giurisprudenza sui concorsi

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  1. alex.falco
     
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    TAR LAZIO - ROMA, SEZ. I QUATER - sentenza 24 agosto 2006 n. 7425 - Pres. Guerrieri, Est. Mangia - Coco (Avv. Mazzola) c. Ministero della Giustizia (Avv.ra Stato) - (respinge).
    1. Concorso - Vincitori ed idonei - Non sono titolari di un diritto soggettivo alla nomina - Ragioni.
    2. Concorso - Graduatoria - Utilizzazione mediante scorrimento - Nel caso di posti resisi vacanti a seguito della rinuncia di alcuni idonei - Obbligo della P.A. - Non sussiste - Indizione di un nuovo concorso - Possibilità - Sussiste.
    3. Concorso - Graduatoria - Utilizzazione mediante scorrimento - Art. 15, comma 7, del d.P.R. n. 487 del 1994 (Regolamento dei concorsi pubblici) - Prevede solo un termine di efficacia della graduatoria - Previsione altresì di un obbligo di utilizzazione per la P.A. - Inconfigurabilità.
    4. Concorso - Graduatoria - Utilizzazione mediante scorrimento - Ha natura eccezionale - Regola generale - E’ costituita dall’indizione di un concorso pubblico.
    5. Concorso - Graduatoria - Utilizzazione mediante scorrimento - Nel caso di posti resisi vacanti a seguito della rinuncia di alcuni idonei - Costituisce una facoltà discrezionale della P.A. - Possibilità di ricoprire i posti vacanti mediante un nuovo concorso pubblico - Sussiste.
    1. Nel campo del pubblico impiego vige ancora il principio generale, non intaccato dal fenomeno della c.d. privatizzazione, secondo cui i vincitori di un concorso pubblico (e, a maggior ragione, i candidati risultati idonei), all’esito della procedura selettiva pubblica, non sono titolari di un diritto soggettivo alla nomina, potendo l’Amministrazione non procedervi nei casi in cui sia venuta meno la necessità o la convenienza di ricoprire i posti messi a concorso, ovvero in cui si siano verificati mutamenti oggettivi delle condizioni relative alla nomina (1)
    2. Nel caso in cui, a seguito dell’espletamento di un concorso e dell’approvazione della graduatoria, si siano resi disponibili alcuni posti per rinuncia, dimissioni o decadenza di alcuni concorrenti risultati vincitori, non sussiste l’obbligo della P.A. di procedere allo scorrimento della graduatoria ancora valida per la copertura dei posti stessi, in quanto, gli idonei - al pari dei vincitori del concorso - non sono titolari di un diritto all’assunzione (2).
    3. L’art. 15, comma 7, del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (il quale - riproducendo la disposizione già contenuta nell’art. 23, comma 22, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 - prevede che "le graduatorie dei vincitori rimangono efficaci per un termine di diciotto mesi dalla data della sopra citata pubblicazione per eventuali coperture di posti per i quali il concorso è stato bandito e che successivamente ed entro tale data dovessero rendersi disponibili…."), si limita esclusivamente ad individuare un arco temporale di vigenza - e, quindi, di astratta idoneità alla produzione di effetti giuridicamente rilevanti - delle graduatorie concorsuali, ma non prevede espressamente alcun obbligo per l’Amministrazione di procedere allo "scorrimento" della graduatoria, né alcuna preclusione all’indizione di un nuovo concorso.
    4. L’istituto dell’utilizzazione di una graduatoria per la copertura di posti successivamente resisi disponibili ha carattere eccezionale rispetto alla comune regola secondo cui i posti devono essere coperti, previo apposito concorso, dai "vincitori" della procedura: con la conseguenza che tale utilizzazione non è obbligatoria.
    5. La copertura dei posti eventualmente resisi disponibili rispetto alla precedente graduatoria "per rinuncia, dimissioni e decadenza" non riveste carattere prioritario, perché l’Amministrazione può ben ravvisare ragioni che depongono, se del caso, a favore dell’espletamento di un nuovo concorso (3).

    IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
    - Sezione I-quater -
    ha pronunciato la seguente
    Sentenza
    sul ricorso n. 3976 del 2003, proposto da Coco Lina, rappresentata e difesa dall’Avv. Emanuela Mazzola ed elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore, situato in Roma, via Tacito n. 50;
    contro
    il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è legalmente domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
    per l’annullamento
    della nota prot. n. 0030243-2003 PU-GDAP – 100 – 22/01/2003 – 0030243 – 2003 del 21 gennaio 2003, comunicata alla ricorrente a mezzo posta, di cui si acquisiva conoscenza in data 26 gennaio 2003, con la quale l’Amministrazione resistente, disattendendo l’atto di intimazione stragiudiziale notificato in data 16.12.2002, rifiutava di procedere allo scorrimento della graduatoria già pubblicata nel Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia n. 19, in data 15 ottobre 2001, e di riconoscere in capo all’odierna ricorrente la nuova e diversa posizione in graduatoria alla stessa spettante nonché di attribuire alla medesima la qualifica di allievo vice ispettore;
    e per la revoca
    del bando di concorso pubblico per il conferimento di complessivi duecentosettantuno posti di allievo vice ispettore del ruolo degli ispettori del Corpo della Polizia Penitenziaria, indetto con provvedimento del Capo del Dipartimento del 6 febbraio 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 22, 4^ Serie Speciale Concorsi ed Esami del 18.03.2003, limitatamente alla parte dell’art. 1 in cui si stabilisce il conferimento di complessivi 271 posti di allievo vice ispettore, dei quali 11 per donne;
    nonché per la revoca
    di ogni altro atto presupposto, preparatorio, connesso e consequenziale al provvedimento impugnato, anche di estremi sconosciuti;
    nonché per il riconoscimento
    in capo alla ricorrente, previo scorrimento della graduatoria, della qualifica di allievo vice ispettore del ruolo degli ispettori della Polizia Penitenziaria con ammissione alla frequentazione del relativo corso di preparazione;
    Visto il ricorso con la relativa documentazione;
    Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
    Visti le memorie ed i documenti prodotti dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore alla pubblica udienza del 26 giugno 2006 il Primo Referendario Antonella MANGIA; uditi, altresì, i procuratori della parte come da verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
    Fatto
    Attraverso il ricorso in esame, notificato in data 25 marzo 2003 e depositato in data 18 aprile 2003, la ricorrente contesta la legittimità del rifiuto oppostole dall’Amministrazione di procedere allo scorrimento della graduatoria pubblicata nel Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia n. 19 del 15 ottobre 2001 e del bando di concorso pubblico indetto con provvedimento del Capo del Dipartimento del 6 febbraio 2003.
    Nel contempo, chiede il riconoscimento, previo scorrimento della graduatoria, della qualifica di allievo vice ispettore del Ruolo degli ispettori della Polizia Penitenziaria.
    In particolare, rappresenta: - di aver partecipato al concorso pubblico indetto con D.M. 12.12.1996 per il conferimento di complessivi 448 posti di allievo vice ispettore, poi elevati a 454, di cui 350 per uomini e 104 per donne; - di essere risultata idonea non vincitrice, posizionandosi al posto n. 106; - che, medio tempore, alcune candidate risultate vincitrici hanno rinunciato alla posizione giuridica conseguita, con la conseguenza che alcuni posti sono rimasti vacanti; - di aver, quindi, notificato in data 16.12.2002 un atto stragiudiziale di diffida e contestuale messa in mora con il quale intimava l’Amministrazione a procedere allo scorrimento della graduatoria e a riconoscerle la qualifica di allievo di vice ispettore; - che detta istanza veniva respinta con la nota prot. n. 0030243-2003 in epigrafe perché "tutti i posti disponibili nel ruolo di riferimento…… sono stati impegnati con le suddette procedure"; - in detta nota veniva, altresì, precisato che lo scorrimento della graduatoria è "un’eventualità da valutarsi tenuto conto delle esigenze della stessa (rectius: Amministrazione), in relazione [….] alla validità della graduatoria … ed all’organizzazione di un ulteriore corso di formazione….";- che, con provvedimento in data 6.2.03, veniva indetto un concorso pubblico per il conferimento di 271 posti di allievo vice ispettore, dei quali 11 per donne.
    Al fine di dimostrare l’illegittimità degli atti impugnati nonché la fondatezza della pretesa vantata, la ricorrente prospetta i seguenti motivi di gravame:
    Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 15 comma VII del D.P.R. 9 maggio 1994 n. 487 – Violazione dell’articolo 1 del bando di concorso – Violazione del P.C.D. del 5 giugno 2001 – Illegittimità per eccesso di potere del nuovo bando di concorso indetto con provvedimento del 6 febbraio 2003 – Illogicità, contraddittorietà del nuovo bando – Ingiustizia manifesta. L’art. 15, comma 7, del D.P.R. 9 marzo 1994, n. 387, a differenza del precedente art. 8 del D.P.R. n. 3/1957, prevede un vero e proprio obbligo a carico dell’Amministrazione di effettuare lo scorrimento della graduatoria, ove questa sia ancora efficace come nel caso in esame. L’unica circostanza eventuale è che a seguito dell’approvazione della graduatoria definitiva – da intendere come unica – vi siano rinunce, dimissioni e decadenze. Ciò trova conferma anche nelle disposizioni contenute nelle leggi finanziarie (art. 39, comma 13, L. 449/97; art. 20, comma 3, L. 488/99; art. 51 L. 388/2000) e nei principi di cui alla legge n. 241/90 ed all’art. 97 Cost.. Vi è ancora violazione del bando: negando lo scorrimento, il numero di candidate che conseguiranno la nomina risulterà illegittimamente inferiore all’originaria previsione. L’Amministrazione non poteva indire il nuovo bando senza provvedere allo scorrimento della graduatoria.
    Violazione dell’art. 97 della Costituzione – Violazione dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione – Violazione dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990 – Violazione dei principi di economicità, efficacia efficienza e celerità dell’azione amministrativa. Il mancato scorrimento della graduatoria ha impedito la copertura in favore degli idonei dei posti resisi vacanti per rinuncia, dimissioni e decadenze da parte dei vincitori. E’ da aggiungere che l’Amministrazione, non avvalendosi della procedura di scorrimento della graduatoria, ha lasciato spazio ad una disparità di trattamento quanto meno potenziale, laddove decidesse per il futuro di utilizzare la predetta procedura a parità di condizioni.
    Illegittimità per carenza e/o insufficienza e/o illogicità e/o contraddittorietà della motivazione - Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90. Le motivazioni addotte dall’Amministrazione sono insufficienti e comunque contraddittorie. La contraddittorietà si evidenzia quando, se da un lato si dichiara che tutti i posti messi a concorso sono stati impegnati, dall’altro si provvede ad indire un nuovo concorso. Per quanto attiene all’organizzazione di un nuovo corso, è evidente che la ricorrente potrebbe essere inserita nel corso di formazione che farà seguito all’espletamento del nuovo concorso.
    In ultimo, la ricorrente chiede anche la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno, da computare "secondo equità".
    Con atto depositato in data 3 maggio 2003 si è costituita l’Amministrazione intimata.
    Con ordinanza n. 2198/2003 del 7 maggio 2003, questo Tribunale ha respinto la domanda incidentale di sospensione.
    Con memoria depositata in data 10 giugno 2006 l’Amministrazione ha contestato la fondatezza delle censure sollevate adducendo: - l’impossibilità di avvalersi dell’aliquota dei posti del ruolo maschile non coperti al termine della procedura concorsuale per incrementare i posti messi a concorso riservati al personale di sesso femminile; - che lo scorrimento della graduatoria è sempre una facoltà dell’Amministrazione; - che la recente pubblicazione in G.U. di n. 3 bandi di concorso pubblico, tra i quali n. 271 posti di vice ispettore di Polizia Penitenziaria (260 uomini e 11 donne), è conforme alle vigenti disposizioni, avuto riguardo al 50% delle vacanze presenti nel ruolo femminile degli ispettori del Corpo di Polizia Penitenziaria al 31 dicembre 2001.
    Il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 26 giugno 2006.
    Diritto
    1. Come emerge dalla narrativa che precede, a sostegno della tesi dalla ricorrente propugnata viene essenzialmente dedotta l’esistenza di un vero e proprio obbligo a carico dell’Amministrazione di procedere allo scorrimento della graduatoria.
    In altri termini, la ricorrente afferma che, nell’eventualità si rendano disponibili posti dopo l’espletamento della procedura concorsuale e non sia ancora scaduto il termine di validità temporale della graduatoria approvata in esito a quest’ultima, l’Amministrazione è tenuta - in ragione del disposto di cui all’art. 15, comma 7, del D.P.R. n. 387/94 - a procedere all’assunzione degli idonei, nell’ordine in cui sono inseriti in graduatoria.
    Al fine di dimostrare l’illegittimità dei provvedimenti impugnati denuncia, altresì, violazione dei principi che governano l’attività amministrativa nonché dell’obbligo di motivazione.
    2. Le esposte censure sono infondate.
    Procedendo alla ricognizione del quadro normativo di riferimento, non appare, infatti, possibile pervenire alle medesime conclusioni della ricorrente.
    2.1. In primis, appare opportuno richiamare un principio di carattere generale che ancora impera nel settore del pubblico impiego, non intaccato, tra l’altro, dal fenomeno della c.d. privatizzazione: i vincitori di un concorso pubblico (e, dunque, tanto più i candidati risultati idonei), all’esito della procedura selettiva pubblica, non sono titolari di un diritto soggettivo alla nomina, potendo l’Amministrazione non procedervi nei casi in cui sia venuta meno la necessità o la convenienza di ricoprire i posti messi a concorso ovvero in cui si siano verificati mutamenti oggettivi delle condizioni relative alla nomina (cfr. TAR Lazio, Sez. I bis, sent. n. 441 del 2006).
    Come espressamente riconosciuto anche nella pronuncia della Corte di Cassazione, depositata dalla ricorrente nel corso dell’udienza pubblica del 26 giugno 2006 (Sez. Lavoro, sentenza n. 3252 del 5 marzo 2003), non ricorrono norme giuridiche che consentano di configurare un diritto all’assunzione e, dunque, per i rapporti in regime di diritto pubblico, lo stesso "vincitore di concorso non può essere considerato titolare di un diritto soggettivo all’emanazione del provvedimento unilaterale di nomina, sia perché rientra nella più ampia discrezionalità amministrativa la determinazione del momento più opportuno per l’inserimento tra il personale in attività di servizio, sia perché non è, in ogni caso, configurabile una posizione di diritto soggettivo di fronte al potere provvedimentale".
    2.2. A corollario di quanto già detto non può che imporsi l’insussistenza di un obbligo per l’Amministrazione di procedere allo scorrimento delle graduatorie.
    Come in precedenza ricordato, a supporto della propria tesi la ricorrente richiama l’art. 15, comma 7, del d.P.R. n. 487 del 1994, il quale, riproducendo la disposizione già contenuta nell’art. 23, comma 22, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, così dispone: "Le graduatorie dei vincitori rimangono efficaci per un termine di diciotto mesi dalla data della sopracitata pubblicazione per eventuali coperture di posti per i quali il concorso è stato bandito e che successivamente ed entro tale data dovessero rendersi disponibili….".
    Anche in ragione di quanto in precedenza rilevato, è da ritenere che l’ambito applicativo di tale disposizione sia limitato esclusivamente all’individuazione di un arco temporale di vigenza (e, quindi, di astratta idoneità alla produzione di effetti giuridicamente rilevanti) delle già formate procedure concorsuali.
    Del resto, va osservato che:
    - la richiamata disposizione non prevede espressamente alcun obbligo per l’Amministrazione di procedere allo "scorrimento" invocato né alcuna preclusione all’indizione di un nuovo concorso;
    - la fissazione del rilevato arco temporale non si presta – di per sé - a produrre l’ulteriore conseguenza (inespressa – come già precisato – dalla legge) di rendere "obbligato" il ricorso, da parte dell’Amministrazione, alle graduatorie stesse.
    La c.d. "ultrattività della graduatoria concorsuale va, infatti, distinta, sul piano concettuale prima ancora che effettuale, dalla configurabilità di un obbligo di scorrimento e/o di una preclusione all’indizione di un nuovo bando di concorso.
    Limitazioni siffatte – come condivisibilmente affermato dal Consiglio di Stato (Sez. III, 12 ottobre 2004, n 10644) – in quanto incidenti sulla potestà di autodeterminazione discrezionale della P.A., non possono non conseguire (nella vigenza del principio di legalità) a prescrizioni espresse.
    In carenza di simili prescrizioni, l’utilizzazione delle graduatorie oltre i termini e le modalità fissate nella singola procedura concorsuali non possono che essere ricondotte a scelte discrezionali dell’Amministrazione.
    L’attribuzione della facoltà di procedere a dette scelte, proprio perché rispondente ad esigenze che sono correlate non all’interesse del singolo ma all’interesse pubblico, rappresenta, dunque, non una violazione bensì un’applicazione dei principi dell’art. 97 Cost..
    E’ evidente che la copertura dei posti eventualmente resisi disponibili rispetto alla precedente graduatoria "per rinuncia, dimissioni e decadenza"– in ordine ai quali, in ogni caso, la ricorrente non ha fornito alcun elemento di prova – non riveste carattere prioritario perché l’Amministrazione può ben ravvisare ragioni che depongono, se del caso, a favore dell’espletamento di un nuovo concorso (cfr. C.d.S., sent. 30 ottobre 2003, n. 6785, 10 marzo 2003, n. 1282, 20 marzo 2000, n. 1510 e 18 novembre 1999 n. 1958).
    E’ da ricordare ancora che, come da tempo acquisito in giurisprudenza, l’istituto dell’utilizzazione di una graduatoria per la copertura di posti successivamente resisi disponibili ha pur sempre carattere eccezionale rispetto alla comune regola secondo cui i posti devono essere coperti, previo apposito concorso, dai "vincitori" della procedura: con la conseguenza che tale utilizzazione non è obbligatoria.
    Al riguardo, non può, dunque, rilevare l’eventuale mancata copertura di tutti i posti messi a concorso né detta circostanza potrebbe – in ogni caso - essere ritenuta in contrasto con le previsioni del bando, attesa, tra l’altro, la sua riconducilità ad iniziative assunte dai vincitori stessi.
    In relazione all’addotta possibilità di evitare un’inutile prosecuzione dei tempi collegati all’indizione del nuovo concorso e di evitarne i relativi costi, è da osservare che si tratta di circostanze che debbono essere oggetto di valutazione da parte dell’Amministrazione.
    In ogni caso, nel caso di specie non ne è dimostrata l’effettiva rilevanza.
    Per contro, è da osservare che:
    l’Amministrazione dichiara espressamente che i posti disponibili sono stati impegnati con la procedura che ha avuto avvio con il D.M. del 12 dicembre 1996;
    in base a tale dichiarazione nonché in ragione dell’entità dei posti, appare ragionevole escludere un’identità tra i posti messi a concorso con il bando impugnato, riportato in epigrafe, ed i posti resisi disponibili, riguardo ai quali potrebbe operare lo "scorrimento", sicché la necessità dell’espletamento di un nuovo concorso, manifestata dall’Amministrazione con riferimento alle vacanze presenti al 31.12.2001, permane;
    ciò trova conferma anche in affermazioni della ricorrente che attestano una compatibilità tra il preteso scorrimento e l’indizione del nuovo concorso. In particolare, si ricorda che la ricorrente asserisce espressamente la possibilità di essere inserita "nel corso di formazione che farà seguito all’espletamento del nuovo concorso……".
    Alle considerazioni precedentemente rassegnate deve ulteriormente soggiungersi che il Corpo di Polizia Penitenziaria è disciplinato da una propria normativa, definibile di "carattere speciale", che – con riguardo al reclutamento del personale – esige l’accertamento attuale di ben definiti requisiti di efficienza e di idoneità psico-fisica ed attitudinale nonché di stabiliti limiti di età.
    In linea con quanto rilevato anche dal Consiglio di Stato in sede consultiva (cfr. Sez. III, 27 luglio 1999, n. 493), appare evidente che le suddette condizioni non sono sempre compatibili con l’assunzione di idonei in precedenti selezioni.
    3. In conclusione, è da escludere la fondatezza delle doglianze dedotte con il presente gravame, attesa la rilevata insussistenza di un obbligo di scorrimento delle pregresse graduatorie concorsuali (a fronte della quale non è data ravvisare alcuna posizione giuridicamente tutelata in capo ai soggetti in esse inclusi in qualità di idonei) e l’ampia latitudine discrezionale che, invece, assiste (come confermato in giurisprudenza) la scelta dell’Amministrazione di indire – pur in presenza di graduatorie ancora "valide" – un nuovo concorso.
    Per tali ragioni, il ricorso in esame deve essere respinto.
    Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in Euro 500,00 a favore del Ministero della Giustizia.
    P.Q.M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione I quater respinge il ricorso n. 3976/2003.
    Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate a favore del Ministero della Giustizia in Euro 500,00.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
    Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 26 giugno 2006.
    Depositata in Segreteria in data 24 agosto 2006.

