documento (quello trovato dai pm milanesi Ndr) possa essere stato dattiloscritto, in periodo precedente al deposito, altrove e più precisamente presso l’ufficio di un noto avvocato anch’esso coinvolto nell’inchiesta”. Pompa, con il suo appunto, probabilmente riferisce a Pollari perché il suo capo riferisca al grande capo di tutti: il presidente indagato.
    In quel periodo Pompa è solo un consulente, ben retribuito da Pollari, e cerca in tutti i modi di convincerlo ad assumerlo. Non tutte le informazioni che veicola sono buone. E magari questa sul caso Sme è imprecisa. Ma non è questo il punto. Il dato inquietante è che un consulente di un servizio segreto lavora per ostacolare la magistratura nel suo controllo di legalità sul Governo. Nello stesso report si parla anche del ministro Franco Frattini. Scrive Pompa: “un ultimo elemento informativo attiene ai contatti avuti dall’ex funzionario dei servizi, dottore Vincenzo Chianese (tradotto in carcere qualche giorno fa) con l’onorevole Franco Frattini. Tali contatti telefonici sono stati intercettati e risultano ora agli atti della magistratura inquirente. Qualora fossero resi di pubblico dominio potrebbero determinarsi condizioni di forte imbarazzo essendo il Chianese coinvolto nell’ambito dell’inchiesta sui servizi deviati e l’onorevole Frattini ha sponsorizzato la candidatura di Orofino (il generale Giuseppe Orofino, poi nominato vicedirettore del Cesis, l’organismo che allora coordinava i servizi Ndr) per il vertice del Sismi”.
    L’indagine “imbarazzante” per Frattini era coordinata da un giovane pm sconosciuto, tale Luigi De Magistris. Nulla sfuggiva a Pompa. Quando il pm Felice Casson, (poi eletto in Parlamento con il Pd) si occupa di un attentato firmato dalla sigla Nta a Venezia, Pompa scrive a Pollari: “nella giornata di venerdì 10 agosto 2001 ci è pervenuta notizia da fonte certa che Casson, titolare dell’indagine sull’attentato di Venezia, sta cercando con ogni mezzo di attribuire la tentata strage all’eversione di destra”. Quando Gherardo Colombo chiede un fascicolo ai suoi collaboratori, Pompa lo segnala. Così se un politico di sinistra come Massimo Brutti o una giornalista come Chiara Berie D’Argentine, vanno a trovare il giudice Edmondo Bruti Liberati. I pm per gli appunti di Pompa erano “bracci armati” di un’area “sensibile” da controllare e disarticolare. Quando vergava questi report Pompa lavorava per don Luigi Maria Verzé, il sacerdote ormai 89enne che ha creato un piccolo impero imprenditoriale anche grazie ai suoi potentissimi agganci con la politica. Proprio il sacerdote amico di Berlusconi (che lo sta curando dai postumi della Madonnina) lo aveva presentato a Pollari. Questo ex dipendente della Sip che aveva tentato di fare l’imprenditore senza successo era diventato così il perno dei rapporti tra mondi, apparentemente lontani, come dovrebbero essere la Chiesa e i servizi segreti. In questa maionese impazzita che è il sistema di potere berlusconiano al governo da ormai un decennio, quei due mondi si incrociano e fanno affari insieme. Lo dimostrano i documenti sequestrati a Pompa e diretti a don Verzé. Vi si parla di operazioni immobiliari per centinaia di milioni di euro con gli amici personali di Silvio Berlusconi come Renato Della Valle e poi ancora di centri scientifici congiunti tra i servizi segreti e il San Raffaele e di basi comuni della Cia e del Sismi. Poco prima della nomina di Nicolò Pollari a capo dell’intelligence militare, Pio Pompa scrive a Don Verzé: “Caro presidente le invio un report inerente le iniziative sulle quali potremo intervenire con maggiore e puntuale efficacia immediatamente dopo la nomina dell’amico N.”. Dove N. sta per Nicolò Pollari. E poi segue un elenco di sette “iniziative”, come le chiama lui. Si va dalla nomina di un dirigente del San Raffaele (l’attuale viceministro alla salute Ferruccio Fazio) in una commissione ministeriale all’acquisizione di Palazzo RivaldiaRoma.AlriguardoPompascrive a don Verzé: “aggiungo inoltre l’interesse dell’organismo a cui è destinato N. (il Sismi di Pollari Ndr) per un utilizzo parziale tramite compartecipazione finanziaria finalizzato alla creazione di un “centro studio” (nome in codice degli uffici Sismi Ndr) in eventuale combinazione con il corrispondente Organismo Usa (gestione degli aspetti sensibili della Cabina di regia)”. In questa nota Pompa sembra proporre a don Verzé di comprare a Roma un palazzo da destinare, in parte con soldi pubblici, a sede congiunta dei servizi segreti italiani e americani. Poi si passa al punto tre: “Mostacciano: costituzione di un ‘centro studi’ (ancora! Ndr) utilizzando in affitto la villa limitrofa al Parco Biomedico (il centro studi del San Raffaele a Mostacciano, alla periferia di Roma Ndr). Da tale struttura sarà anche possibile dare un forte impulso allo sviluppo delle attività di ricerca e del business complessivo del parco come prefigurato tra gli obiettivi da perseguire in considerazione soprattutto delle prospettive e della mission sottese a Castel Romano”. Anche in questo caso, Pio Pompa, nel 2001, prima della nomina di Pollari a capo del Sismi, sta descrivendo un’operazione che poi effettivamente anche se con modalità differenti, sarà portata avanti dal Sismi e dal San Raffaele. Accanto alla sede del Parco biomedico del San Raffaele a Mostacciano, infatti, sorge una villetta che in quegli anni era di proprietà della Fondazione di Don Verzè e che, come ha raccontato Francesco Bonazzi in un articolo de “L’espresso” nel 2006, è stata affittata al Sismi per le sue attività segrete. Preveggente, in quell’apppunto sequestrato in via Nazionale e agli atti dell’inchiesta, Pompa allora scriveva che tutti gli affari in ballo, compreso il campus biomedico di Castel Romano (che poi sorgerà nel 2002 vicino a Roma sempre sotto l’egida di Don Verzé e con la benedizione di Berlusconi) erano legati alla nomina di Nicolò Pollari al Sismi e aggiungeva: “in tal senso abbiamo la possibilità di avvalerci degli ottimi rapporti di amicizia resi disponibili dall’amico N. con i vertici del Polo tecnologico, il Presidente Geronzi e i responsabili degli organismi deputati al finanziamento e alla ricerca”. La nomina di Pollari era funzionale a tantissimi altri affari. Pompa scrive: “la crucialità di acquisire da parte di N. la direzione dell’importante organismo a lei ben noto per noi Raffaeliani consiste nella possibilità di sostenere adeguatamente i progetti di consolidamento economico e di sviluppo futuro attraverso interventi che potranno assumere la seguente articolazione”. E poi giù un elenco di dieci attività in Italia e una mezza dozzina all’estero. Per i pm milanesi “l’attività che emerge dal contenuto di tali documenti sequestrati non appare in alcun modo riconducibile alle finalità e competenze istituzionali del Sismi”. Ma al pm di Perugia Sergio Sottani, che ha ricevuto gli atti per competenza, il presidente del Consiglio ha opposto il segreto di Stato. Il premier ha negato le informazioni chieste dal pm: “allo scopo di evitare danni gravi agli interessi individuati dall’articolo 39 comma 1 della legge”. Cioé “l’integrità della Repubblica”. Chiunque può giudicare se le attività di Pompa, Pollari e don Verzé sono degne di questa tutela.