     
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  2. alex.falco
     
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    >> Diritto Amministrativo >> Pubblico Impiego >> Articolo >> 10/11/2006



    Consiglio di Stato sulla
    Esclusione da concorso per aver copiato



    Il Consiglio di Stato, con decisione depositata lo scorso 7 novembre, ha riformato una sentenza del Tar Lazio (che si allega pure in calce) accogliendo infine il ricorso avverso l'esclusione da un concorso pubblico per aver copiato.

    I Giudici di Palazzo Spada hanno premesso che in effetti la comminatoria di esclusione del candidato da concorso per l'accesso ad impiego nella pubblica amministrazione opera con effetto di automatismo nei casi in cui risulti che "il concorrente abbia copiato in tutto o in parte lo svolgimento del tema"; (art. 13, c.4 d.P.R. 487/1994).

    Si tratta dunque di disposizione di "immediata valenza precettiva che non richiede ulteriore esplicitazione in sede di elaborazione da parte della commissione di esame, ai sensi dell’art. 12 d.P.R. 487/1994, delle modalità e dei criteri di massima cui conformarsi in sede di valutazione degli esiti delle prove".

    Ciò posto, tuttavia, "la violazione della regola concorsuale sussiste nei casi in cui dalla prove scritta emerga:
    a) una riproduzione fedele del testo non ammesso a consultazione;
    b) un’ impostazione del tema, o di parte di esso, che costruisca un’imitazione, con carattere pedissequo e fraudolento, del testo assunto a parametro confronto".

    Nel caso in esame, secondo il Consiglio di Stato, "in relazione sia al contenuto della parte della prova scritta che si assume inficiata da “copia”, sia all’economia che essa assume all’interno dell’ elaborato sulla tematica proposta, deve escludersi che emergano chiari ed univoci elementi rilevatori che, con ragionevole grado di certezza, possano integrare l’ ipotesi di esclusione dal concorso prefigurata dall’art. 13, comma quarto, del d.P.R. n. 487/1994".

    Di seguito la decisione del Consiglio di Stato e, a seguire, la sentenza riformata del Tar Lazio

    . . . . . . .

    1) La decisione favorevole al ricorrente:

    Consiglio di Stato, VI sezione

    Sentenza 7 novembre 2006 n. 6558

    (presidente Varrone, estensore Polito)

    G.
    contro
    l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale I.N.P.S.

    Riforma TAR Lazio, Sez. III, n. 943/04 del 2.2.2004

    Fatto

    La dr.ssa G. Daniela, superate le prove di preselezione, sosteneva le prove scritte del concorso pubblico per esami a 92 posti dell’area del ruolo professionale, livello base avvocato, indetto dall’ I.N.P.S. con bando pubblicato il 21.01.2000.

    La commissione esaminatrice escludeva la dr.ssa G. dall’ammissione alle prove orali sul rilievo che l’elaborato della prova scritta di diritto del lavoro, di cui era disposto l’annullamento, “ripropone ampi stralci delle pagine 135, 136, 137, tratte dal manuale Diritto del Lavoro, ed. Simone– 2001” (verbale del 21.01.2002).

    Avverso il provvedimento di esclusione, la graduatoria approvata il 20.02.2002, i criteri di massima per la valutazione delle prove di concorso ed atti preordinati, connessi e conseguenti, la G. proponeva ricorso avanti al T.A.R. per il Lazio integrato con successivi motivi aggiunti formulando censure di violazione di legge ed eccesso di potere in diversi profili.

    Il T.A.R. adito con la sentenza di estremi indicati in epigrafe respingeva il ricorso.

    Contro la decisione di rigetto la dr.ssa G. ha proposto atto di appello e, a confutazioni delle conclusioni del T.A.R., ha dedotto:
    - che l’esame dell’elaborato della terza prova scritta in raffronto al manuale indicato dalla Commissione mostra che fra i due testi non vi è identità di contenuto, con la conseguenza che non emergono elementi per qualificarlo come frutto di copiatura con comminatoria dell’esclusione dal concorso;
    - che in assenza di una ragionevole certezza del plagio la sola coincidenza di elaborazione concettuale non può giustificare la misura espulsiva;
    - che la sussistenza o meno degli estremi del plagio è un dato oggettivo il cui riscontro non implica una valutazione discrezionale tecnica della commissione esaminatrice e che il giudizio al riguardo va analiticamente motivato;
    - che la Commissione, nel determinare i criteri di massima per la valutazione delle prove, ha omesso di specificare i casi che possono dar luogo al loro annullamento;
    - che nessuna valutazione è stata compiuta sull’incidenza della parte dell’ elaborato che si assume copiata sul merito complessivo della prova.
    Con successiva memoria l’appellante ha insistito nelle proprie tesi difensive.
    L’ I.N.P.S., costituitosi in giudizio, ha contrastato i motivi dedotti e chiesto il rigetto dell’appello.

    Diritto

    1). L’appello è fondato.

    2). La comminatoria di esclusione del candidato da concorso per l’accesso ad impiego nella pubblica amministrazione, alla stregua di quanto previsto dall’art. 13, comma quarto, del d.P.R. 09.05.1994, n. 487, si collega ai limiti di consultazione di testi in sede di svolgimento dalle prove scritte, quali imposti dal bando di concorso e/o dalle indicazioni della stessa commissione esaminatrice, ed opera con effetto di automatismo nei casi in cui risulti che “il concorrente abbia copiato in tutto o in parte lo svolgimento del tema”.

    Si tratta di disposizione di chiaro contenuto e di immediata valenza precettiva che, diversamente da quanto argomentato dall’appellante, non richiede ulteriore esplicitazione in sede di elaborazione da parte della commissione di esame, ai sensi dell’art. 12 del d.P.R. n. 487/1994, delle modalità e dei criteri di massima cui conformarsi in sede di valutazione degli esiti delle prove.

    2.1). La violazione della regola concorsuale, indirizzata a garantire l’originalità del prodotto intellettuale del candidato quale elemento rivelatore del grado di maturità e di preparazione richiesto per assolvere i compiti nel posto messo a concorso, sussiste nei casi in cui dalla prove scritta emerga:-
    a). una riproduzione fedele del testo non ammesso a consultazione;
    b). un’ impostazione del tema, o di parte di esso, che costruisca un’imitazione, con carattere pedissequo e fraudolento, del testo assunto a parametro confronto.

    Nella fattispecie che ha originato il presente contenzioso non ricorre la prima ipotesi, perché la parte dell’elaborato relativo alla prova scritta in “diritto del lavoro” contenente lo sviluppo delle nozioni relative alla nullità ed annullabilità del contratto di lavoro – che si afferma incorrere nella violazione dell’art. 13, comma quarto, del d.P.R. n. 487/1994, non si configura meramente riproduttiva per identità di frasi e connessione delle proposizioni di stralci del testo assunto a termine di confronto della Commissione (pagine 135, 136, 137, del manuale Diritto del Lavoro, ed. Simoni – 2001).

    2.2). L’attento esame della parte di elaborato che si afferma inficiato dalla violazione della regola sui limiti di consultazione di testi nel corso della prova scritta porta altresì ad escludere che si versi nell’ ipotesi in precedenza delineata al punto b).

    Va in primo luogo osservato che le nozioni sviluppate nella parte di elaborato oggetto di rilievo attengono a concetti fondamentali della dogmatica inerenti alla nullità e annullabilità del negozio giuridico, con riferimento nello specifico al contratto di lavoro, che trovano nella manualistica un comune e ricorrente sviluppo espositivo delle linee essenziali degli istituti.