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    L’AFFARE DI VILLA POLLARI
    Le carte dell’inchiesta: le raccomandazioni di Pompa a don Verzè e il mistero della sede Sismi
    di Marco Lillo
    Su Internet una villa simile si trova in vendita a 2 milioni di euro. Eppure l’uomo più fidato del premier Silvio Berlusconi quando si parla di intelligence, Nicolò Pollari, l’ha pagata 500mila euro nel luglio del 2005. Un generale di lungo corso passato da 8 anni ai servizi segreti dove si si incassano stipendi ben più sontuosi di quelli delle Fiamme gialle probabilmente può disporre di 500mila euro più altri 3-400mila per la ristrutturazione di questa villa da 400 metri quadrati coperti più 1400 scoperti con piscina e trampolino. Quello che rende questa storia, scoperta da Il Fatto quotidiano, davvero oscura non è l’origine dei soldi ma l’origine dei rapporti tra i due contraenti e l’incrocio di interessi privati e pubblici che l’affare nasconde. A vendere quella villa a Pollari è stato il San Raffale di don Verzé. E di Pio Pompa. Per capire cosa si nasconde dietro la siepe di alloro che circonda la villa bisogna partire dall’inizio. Pollari, l’uomo che ha guidato il servizio segreto militare dal 2001 al novembre 2006, è indagato a Perugia insieme con il suo braccio destro, Pio Pompa, che era stato prima consulente di Pollari e poi funzionario assunto in pianta stabile nel Sismi dal 2004. Nel suo ufficio segreto di via Nazionale Pompa raccoglieva dossier sui magistrati e i giornalisti considerati ostili a Berlusconi. Il pm di Perugia Sergio Sottani ha inviato un mese fa l’avviso che chiude le indagini e prelude solitamente a una richiesta di rinvio a giudizio. Pollari e Pompa sono accusati di aver distratto "somme di denaro, risorse umane e materiali" per fini diversi da quelli istituzionali, come la redazione di “analisi sulle presunte opinioni politiche, sui contatti e sulle iniziative di magistrati, funzionari dello Stato, associazioni di magistrati anche europei, giornalisti e parlamentari”. Ai due ex funzionari è stata contestata anche l’indebita intrusione nella vita privata delle persone schedate. Come Il Fatto ha rivelato, sulla vicenda, per proteggere i segreti di Pompa e Pollari, Silvio Berlusconi ha opposto il segreto di Stato. Il premier non ha voluto rivelare alla Procura di Perugia (che indaga perché tra le vittime dei dossier ci sono i pm di Roma) se il Sismi avesse pagato per quelle attività e chi le avesse ordinate.
    Nessun quotidiano, a parte il nostro, si è degnato di approfondire una vicenda scandalosa nella quale un premier appone il segreto per proteggere le attività di intelligence abusiva fatte dai suoi servizi proprio per tutelarlo dalle attività di inchiesta sulle sue malefatte a parte dei due contropoteri di ogni democrazia che funzioni: magistratura e stampa. In splendida solitudine Il Fatto ha cominciato a raccontare cosa c’è nelle carte dell’archivio di via Nazionale allestito con i soldi pubblici e sotto il coordinamento del capo del Sismi.
    Tra i documenti inediti spicca la cartellina contenente il carteggio, risalente al 2001, tra Pio Pompa e don Luigi Maria Verzé, il sacerdote imprenditore amico di Silvio Berlusconi. Quando Pompa non era ancora entrato al Sismi ed era solo un consulente di Pollari, allora numero due del Cesis, l’aspirante agente segreto lavorava per il sacerdote che ha creato il San Raffaele di Milano e che voleva espandersi a Roma e in tutto il mondo.
    Pompa, mentre vergava analisi contro i pm per convincere Pollari ad assumerlo nei servizi, scriveva a don Verzé per convincerlo a raccomandare Pollari come capo del Sismi a Berlusconi.
    Nella lettera a don Verzé, sequestrata in via Nazionale, Pompa dichiara di appartenere a una lobby, che somiglia a una setta: “i raffaeliani”. Tutti amici di don Verzé, tutti pronti a muoversi all’unisono per ottenere fondi pubblici, cambi di destinazione per i terreni, e nomine. Nella lettera si legge “Caro presidente ... la direzione dell’importante Organismo (il Sismi Ndr) per noi Raffaeliani consiste nella possibilità di sostenere adeguatamente i progetti di consolidamento economico e sviluppo futuro attraverso interventi che potranno assumere la seguente articolazione...”. Tra i sette progetti prioritari, Pompa indicava al punto 3 (come si può leggere sotto) quello di Mostacciano: “costituzione di un ‘centro studi’ utilizzando in affitto la villa limitrofa al Parco biomedico. Da tale struttura sarà anche possibile dare un forte impulso allo sviluppo delle attività di ricerca e del business complessivo del Parco... in considerazione soprattutto delle prospettive e della mission sottese a Castel Romano. In tal senso abbiamo la possibilità di avvalerci degli ottimi rapporti di amicizia resi disponibili dall’amico N. (Pollari Ndr) con i vertici del Polo tecnologico, il Presidente Geronzi e i responsabili degli organismi deputati al finanziamento dei progetti di ricerca”.
    Pompa, in sostanza, sta dicendo: “caro don Verzé, tu fai nominare Pollari al Sismi e, grazie a lui, riusciremo a fare tanti affari. Per esempio, potremo metterci insieme al Sismi per fare ricerca con fondi pubblici da usare anche per sviluppare il campus che stiamo costruendo a Castel romano, vicino a Roma. Non solo: potremo prendere due piccioni con una fava, usando come ufficio per la ricerca comune (affittandola) la villetta che sorge accanto alla sede del Parco biomedico del San Raffaele a Mostacciano”.
    Pompa nei suoi documenti
    nomina altre tre operazioni immobiliari da effettuarsi a Roma e Olbia. Questi affari, avevano insospettito anche la Procura di Milano, che scrive nel dicembre 2006: “ deve essere devoluta alla valutazione della Procura di Roma la valutazione di documenti riguardanti operazioni immobiliari, pure sequestrati in via Nazionale a Roma, apparendone opportuno l’approfondimento”. A Roma però nessuno avvista la storia di villa Pollari. Ma cosa accade dopo quella lettera di Pompa dell’estate 2001? Berlusconi sceglie Pollari come capo del Sismi a settembre. Nel 2002 parte il campus del San Raffaele a Castel Romano. Nel 2004 Pollari assume Poma e, da capo del Sismi gradito ai “Raffaeliani”,
    compra una villa dal San Raffaele proprio accanto alla sede del parco biomedico che sembra proprio quella descritta da Pompa nella lettera del 2001. Nel 2006 Francesco Bonazzi su “L’espresso” scrive che in quella villa è attiva una sede del Sismi, in affitto da don Verzé. Sarà quella di Pollari?
    Il Fatto Quotidiano ha contattato l’avvocato Titta Madia, legale di Pollari, che - dopo essersi consultato con il cliente - replica: “È un errore. La villa acquistata dal generale non è quella”. Sarà. Resta il fatto che i “raffaeliani”, dopo aver perorato la nomina di Pollari, hanno fatto un affare con lui. E resta un dubbio: la villetta di Pollari è stata venduta a un prezzo basso al generale per essere poi ristrutturata e usata dal Sismi?
    Ieri nel cortile della villa si vedeva una casetta e un canestro giocattolo. Ma non c’erano bimbi. Solo una station wagon, una Bmw Roadster Z4 cabrio e un furgone blu.
    Chissà chi ci vive. Una cosa è certa Pollari ha fatto un affarone. La magione di Mostacciano è disposta su quattro livelli: due ingressi, due saloni, sei camere, due soggiorni, cinque bagni, due vani guardaroba, lavanderia e garage, tre terrazze, giardino di 1.400 metri e una bella piscina con trampolino. La villa era stata comprata nel 1994 dal San Raffaele a un prezzo di 2 miliardi e 400 milioni, più del doppio di quanto ha pagato Pollari. Quando il 28 luglio del 2005, davanti al notaio Giancarlo Mazza, acquista la casa, il generale rappresenta con apposita procura anche la moglie. Nell’abitazione sono stati eseguiti alcuni abusi edilizi e il San Raffaele garantisce che, se il condono presentato negli anni ottanta non andrà a buon fine, Pollari non tirerà fuori un euro per integrare la sanatoria. Probabilmente per giustificare il prezzo basso, i contraenti allegano una perizia dell’ingegnere Santino Tosini nella quale si fa notare lo stato pietoso dell’immobile: gli infissi divelti dagli occupanti abusivi della casa, abbandonata per anni dal San Raffaele, gli impianti non funzionanti, le erbacce e il cancello divelto. La perizia si conclude con una frase: “lo stato del fabbricato sito in Roma, ..., è totalmente fatiscente e sicuramente non agibile a meno dell’effettuazione di radicali lavori di ripristino strutturale e di rifacimento di pavimentazioni, impianti, infissi, ecc..”. Che sono stati fatti senza badare a spese. Chissà chi li ha pagati.

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  5. vadinho2009
     
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    Avete notato, soffermandovi sul lessico involuto di P.P., un'assonanza con lo stile delle risoluzioni strategiche di una nota organizzazione attiva prevalentemente negli anni '70-'80 e sfortunatamente non ancora del tutto debellata?
    Anche quel suo dichiarare in commissione: "da giovane sono stato un militante del Pci, diffondevo l’Unità la domenica’”, francamente mi lascia perplesso, pur essendo un dato molto comune anche nei vari transfughi della politica attiva dei giorni contemporanei.
    Magari solo una serie di irrilevanti circostanze coincidenti, quindi, tuttavia il quadro che emerge dagli articoli postati da Fulsere è a dir poco inquietante.
    Non escluderei che anche questo sito sia messo sotto controllo, in quanto fucina di nuovi eversori.