    La circostanza che il candidato nell’esposizione di dette nozioni fondamentali si sia attenuto all’ impostazione del manuale non può essere elevato a univoco elemento rilevatore dell’assenza di ogni originale elaborazione, potendo invece l’ordine argomentativo osservato essere ragionevolmente ricondotto a precedente studio ed approfondimento ed alle ordinarie capacità mnemoniche del candidato.

    Conforta del resto tale conclusione sia l’assenza di ogni pedissequa riproduzione di frasi e proposizioni contenute nel testo assunto a termine di confronto, sia la circostanza che la porzione di elaborato che si afferma inficiato da “copia” è costituito da una sola pagina sulle otto in cui è stata articolata la prova scritta, e ciò avvalora le capacità di autonoma rielaborazione del candidato di nozioni relative all’argomento proposto.

    2.2.). Quanto ai tre esempi pratici citati nel tema in sede di esposizione dei tratti essenziali degli istituti sull’ invalidità del contratto di lavoro gli stessi non sono affatto identici a quelli indicati nel manuale assunto a riferimento dalla commissione di esame.

    Come correttamente posto in rilievo dall’appellante l’ipotesi di nullità del contratto di lavoro per illiceità della causa è, infatti, riferita dal candidato alla stampa di “biglietti di danaro falsi”, mentre nel manuale si parla di “stampa di biglietti per lotterie clandestine”. Ugualmente non vi è corrispondenza di testo e di contenuto quanto agli esempi pratici relativi alla nullità del contratto di lavoro per illiceità dell’oggetto e di annullabilità per dolo del lavoratore.

    Deve, inoltre, condividersi la tesi dell’appellante volta a porre in rilievo come in sede di concorso per l’accesso alle qualifiche del pubblico impiego, in relazione ai limiti di pregressa esperienza professionale dei candidati, costituisce dato di comune esperienza il richiamo alle casistiche esposte nei manuale che con maggior grado di certezza si riconducono alle nozioni teoriche ivi sviluppate.

    Per le ragioni che precedono, in relazione sia al contenuto della parte della prova scritta che si assume inficiata da “copia”, sia all’economia che essa assume all’interno dell’ elaborato sulla tematica proposta, deve escludersi che emergano chiari ed univoci elementi rilevatori che, con ragionevole grado di certezza, possano integrare l’ ipotesi di esclusione dal concorso prefigurata dall’art. 13, comma quarto, del d.P.R. n. 487/1994.

    Per le ragioni che precedono l’appello va accolto con assorbimento dei motivi non esaminati; per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di primo grato ed annullato l’atto di esclusione con esso impugnato.

    Ricorrono motivi per compensare le spese le giudizio fra le parti.

    P.Q.M.

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla l’atto di esclusione con esso impugnato. Spese compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez. VI - nella Camera di Consiglio del 14 luglio 2006. Depositata il 7 novembre 2006.

    . . . . . . .

    2) La decisione negativa di primo grado:

    Tar Lazio, sezione III

    Sentenza 2 febbraio 2004 n. 943

    (presidente Carella, estensore Proietti)

    Fermo restando che il giudizio circa la sussistenza del plagio, ovvero della copiatura parziale o totale di prove d'esame ha carattere tecnico e non si presta ad un controllo di legittimità – deve ritenersi legittimo l'annullamento della prova scritta discendente (come nel caso di specie) da accertamenti e valutazioni della commissione che siano immuni da vizi logici e si riferisca a fonti bene in concreto individuate, sicché è consentito agevolmente il controllo degli elementi sui quali il provvedimento si sia fondato e la individuazione del tipo di espressioni usate e della loro sequenza, in modo da trarsi la ragionevole certezza della copiatura.

    La giurisprudenza ha anche chiarito che, nell'ipotesi di annullamento di prova scritta in un pubblico concorso per copiatura dell'elaborato da un manuale di studio, accertata dalla commissione esaminatrice, ai fini della congruità della motivazione dell'adozione del provvedimento sanzionatorio la commissione stessa non è tenuta a dare una compiuta ed esaustiva dimostrazione della fondatezza del convincimento con l'indicazione analitica di tutte le corrispondenze riscontrate fra la fonte oggetto di copiatura e l'elaborato, ma solo ad enunciare la certezza degli esaminatori circa la copiatura dell'elaborato e l'indicazione della (supposta) parte.

    (... )

    Fatto

    Con il ricorso introduttivo del giudizio la parte ricorrente impugnava gli atti indicati, deducendo censure attinenti violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili, ed evidenziando quanto segue:
    la ricorrente partecipava al concorso pubblico, per esami, a 92 posti per l’area dei professionisti dipendenti (livello base avvocato) indetto con decreto dirigenziale pubblicato sulla G.U. 4^ Serie speciale n. 6 del 21/1/2000;
    dopo aver sostenuto e superato, in data 13/2/2001, le prove di preselezione (quiz) la ricorrente era ammessa a partecipare alle prove scritte, poi svolte nei giorni 22, 23 e 24 maggio 2001;
    nonostante la buona qualità degli elaborati scritti, la Commissione esaminatrice si determinava nel senso di non ammettere la ricorrente alle prove orali;
    ai sensi degli artt. 22 ss., L.n. 241/1990, G. Daniela chiedeva di poter accedere agli atti della procedura concorsuale, ma l’Istituto differiva l’accesso al termine della procedura;
    comunque, ritenendo illegittima la decisione di non ammettere la candidata alla fase del concorso successiva alle prove scritte, la ricorrente impugnava gli atti indicati.

    Con motivi aggiunti, ritualmente notificati, la ricorrente proponeva ulteriori doglianze, rilevando che:
    avverso il diniego di accesso agli atti della procedura concorsuale era stato proposto ricorso al TAR, il quale, con sentenza n. 6029/2002 aveva ordinato all’Ente di consegnare alla ricorrente copia degli atti della procedura concorsuale;
    esaminati tali atti, la ricorrente aveva appreso che la non ammissione alle prove orali era stata determinata dal fatto che la Commissione esaminatrice aveva constatato un presunto plagio, posto in essere dalla candidata in occasione della redazione dell’elaborato di diritto del lavoro, traendo brani delle pagine 135, 136 e 137 del Manuale Diritto del Lavoro Ed. Simone 2001.

    L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, sosteneva l’infondatezza del ricorso, in quanto la Commissione, a suo parere, aveva correttamente annullato una delle prove scritte della concorrente, all’esito del corretto riscontro tra quanto dalla medesima scritto nell’elaborato e quanto riportato nel Manuale di Diritto del Lavoro – Edizioni Simone – 2001.

    Con ordinanza n. 634 del 5/2/2003 il TAR respingeva la domanda incidentale di sospensione proposta da parte ricorrente. Con successive memorie le parti argomentavano ulteriormente le rispettive difese. All’udienza del 10 dicembre 2003 la causa veniva trattenuta dal Collegio per la decisione.

    Diritto

    1. Il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere rigettato per le seguenti ragioni.

    2. Con l’unico motivo contenuto nel ricorso introduttivo del giudizio e con il primo motivo aggiunto sono stati dedotti i seguenti vizi dei provvedimenti impugnati: - violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di procedure concorsuali; - violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3, L.n. 241/1990 (difetto di motivazione); - violazione dell’art. 3 Cost.; - violazione del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 e successive modificazioni e integrazioni; - eccesso di potere per erroneità, difetto dei presupposti e di istruttoria, per arbitrarietà, illogicità, ingiustizia manifesta e sviamento.

    In particolare, la difesa della ricorrente ha affermato - contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione esaminatrice - che dalla comparazione tra l’elaborato redatto in materia di diritto del lavoro e le pagine 135, 136 e 137 del Manuale di Diritto del Lavoro (Ed. Simone 2001), emergere chiaramente che G. Daniela non ha copiato alcunché dal libro citato.

    Infatti, non solo non sarebbe possibile riscontrare identità di frasi tra l’elaborato ed il manuale, ma, addirittura, nel lavoro della concorrente risulta errato uno degli esempi riportati nelle pagine del manuale indicate.

    In sostanza, secondo la ricorrente, l’annullamento del compito e la conseguente non ammissione alle prove orali sarebbe scaturita da un semplice sospetto.

    3. A conclusioni nettamente opposte giunge la difesa dell’Istituto, a parere della quale l’elaborato concorsuale sarebbe frutto di copiatura.

    4. Il Collegio osserva che dal verbale della seduta n. 56 – durante la quale è avvenuta la correzione e l’annullamento dell’elaborato della G. – risulta come la Commissione sia pervenuta al suo giudizio ritenendo che ‘ampi stralci’ dell’elaborato di diritto del lavoro fossero stati tratti dalle pagine 135, 136 e 137 del Manuale di Diritto del lavoro del 2001 delle Edizioni Simone.

    Dal confronto tra l’elaborato e le pagine del manuale risulta confermata la correttezza del giudizio espresso dalla Commissione esaminatrice.

    In particolare, alle pagine 2 e 3 dell’elaborato annullato si rinvengono passaggi parafrasati di brani contenuti nelle pagine 135, 136 e 137 del Manuale indicato.

    E’ vero, come afferma la difesa della ricorrente, che non esiste identità di frasi, ma ciò non vuol dire che la concorrente non abbia copiato, poiché la tesi della copiatura risulta confermata dal fatto che gli esempi citati dalla G. sono gli stessi indicati nel manuale: l’esempio relativo al croupier di una casa da gioco; l’esempio relativo al dolo che determina l’annullabilità del contratto, concernente il lavoratore che ha rilasciato affermazioni false o reticenti; l’esempio dei lavoratori che avevano sottaciuto di possedere titoli di studio superiori a quello utile per ottenere il posto di lavoro.

    5. L’insieme di tali circostanze inducono il Collegio a ritenere corretto il giudizio della Commissione esaminatrice, a nulla rilevando il fatto che la concorrente abbia commesso eventuali errori nel riportare uno degli esempi indicati.

    6. Pertanto, - fermo restando che il giudizio circa la sussistenza del plagio, ovvero della copiatura parziale o totale di prove d'esame ha carattere tecnico e non si presta ad un controllo di legittimità – deve ritenersi legittimo l'annullamento della prova scritta discendente (come nel caso di specie) da accertamenti e valutazioni della commissione che siano immuni da vizi logici e si riferisca a fonti bene in concreto individuate, sicché è consentito agevolmente il controllo degli elementi sui quali il provvedimento si sia fondato e la individuazione del tipo di espressioni usate e della loro sequenza, in modo da trarsi la ragionevole certezza della copiatura (Cons.giust.amm. Sicilia, 2 maggio 1991, n. 170).

    Peraltro, la giurisprudenza (che questo Collegio condivide) ha anche chiarito che, nell'ipotesi di annullamento di prova scritta in un pubblico concorso per copiatura dell'elaborato da un manuale di studio, accertata dalla commissione esaminatrice, ai fini della congruità della motivazione dell'adozione del provvedimento sanzionatorio la commissione stessa non è tenuta a dare una compiuta ed esaustiva dimostrazione della fondatezza del convincimento con l'indicazione analitica di tutte le corrispondenze riscontrate fra la fonte oggetto di copiatura e l'elaborato, ma solo ad enunciare la certezza degli esaminatori circa la copiatura dell'elaborato e l'indicazione della (supposta) parte (Consiglio Stato, sez. IV, 9 gennaio 1991, n. 15).

    7. Con il secondo dei motivi aggiunti, la ricorrente deduce sotto altro profilo i vizi indicati in occasione della trattazione del primo motivo di ricorso, contestando che nel dettare i criteri generali e nel disciplinare le modalità di valutazione delle prove concorsuali, la Commissione esaminatrice non avrebbe individuato i casi di annullamento delle prove. Tale carenza, a parere della ricorrente, comporterebbe l’illegittimità dell’operato della Commissione, la quale, in assenza di specifici criteri prestabiliti, avrebbe dovuto motivare adeguatamente la sua scelta.

    8. Anche questa doglianza è infondata, poiché il fatto che nel verbale n. 13 del 21/5/2001 la Commissione, nel dettare i criteri generali di valutazione delle prove, non abbia indicato i casi di annullamento delle prove, è irrilevante. Infatti, il caso dell’annullamento legato alla copiatura costituisce un’applicazione pratica dell’art. 13, D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi), il quale, al terzo comma stabilisce che “3. I candidati non possono portare carta da scrivere, appunti manoscritti, libri o pubblicazioni di qualunque specie. Possono consultare soltanto i testi di legge non commentati ed autorizzati dalla commissione, se previsti dal bando di concorso, ed i dizionari.”, mentre, al quarto comma, prevede che ”Il concorrente che contravviene alle disposizioni dei commi precedenti o comunque abbia copiato in tutto o in parte lo svolgimento del tema, è escluso dal concorso ...”.

    9. Tali disposizioni, unitamente a quanto detto a proposito del primo motivo di ricorso circa la legittimità della motivazione della determinazione assunta dalla Commissione esaminatrice, induce a ritenere infondate anche le censure contenute nel secondo motivo di ricorso.

    10. Sussistono validi motivi per disporre la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.

    P.Q.M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza,
    - respinge il ricorso;
    - dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;
    - ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa;
    Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 10 dicembre 2003. Depositata il 2 febbraio 2004.








    a

     
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  3. alex.falco
     
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    Consiglio di stato
    sentenza 5799/07 del 13/11/2007
    ________________________________________
    La regola della segretezza delle prove scritte nei concorsi pubblici, a garanzia di imparzialità del giudizio, non si applica, quando l’amministrazione non dispone di alcun margine di valutazione nella correzione, come in un concorso a quiz.
    Questa la conclusione del Consiglio di Stato, sezione VI, nella sentenza 13 novembre 2007, n. 5799.
    Il caso ha riguardato alcuni candidati che, esclusi da un pubblico concorso per aver commesso un errore nella redazione della prova scritta a quiz (in particolare per aver apposto una X in un punto diverso da quello indicato nelle istruzioni) hanno proposto ricorso al TAR.
    Avverso la decisione di quest’ultimo, che ha accolto il ricorso, l’Amministrazione interessata, dogliandosi della violazione dei principi dell’anonimato e dell’imparzialità, in quanto il segno apposto dai candidati sarebbe anomalo e come tale idoneo a costituire un segno di riconoscimento del candidato.
    L’Alto Consesso, ha rigettato il ricorso, affermando che “nei concorsi pubblici, la segretezza delle prove scritte si giustifica con la necessità che la correzione dell’elaborato avvenga ignorando la paternità del compito, quale garanzia di imparzialità del giudizio e che, pertanto, tale regola generale non si applica, nel caso in cui, secondo le modalità di svolgimento delle prove previste dal bando, l’elaborato non sia da ritenere soggetto alle regole tipiche della prova scritta, ad esempio perché l’Amministrazione non dispone nella correzione di alcun margine di valutazione”.
    Nella fattispecie in esame, concludono i giudici di Palazzo Spada, trattandosi di prova concorsuale consistente nella soluzione di quesiti a risposta multipla (di cui una sola esatta), non risulta riconosciuto alcun margine di discrezionalità all’Amministrazione, il cui apprezzamento è invece assolutamente vincolato, per cui l’osservanza della regola dell’anonimato non potrebbe portare ad altro diverso esito della valutazione.
    Dott. Gesuele Bellini

    ________________________________________
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    N.5799/2007
    Reg.Dec.
    N. 4478 Reg.Ric.
    ANNO2002
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
    DECISIONE
    sul ricorso in appello proposto dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;controVestoso Francesco, Prisciantelli Giovanni e Colasuonno Pietro, rappresentati e difesi dall’avv.to Armando Lupo ed elettivamente domiciliati presso l’avv. Antonio Ciaurro, Studio Legale Conte, in Roma, alla via Ennio Quirino Visconti, 99; e rappresentati e difesi dall’avv. Michele Conte e dall’avv. Giovanni Battista Conte ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Antonio Ciaurro in Roma, viale Carso n. 34;per l'annullamentodella sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio -Sez. II Ter-, n. 1709/2002;Visto il ricorso con i relativi allegati;Visto l’atto di costituzione in giudizio di Vestoso, Pisciantelli e Colasuonno;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
    Visti gli atti tutti della causa;Relatore alla pubblica udienza del 13 luglio 2007 il Consigliere Roberto Giovagnoli;Uditi l’avv. dello Stato Barbieri e l’avv. Conte Giovanni Battista;Ritenuto e considerato che sussistono i presupposti per l’emissione di sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 26 della legge n. 1034/1971;Considerato che gli odierni appellati sono stati esclusi dal concorso a 451 posti di vice sovrintendente del Corpo Forestale dello Stato a causa di un errore commesso nella redazione della prova scritta a quiz, ed in particolare nell’apposizione di una X in un punto diverso da quello indicato nelle istruzioni, in particolare per aver apposto il segno X sulla risposta anziché su una della tre lettere (A, B, C);Considerato che il T.a.r. per il Lazio ha accolto, dopo averli riuniti, i ricorsi proposti dagli odierni appella con la sentenza n. 1740/2002, oggetto del presente giudizio di appello; Considerato che l’appello dell’Amministrazione censura la decisione del T.a.r. adducendo che, stante la particolare impostazione della prova, schematica nella formulazione dei quesiti, qualsiasi segno diverso da quello strettamente necessario per la compilazione del questionario, risulta anomalo e come tale idoneo a costituire un segno di riconoscimento del candidato, con conseguente violazione dei principi dell’anonimato e dell’imparzialità; Ritenuto che nei concorsi pubblici, la segretezza delle prove scritte si giustifica con la necessità che la correzione dell’elaborato avvenga ignorando la paternità del compito, quale garanzia di imparzialità del giudizio e che, pertanto, tale regola generale non si applica, nel caso in cui, secondo le modalità di svolgimento delle prove previste dal bando, l’elaborato non sia da ritenere soggetto alle regole tipiche della prova scritta, ad esempio perché l’Amministrazione non dispone nella correzione di alcun margine di valutazione;Ritenuto che nel caso di specie, trattandosi di prova concorsuale consistente nella soluzione di quesiti a risposta multipla (di cui una sola esatta), non risultano riconosciuti all’Amministrazione margini di discrezionalità valutativa;Rilevato, viceversa, che l’apprezzamento rimesso all’Amministrazione ha natura rigidamente vincolata;Osservato, inoltre, che non vi è prova alcuna del fatto che l’osservanza della regola procedimentale dell’anonimato - di cui si contesta la violazione - avrebbe determinato un differente esito della valutazione;Ritenuto, pertanto, che l’appello debba essere respinto; Ritenuto, altresì, che devono essere poste a carico dell’Amministrazione appellante le spese del presente giudizio di appello, che si liquidano in dispositivo;
    P.Q.M.
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe.
    Condanna l’Amministrazione appellante, in persona del legale rappresentante, in favore dei resistenti in solido, al pagamento delle spese del presente grado del giudizio, che si liquidano in complessivi € 3.000 oltre CPA ed IVA come per legge;
    Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
    Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez. VI – nella Camera di Consiglio del 13 luglio 2007, con l'intervento dei Signori:
    Claudio VARRONE Presidente
    Carmine VOLPE Consigliere
    Luciano BARRA CARACCIOLO Consigliere
    Bruno Rosario POLITOConsigliere
    Roberto GIOVAGNOLI Consigliere Est. e Rel.
    Presidente
    Claudio Varrone
    ConsigliereSegretario
    Roberto GiovagnoliVittorio Zoffoli
    DEPOSITATA IN SEGRETERIA
    il.....13/11/2007
    (Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
    Il Direttore della Sezione
    MARIA RITA OLIVA
    CONSIGLIO DI STATO
    In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
    Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa
    al Ministero..............................................................................................
    a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
    Il Direttore della Segreteria
    ________________________________________