    A proposito, qualcuno riesce a spiegarmi chi siano gli eversori oggi? :sick:

    P.S.: spero che Fulsere continui in questa meritoria iniziativa di pubblicare nelle pagine di questo forum gli sviluppi di questa inchiesta giornalistica. Anche se non ci sono stati molti post di risposta, ciò non vuol dire che la tematica trattata sia di scarso rilievo...
     
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  6. Solèr1
     
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    Ciao Vadinho, il fatto che non vi siano molte risposte alla discussione di Fulsere è una cosa normale. Le discussioni aperte da Fulsere GIUSTAMENTE non se le fila nessuno..... ad ogni modo puoi stare tranquillo che Fulsere tornerà sull'argomento... stanne certo quando c'è B. di mezzo...
     
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    CITAZIONE (Solèr1 @ 1/1/2010, 22:40)
    Ciao Vadinho, il fatto che non vi siano molte risposte alla discussione di Fulsere è una cosa normale. Le discussioni aperte da Fulsere GIUSTAMENTE non se le fila nessuno..... ad ogni modo puoi stare tranquillo che Fulsere tornerà sull'argomento... stanne certo quando c'è B. di mezzo...

    Caro SOler,
    io almeno ci provo ad aprire discussioni.
    Ma solo per quelli a cui interessa sapere se i nostri servizi segreti spiano i terroristi o i magistrati, ben inteso...
    Tu di cosa dovresti discutere, in effetti ?
    Se papi è il migliore degli ultimi 150 anni o dei migliori 1500 ? :o: :sick: :P
    Continuerò, Vadhigno, continuerò, grazie dell'apprezzamento... :D
    Buon anno e
    Bacioni
    Fulsere :D
     
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    “BETULLA”, LUTTWAK E IL TARIFFARIO DEI SERVIZI
    I bonifici per “l’agente Farina” e il contratto dell’analista yankee
    di Marco Lillo
    “Caro Edward”. Si apre così una lettera di Pio Pompa al consulente americano dei servizi segreti. Ma l’autore della missiva, l’ex funzionario del servizio segreto militare Pio Pompa, avrebbe fatto meglio a iniziare con un “Carissimo” vista l’entità dei compensi strappati ai contribuenti italiani da questo professore nato in Romania, passato da Palermo e cresciuto tra Londra e gli Stati Uniti a cornflakes e intelligence.
    Luttwak è famoso per le sue comparsate a “Porta a Porta”, dove con l’accento da telecronista di football americano imitato perfettamente da Corrado Guzzanti rifila ai telespettatori concetti indigesti sulla guerra necessaria e sui terroristi da sterminare. Dalle carte sequestrate nel “covo del Sismi” di via Nazionale diretto da Pio Pompa si scopre che per le sue analisi Luttwak è stato retribuito profumatamente dal Sismi diretto da Nicolò Pollari, attraverso la Apri Spa di Luciano Monti. Nella sua lettera, che dovrebbe risalire al settembre 2002, Pompa propone al “caro Edward” un contratto da nababbo: “a) impegno minimo di dieci giornate al mese per un importo di 5 mila euro al giorno, spese escluse, pari a complessive 50 mila euro al mese; b) la collaborazione avrà la durata di 12 mesi, a far data dalla sottoscrizione del contratto, per un importo annuale di 600 mila euro; c) le spese attinenti le attività da svolgere, debitamente concordate, saranno rimborsate a parte dietro presentazione della relativa documentazione”.
    Luttwak ha raccontato in un’intervista a Claudio Gatti del Sole 24 ore nel novembre del 2008: “lavoravo con Pompa per Apri e Apri lavorava per il Sismi”. A leggere le mail sequestrate a Pompa però si coglie un esempio negativo delle ricadute del rapporto Luttwak-Sismi sulla manipolazione dei media. Tutto si svolge nelle ore immediatamente seguenti la strage di Nassirya del 12 novembre 2003. Muoiono 28 persone, 18 italiani. L’Italia è scossa e e si raccoglie intorno al salotto di Vespa. Luttwak è invitato insieme a Franco Frattini, allora ministro degli esteri. L’illustre politologo indipendente (in realtà strapagato dal Sismi e quindi dal Governo) si esibisce in questo numero acrobatico per connettere Al Qaeda alla sinistra antagonista. Ecco quello che milioni di italiani hanno sentito quella sera.