     
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    Tar Emilia Romagna 4 gennaio 2005


    Tar Emilia Romagna, sezione II

    Ordinanza 4 gennaio 2005 n. 1

    (presidente Luigi Papiano, estensore Ugo Di Benedetto)


    Il rispetto dell’articolo 97 della Costituzione, il quale richiede che la Commissione giudicatrice renda trasparente l’iter logico seguito nella valutazione effettuata, è fondamentale non solo per gli esaminandi ma anche per i cittadini e per l’Ordinamento. Vi è, infatti, un evidente interesse pubblico che siano ammessi all’esercizio della professione soltanto i capaci ed i meritevoli, selezionati attraverso una procedura trasparente, tenuto conto degli importanti compiti che dovranno svolgere non solo in qualità di libero – professionisti ma quali incaricati di un pubblico servizio fondamentale per la collettività ed indispensabile, stante l’obbligatorietà dell’assistenza legale nel processo, per garantire l’effettività della tutela giurisdizionale ai cittadini.

    Nei confronti delle valutazioni, espressione di discrezionalità tecnica, come nel caso di quelle operate dalle commissioni esaminatrici per l’abilitazione all’esame di Avvocato, il giudice deve poter controllare la ragionevolezza, logicità e coerenza dei giudizi espressi (Cons. Stato, sez. VI, n. 2199 del 2002). Tale sindacato, limitato agli aspetti estrinseci, formali e logici delle valutazioni delle commissioni esaminatrici, può essere effettuato soltanto nel caso in cui la commissione motivi le proprie scelte o renda conoscibile l’iter logico seguito nelle proprie valutazioni dando conto, nel caso concreto della valutazione del singolo elaborato, di quali criteri predeterminati ha dato effettiva applicazione.



    (...)



    FATTO e DIRITTO

    1. La ricorrente ha partecipato all’esame di abilitazione per esercizio della professione legale nella sessione 2003 presso la Corte d’Appello di Bologna. In data 16, 17 e 18 dicembre 2003 ha sostenuto le prove scritte. Le votazioni attribuite alla ricorrente sono state le seguenti: 25 con riferimento al parere in materia civile; 24 con riferimento al parere in materia penale; 30 con riferimento all’atto giudiziario in materia civile. Non avendo raggiunto il punteggio complessivo di 90 non è stata ammessa alla prova orale.

    Ha, quindi, presentato ricorso al Tar, impugnando gli atti in epigrafe indicati deducendone l’illegittimità. In particolare ha contestato la mancanza di motivazione del voto insufficiente attribuito dalla commissione agli atti giudiziari redatti in materia civile e penale ritenendo che ciò ha reso impossibile percepire l’iter logico seguito dalla commissione nell’attribuzione del punteggio negativo di 25 con riferimento al parere in materia civile e 24 con riferimento al parere in materia penale. Ha, altresì, rilevato che, stante la genericità dei criteri di valutazione predeterminati dalla Commissione, la mera attribuzione di un voto non renderebbe possibile risalire al modo in cui detti criteri siano stati applicati nel caso concreto. In effetti, nella specie dal verbale della commissione giudicatrice, risulta che “La Commissione a maggioranza, decide di non apporre sugli elaborati alcun segno di correzione e di non evidenziare in alcun modo eventuali errori. Per quanto concerne il giudizio sulle prove, la Commissione concorda altresì nel ritenere che lo stesso sia espresso compiutamente attraverso l’attribuzione di un punteggio numerico e la graduazione di questo tra il minimo ed il massimo previsto..”.

    Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata che ha concluso per il rigetto del ricorso. L’istanza cautelare è stata respinta con ordinanza n. 1176 del 15 ottobre 2004 e all’udienza del 9/12//2004 la causa è stata trattenuta in decisione.

    2. La normativa di riferimento, per quanto concerne la valutazione delle prove dell’esame di abilitazione alla professione di Avvocato, consente alla commissione giudicatrice di attribuire un mero punteggio per ciascuna prova scritta.

    Infatti, l’articolo 23, quinto comma, del R. D. 22 gennaio 1934, n. 37, come novellato dal D. L. 21 maggio 2003, n. 112, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, dispone che “la commissione assegna il punteggio a ciascuno dei tre lavori raggruppati ai sensi dell’articolo 22, comma 4, dopo la lettura di tutti e tre, secondo le norme stabilite dall’articolo 17 bis”. L’articolo 24, primo comma, del R. D. 22 gennaio 1934, n. 37, come novellato dal D. L. 21 maggio 2003, n. 112, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, dispone che “il voto deliberato deve essere annotato immediatamente dal segretario, in tutte lettere, in calce al lavoro. L’annotazione è sottoscritta dal presidente dal segretario”. L’articolo 17-bis, secondo comma, del R. D. 22 gennaio 1934, n. 37, come novellato dal D. L. 21 maggio 2003, n. 112, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione dispone che “……alla prova orale sono ammessi candidati che abbiano conseguito, nelle tre prove scritte, un punteggio complessivo di almeno 90 punti e con un punteggio non inferiore a 30 punti per almeno due prove”.

    3. Non vi è dubbio che il quadro normativo di riferimento non consente altra interpretazione se non quella che la commissione giudicatrice deve esprimere un semplice voto nel giudicare le prove scritte dell’esame di abilitazione alla professione avvocato.

    Tale è la consolidata prassi amministrativa espressa dalle relative circolari 10 luglio 2000, prot. n. 7/29013002/2678/Ue e n. 7/1947/V del 12/7/2001 (quest’ultima richiamata nei verbali della commissione giudicatrice) della direzione generale degli affari civili e delle libere professioni, indirizzata alle commissioni esaminatrici.

    La stessa interpretazione è consolidata nella giurisprudenza del Consiglio di Stato la quale addirittura decide questa tipologia di controversie attraverso la sentenza succintamente motivata, emanata ai sensi dell’articolo 9 della legge 205 del 2000, ritenendo, pertanto, manifestamente infondata, in applicazione della speciale normativa sopra richiamata, ogni censura diretta a contestare la mancata motivazione della commissione esaminatrice nell’attribuzione di un punteggio (tra le tante Cons. Stato, sez. IV, n. 6155 del 17 settembre 2004).

    4. Il Collegio, ritiene di dover rilevare d’ufficio la questione di legittimità costituzionale della normativa sopraindicata essendo la stessa rilevante ai fini della definizione della specifica controversia sottoposta al suo esame in cui è stata sollevata proprio la censura di illegittimità delle valutazioni della commissione giudicatrice espressa attraverso un mero punteggio di 25 con riferimento al parere in materia civile e di 24 con riferimento al parere in materia penale.

    5. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale va osservato che, per quanto concerne l’espletamento dell’esame di abilitazione alla professione di Avvocato, la recente normativa, ha profondamente innovato proprio per quanto concerne la valutazione delle prove stesse, pur lasciando immutata la disciplina per quanto concerne l’attribuzione di un mero punteggio nella valutazione delle prove.

    Infatti, il legislatore con la novella introdotta dal D. L. 21 maggio 2003, n. 112, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, si è mostrato particolarmente sensibile alle esigenze di imparzialità e di trasparenza dell’operato delle commissioni giudicatrici. Infatti, un’apposita commissione, istituita presso il Ministero della Giustizia, deve definire criteri per la valutazione degli elaborati scritti e delle prove orali dandone comunicazione alle sottocommissioni, ai sensi dell’articolo 22 del R. D. 22 gennaio 1934, n. 37, come novellato dal D. L. 21 maggio 2003, n. 112, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. Qualora il numero dei candidati che hanno presentato la domanda di ammissione sia superiore a 300 unità presso ciascuna Corte d’Appello sono nominati ulteriori sottocommissioni. “A ciascuna sottocommissione non può essere assegnato un numero di candidati superiori a 300” (art. 22, coma ottavo) e ciascuna sottocommissione ha, di regola, sei mesi di tempo per la conclusione della procedura, prorogabili per motivi eccezionali e debitamente accertati. La correzione degli elaborati non avviene da parte della commissione istituita presso la Corte d’Appello dove sono svolte le prove scritte ma gli elaborati redatti dai candidati vanno trasmessi a quelle individuate ai sensi dell’articolo 15, comma quarto e quinto, presso la quale dovrà essere effettuata la correzione.

    6. In definitiva, il nuovo sistema introdotto è diretto a garantire trasparenza, imparzialità, uniformità di giudizi e particolare accuratezza nella correzione degli elaborati scritti attribuendo un numero “contenuto” di candidati, non superiore a 300, per ciascuna sottocommissione ed un tempo adeguato per le correzioni degli elaborati.

    7. Ciò premesso il collegio ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per i profili di seguito evidenziati.

    8. Violazione degli articoli 3, 97 e 98 della Costituzione per irrazionalità ed illogicità della suddetta normativa.

    La disciplina speciale dell’esame di abilitazione alla professione legale, nel testo risultante dalla recente riforma di cui al D. L. 21 maggio 2003, n. 112, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, sopra richiamata, prevede, all’articolo 22, che la commissione appositamente istituita presso il Ministero della Giustizia definisca i criteri per la valutazione degli elaborati scritti specificando quelli già puntualmente indicati, quali principi generali, direttamente dal comma nono.

    Quest’ultima normativa prevede che la valutazione tenga conto dei seguenti aspetti: a) chiarezza, logicità e rigore metodologico nell’esposizione; b) dimostrazione della concreta capacità di soluzione di specifici problemi giuridici; c) dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici ed istituti giuridici trattati; d) dimostrazione della capacità di cogliere eventuali profili di interdisciplinarietà; e) relativamente all’atto giudiziario, dimostrazione della padronanza delle tecniche di persuasione.

    L’importanza, a giudizio del legislatore, della predeterminazione di criteri di valutazione puntuali è accentuata non solo dalla loro previsione normativa ma anche dall’obbligo, da parte dell’apposita commissione istituita presso il Ministero, di definire criteri più specifici. Nonostante tale cura nella predeterminazione dei criteri di valutazione rimane vigente la normativa che inderogabilmente prevede l’attribuzione di un semplice punteggio.

    Appare, invece, illogico ed irrazionale e, quindi, in violazione dei principi di cui articoli 3 e 97 della Costituzione, che la commissione giudicatrice non debba giustificare la concreta applicazione dei criteri predeterminati nella valutazione del singolo elaborato e ciò attraverso una motivazione o quanto meno l’indicazione di quali parametri abbia tenuto in particolare conto nella concreta attribuzione del punteggio nelle singole prove, al fine di rendere trasparente l’iter logico seguito nella valutazione effettuata.

    9. Violazione dell’articolo 3 della Costituzione per disparità di trattamento rispetto a procedure valutative identiche nei pubblici concorsi.

    L’articolo 9 del D. P. R. 9 maggio 1994, n. 487, che contiene la disciplina generale di ogni pubblico concorso, prevede che l’assegnazione dei punteggi nelle singole prove sia preceduta dalla predeterminazione di una modalità di valutazione, che va esternata in un’apposita motivazione. Ancora più dettagliatamente, per esempio, l’articolo 9, terzo comma, del D. P. R. 27 marzo 2001, n. 220, dispone che: “la commissione, alla prima riunione, stabilisce i criteri e le modalità di valutazione, da formulare nei verbali, delle prove concorsuali ai fini della motivazione dei punteggi attribuiti alle singole prove”.

    Quindi, sussiste un principio generale in materia concorsuale per cui l’attribuzione dei punteggi o la qualificazione in termini di mera “insufficienza” della prova costituisce un “giudizio inidoneo a rendere percepibile l’iter logico seguito dalla Commissione con conseguente violazione del principio di trasparenza cui l’intera attività ammnistrativa deve conformarsi, nonché di quello, pure presidiato sul piano costituzionale, che vuole sempre garantita la possibilità di un sindacato della ragionevolezza, della corenza e della logicità delle stesse valutazioni selettive”(sul punto la giurisprudenza del Consiglio di Stato, per quanto concerne i concorsi pubblici è consolidata, cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, n. 2331 del 30 aprile 2003; Cons. Stato, sez. VI, n. 4409 del 2004; Cons. Stato, sez. VI, n. 558 del 2004).

    Nel caso degli esami di abilitazione all’esercizio della professione di Avvocato, invece, la speciale normativa sopra richiamata, esclude la possibilità per la commissione giudicatrice di motivare le proprie scelte richiedendosi esclusivamente l’attribuzione di un punteggio.

    Vi è, pertanto, disparità di trattamento rispetto alla suddetta normativa concorsuale pur essendo le situazioni del tutto omogenee.

    Infatti, sia le commissioni giudicatrici dei pubblici concorsi sia la commissione giudicatrice per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato debbono valutare prove scritte di contenuto sostanzialmente identico.

    Entrambe le procedure sono fondamentali per il cittadino per consentirgli di accedere al mondo del lavoro, essendo indifferente che ciò avvenga per svolgere un’attività nell’ambito del pubblico impiego od un’attività libero professionale.

    Inoltre, sotto questo profilo, va osservato come il rispetto dell’articolo 97 della Costituzione, il quale richiede che la Commissione giudicatrice renda trasparente l’iter logico seguito nella valutazione effettuata, è fondamentale non solo per gli esaminandi ma anche per i cittadini e per l’Ordinamento.

    Vi è, infatti, un evidente interesse pubblico che siano ammessi all’esercizio della professione soltanto i capaci ed i meritevoli, selezionati attraverso una procedura trasparente, tenuto conto degli importanti compiti che dovranno svolgere non solo in qualità di libero – professionisti ma quali incaricati di un pubblico servizio fondamentale per la collettività ed indispensabile, stante l’obbligatorietà dell’assistenza legale nel processo, per garantire l’effettività della tutela giurisdizionale ai cittadini.

    10. Violazione degli articoli 24 e 113 della Costituzione che assicurano la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi.

    La giurisprudenza amministrativa, al fine di assicurare una tutela giurisdizionale in conformità ai canoni costituzionali, si è da tempo consolidata nel senso di ammettere, in sede giudiziaria, un sindacato sulla discrezionalità tecnica esercitata dalla pubblica amministrazione.

    Va, infatti, distinta la pura discrezionalità amministrativa, che rientra nel merito amministrativo ed è riservata all’amministrazione e, quindi, non sindacabile in sede giurisdizionale, dalla discrezionalità tecnica che rientra nella legittimità dell’azione amministrativa.

    La valutazione della discrezionalità tecnica è, pertanto, doverosa per il giudice amministrativo ancorché limitato ad un sindacato di tipo “debole”, che, cioè, non consente alcun potere sostitutivo del giudice tale da sovrapporre la propria valutazione tecnico opinabile o il proprio modello logico all’operato dell’amministrazione.

    Nei confronti delle valutazioni, espressione di discrezionalità tecnica, come nel caso di quelle operate dalle commissioni esaminatrici per l’abilitazione all’esame di Avvocato, il giudice deve poter controllare la ragionevolezza, logicità e coerenza dei giudizi espressi (Cons. Stato, sez. VI, n. 2199 del 2002).

    Tale sindacato, limitato agli aspetti estrinseci, formali e logici delle valutazioni delle commissioni esaminatrici, può essere effettuato soltanto nel caso in cui la commissione motivi le proprie scelte o renda conoscibile l’iter logico seguito nelle proprie valutazioni dando conto, nel caso concreto della valutazione del singolo elaborato, di quali criteri predeterminati ha dato effettiva applicazione.

    Ciò appare coerente con i principi dell’ordinamento comunitario, espressi dalla Corte di Giustizia C. E., la quale rileva che le valutazioni tecniche espresse dalle commissioni possono essere sindacate sia al fine di verificare l’osservanza delle norme di procedura, sia per quanto concerne la motivazione delle scelte effettuate (sentenza 11 luglio 1985, causa 42/84, Remia; 17 novembre 1987, cause riunite 142/84 e 156/84, BAT e Reynolds; 28 maggio 1998, causa 7/1995, John Deere).

    Anche sotto questo profilo la normativa sopra richiamata che obbliga le commissioni giudicatrici ad attribuire un mero punteggio agli elaborati corretti appare incostituzionale.

    Infatti, in presenza di un mero voto il giudice amministrativo può soltanto o ritenerlo insindacabile, in violazione dei principi di cui agli articoli 24 e 113 della Costituzione, o sostituire un proprio punteggio a quello attribuito dalla commissione ma anche questa soluzione viola i principi costituzionali di “riserva” dell’Amministrazione.

    11. Violazione degli articoli 97 e 98 della Costituzione, i quali richiedono, per esigenze di imparzialità e di trasparenza dell’azione amministrativa, che ogni determinazione dell’Amministrazione sia motivata, come recepito dall’articolo 3 della legge 241 del 1990 per ogni procedimento amministrativo, o quantomeno che sia reso percepibile l’iter logico seguito dalla Commissione e ciò nel rispetto del principio di trasparenza cui l’intera attività ammnistrativa deve conformarsi, nonché di quello, pure presidiato sul piano costituzionale, che vuole sempre garantita la possibilità di un sindacato della ragionevolezza, della corenza e della logicità delle stesse valutazioni selettive. Ciò appare tanto più necessario nella particolare procedura concernente l’esame di abilitazione alla professione di Avvocato tenuto conto che tutta la recente normativa, sopra richiamata, adotta idonee misure organizzative per consentire alle commissioni giudicatrici di operare con serenità e nei termini adeguati, prevedendo che ciascuna sottocommissione non possa vedersi attribuito il compito di valutare un numero superiore a 300 candidati concludendo le proprie operazioni nel semestre.

    12. Per quanto sopra considerato vanno rimessi gli atti alla Corte Costituzionale attesa la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione.

    P.Q.M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione Seconda; Visti gli articoli 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 23, quinto comma, 24, primo comma, e17-bis, secondo comma, del R. D. 22 gennaio 1934, n. 37, come novellato dal D. L. 21 maggio 2003, n. 112, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, per violazione degli articoli 3,24, 97, 98 e113 della Costituzione;

    SOSPENDE IL GIUDIZIO;

    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, disponendo la notifica della presente ordinanza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e alle parti in causa e la comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

    Depositata in Segreteria il 4 gennaio 2005
     
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  5. il canna
     
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    In questa decisione il Consiglio di Stato afferma che "le singolari modalità della conoscenza della valutazione negativa delle prove scritte (avvenuta consultando occasionalmente il sito internet del Ministero della Giustizia) non incidono in alcun modo sulla sua pienezza ed effettività, non potendo ragionevolmente dubitarsi che il mancato inserimento del nominativo dell’appellante nell’elenco di coloro che erano stati convocati per sostenere le prove orali [... ] costitu[isce] perciò stesso un provvedimento lesivo, in modo diretto, immediato e concreto della sua posizione giuridica, disconoscendogli una effettiva utilità, quale (quanto meno) la ulteriore partecipazione alla procedura concorsuale e pertanto immediatamente impugnabile a pena di decadenza"
    Se ne tenga conto per valutare i termini per l'impugnazione.