    Luttwak: “Un amico qui a Roma che ha un figlio che guarda internet ha fatto presente che ci sono siti italiani fatti da italiani che parlano di resistenza e aizzano attacchi contro la coalizione. Ci sono Nuovimondimedia.it  , Infor  mationguerrilla.org  . Questi dicono ‘andate in Iraq, lottate, uccidete la coalizione e gli italiani’”. Vespa frena: “Luttwak, abbiamo cliccato non è venuto niente e lei, Frattini, che fa conferma?”. Il ministro accende lo sguardo accigliato da busto marmoreo: “C'erano certo”.
    Vespa: “C'erano?”.
    Frattini: “Ma li hanno cancellati, sono scomparsi”.
    Vespa: “No, scusi eh, prima che li cancellassero esistevano? Lei testimonia che esistevano?”.
    Frattini: “Non li ho guardati ma noi sapevamo che esistevano”.
    Leggendo le mail sequestrate si capisce chi è la fonte che ha spinto il politologo a dire la balla spaziale. Pompa scrive a Luttwak: “Come richiesto ti invio i contenuti dei siti web riguardanti la tua presenza a ‘Porta a Porta’”. Così l’amico americano scopre che l’associazione Nuovimondi annuncia querela. Luttwak è terrorizzato: il 20 e poi il 23 novembre scrive ossessivamente a quella che sembra essere la sua fonte: “Visto querela dai siti gradirei copie loro pagine offensive”. Purtroppo per lui quelle pagine non esistono. Il 24 novembre torna alla carica: “est possibile recuperare le loro pagine aggressive prima di Nassirya?”. Da Pompa arriva solo un link su Osama che non c’entra nulla. Luttwak insiste il 26 novembre: “Ho bisogno dei testi precedenti dei siti, cioé quando celebravano la resistenza”.
    Antonio Imparato di Nuovimondi racconta: “Abbiamo fatto querela perché era un fatto totalmente inventato ed era particolarmente grave perché pubblicizzato sull’onda emotiva dell’attentato di Nassirya . Non so come è finita”.
    È interessante il ruolo di Apri. Questa società di consulenza ha fatturato 2,8 milioni di euro nel 2008 ed è diretta da Luciano Monti, in quel periodo presidente di Assoconsult, aderente a Confindustria. Pompa vanta con Apri un rapporto di ferro. La sua fidatissima segretaria trentenne, che poi sarà assunta al Sismi, è stata una dipendente Apri e ha raccontato che Pompa stesso aveva una stanza nella sede Apri di Piazza Esedra. A leggere il carteggio tra Pompa e Luttwak, Apri funzionava come una cassa dei servizi per i consulenti. In un appunto di Pompa, sequestrato dalla Digos, si legge l’elenco delle attività svolte da Apri. In particolare nell’appunto di Pompa si cita il “think tank” composto oltre che dal politologo americano e dai dirigenti di Apri Monti e Orvieto, da altri esperti vicini al Governo come il generale Carlo Jean e il commercialista Enrico Vitali, partner dello studio tributario fondato da Giulio Tremonti. Il report descrive 15 incontri sui seguenti temi: emergenza nazionale, flussi migratori e finanziari, organizzazioni islamiche e sviluppi del settore aerospaziale. A differenza degli informatori come il giornalista Renato Farina pagati direttamente dalla “Casa” (come dimostrano le ricevute sopra pubblicate e controfirmate con il nome in codice “Betulla”), i consulenti prestavano la loro opera a Apri. A un certo punto però il giocattolo si rompe. Pompa segnala a Pollari nel 2003: “L’assoluta non veridicità, come dimostrato dalla quasi totale assenza di prodotti a supporto, delle giornate lavorative imputate al capoprogetto, prof. Luciano Monti e al suo collaboratore dott. Piero Orvieto, rispettivamente n. 41 e 50 giornate che sarebbero state effettuate nel bimestre novembre-dicembre 2002 per un importo complessivo di 131.495 euro. Per Pompa, Apri chiede 2 milioni di euro perché interpreta a modo suo la convenzione del 2002. Ma il Sismi non vuole pagare tanto. A cascata Apri blocca i pagamenti a Luttwak che fa causa e tempesta Monti e Pompa di mail sempre più dure. Alla fine Pompa gli propone di chiudere accettando “solo” 142 mila euro, “a cui vanno aggiunte quelle non ancora pagate da Monti”. Chissà se il “Caro Edward” ha accettato.

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