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

    D E C I S I O N E

    [N.305/2008 Reg. Dec. N. 6599 Reg. Ric. Anno 2007]

    [...]

    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

    F A T T O

    Con la sentenza n. 4535 del 16 maggio 2007, emessa ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come sostituito dall’articolo 9, comma 1, della legge 21 luglio 2000, n. 205, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, ha dichiarato irricevibile il ricorso proposto dal dott. Xxxxx Xxxxxxx per l’annullamento delle prove d’esame scritte svolte nel corso del pubblico concorso per uditore giudiziario indetto con D.M. 28 febbraio 2004, cui il ricorrente aveva partecipato, e, in particolare, del verbale n. 22 del 28 febbraio 2006 della Commissione esaminatrice del predetto concorso nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale, ivi compresi i criteri di valutazione delle prove scritte.
    Secondo il predetto tribunale, infatti, il ricorrente sin dal 4 gennaio 2007 era pienamente edotto del contenuto pregiudizievole degli atti impugnati, così che il relativo ricorso giurisdizionale notificato il 2 aprile 2007 era palesemente tardivo, a nulla rilevando, per un verso, la occasionalità e la informalità delle modalità di conoscenza della mancata ammissione alle prove orali (avvenuta attraverso la consultazione telematica del sito ministeriale) e, per altro verso, la richiesta di accesso agli atti notificata all’amministrazione il 26 gennaio 2007.
    L’interessato, con atto notificato il 31 luglio 2007, ha lamentato l’assoluta erroneità della predetta statuizione, chiedendone la riforma alla stregua di due sostanziali motivi di gravame.
    Con il primo egli ha sostenuto la tempestività del ricorso di primo grado, in quanto, a suo avviso, la mera notizia acquisita sul sito informatico del ministero concerneva soltanto il mancato inserimento del suo nominativo nell’elenco ufficioso di coloro che erano stati convocati per sostenere le prove orali del concorso per uditore giudiziario: non essendovi nello stesso predetto sito informatico alcun altro analogo elenco di coloro che non erano stati ammessi alle prove orali del concorso (con l’indicazione delle relative ragioni), non poteva sostenersi, come erroneamente ritenuto dai pimi giudici, che si fosse in presenza di un atto lesivo da impugnare, un tale onere potendo ricollegarsi solo alla verifica dell’esistenza di un provvedimento che contenesse anche le ragioni dell’esclusione dalle prove orali (circostanza verificatasi solo allorquando erano stati ottenuti, a seguito dell’istanza di accesso, i documenti del procedimento concorsuale ed in particolare il verbale della commissione del concorso che aveva attribuito alle sue prove scritte il giudizio di non idoneo).
    Con il secondo motivo, poi, il ricorrente ha riproposto i motivi di censura sollevati in primo grado (e non esaminati), incentrati sulla violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per ingiustizia manifesta, per incongruità e difetto di motivazione sotto molteplici profili: in sintesi, la mera indicazione del giudizio di “non idoneo” attribuito alle sue prove senza alcuna indicazione numerica e senza alcun segno grafico di correzione non consentiva di appurare i criteri di valutazione utilizzati dalla commissione e integrava macroscopicamente il vizio di difetto di motivazione.
    Si sono costituiti in giudizio il Ministero della giustizia e la Commissione di concorso che con apposita memoria hanno dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame, chiedendone il rigetto.

    D I R I T T O


    I. L’appello è infondato e deve essere respinto.
    I.1. Giova premettere che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, da cui non vi è alcun motivo per discostarsi, ai fini della verifica in sede giudiziale dell’osservanza del termine di legge per l’impugnazione di un provvedimento amministrativo, la piena conoscenza dell’atto - dalla quale, com’è noto, decorre, in difetto di formale comunicazione, il relativo termine - si ricollega alla avvenuta individuazione non solo della esistenza dell’atto, ma anche del suo contenuto in tutte le sue molteplici componenti (ex multis, C.d.S., sez. VI, 15 marzo 2004, n. 1332; sez. IV, 15 dicembre 2003, n 8219).
    Tuttavia è stato precisato che con la locuzione “piena conoscenza” del provvedimento lesivo, ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, non deve intendersi che il destinatario debba conoscere l’atto in tutti i suoi elementi, essendo invece sufficiente che egli sia stato reso edotto di quelli essenziali, quali l’autorità amministrativa che l’ha emanato, la data, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo (C.d.S., sez. IV, 21 dicembre 2001, n. 6339; sez. V, 6 ottobre 2003, n. 5873; 10 marzo 2003, n. 1275); in presenza di siffatti elementi sull’interessato incombe l’onere della immediata impugnazione del provvedimento, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla sua conoscenza integrale emergano ulteriori profili di illegittimità.
    E’ stato altresì chiarito che tali principi non possono trovare applicazione quando le notizie riguardanti il provvedimento pregiudizievole siano riferite all’interessato da parte di persone estranee alla specifica procedura in basi a voci non meglio qualificate e prive di elementi di certezza, atteso che in questo caso si è in presenza di una conoscenza parziale e limitata, inidonea a far decorrere il termine di impugnazione (C.d.S., sez. V, 16 aprile 2003, n. 1992).
    Ciò precisato, non può non rilevarsi che, come correttamente ritenuto dai primi giudici, il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, notificato il 2 aprile 2007, è tardivo in quanto, al più tardi dal 26 gennaio 2007, il dott. Xxxxx Xxxxxxxx era effettivamente a conoscenza che l’Amministrazione, e per essa la Commissione del concorso per uditore giudiziario indetto con D.M. 28/02/2004, aveva ritenuto non sufficienti le sue prove scritte, non ammettendolo alle prove orali: infatti, in detta data appellante notificava “richiesta di accesso ai documenti e ai risultati del pubblico concorso indetto con D.M. 28 febbraio 2004 per 380 posti di uditore giudiziario”, ammettendo espressamente di aver appreso dell’esito non favorevole della sua prova.
    Orbene, ad avviso della Sezione, le singolari modalità della conoscenza della valutazione negativa delle prove scritte (avvenuta consultando occasionalmente il sito internet del Ministero della Giustizia) non incidono in alcun modo sulla sua pienezza ed effettività (e quindi sull’onere della tempestiva impugnazione), non potendo ragionevolmente dubitarsi che il mancato inserimento del nominativo dell’appellante nell’elenco di coloro che erano stati convocati per sostenere le prove orali poteva ricollegarsi, secondo l’id quod plerumque accidit, soltanto all’insufficienza attribuita dalla commissione alle sue prove scritte, costituendo perciò stesso un provvedimento lesivo, in modo diretto, immediato e concreto della sua posizione giuridica, disconoscendogli una effettiva utilità, quale (quanto meno) la ulteriore partecipazione alla procedura concorsuale e pertanto immediatamente impugnabile a pena di decadenza; d’altra parte, la mancata conoscenza delle ragioni su cui si fondava la predetta valutazione negativa consentiva la proposizione di motivi aggiunti (C.d.S., sez. IV, 19 luglio 2007, n. 4072; sez. VI, 21 maggio 2007, n. 2541), senza che ciò in nessun caso potesse avere ricadute negative sulla effettività della tutela giurisdizionale.
    I.2. Per completezza la Sezione deve in ogni caso rilevare che anche i motivi di censura spiegati in primo grado non sono meritevoli di favorevole apprezzamento, non sussistendo in particolare il dedotto difetto di motivazione per essere il giudizio di non idoneità, formulato dalla commissione, privo della necessaria del voto numerico.
    E’ sufficiente rilevare al riguardo che tale questione è stata già affrontata da questa Sezione con la decisione 18 ottobre 2006, n. 6196, la quale, prendendo spunto dalla previsione dell’articolo 16, comma 2, del R.D. 15 ottore 1925, n. 1869, secondo cui “prima dell’assegnazione dei punti la commissione o la sottocommissione delibera per ciascuna prova, a maggioranza di voti, se il candidato meriti di ottenere il minimo richieste per l’approvazione”, ha escluso che la sola l’attribuzione del giudizio “non idoneo”, privo del voto numerico, costituisca illegittimità dell’operato della commissione: proprio alla stregua di tale osservazione, può ritenersi che la commissione di concorso non aveva alcun obbligo di attribuire il voto numerico proprio per aver prioritariamente ritenuto non idonee le prove scritte sostenute dall’interessato.
    Non può per il resto non richiamarsi l’altrettanto consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui i giudizi espressi dalle commissioni di concorso sulle prove (scritte ed orali) dei candidati, in quanto espressione della più ampia discrezionalità attribuita dalla legge a tali organi straordinari proprio per il reclutamento dei migliori funzionari, sfuggono al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo salvo che non siano macroscopicamente affetti dal vizio di illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà, travisamento di fatto, che non sussistono nel caso di specie (non potendo assurgere ad elementi sintomatici di essi il mero dissenso dell’appellante alla valutazione operata dalla commissione).
    II. In conclusione, l’appello deve essere respinto.
    Tuttavia la singolarità della fattispecie giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

    P.Q.M


    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal dott. Xxxxx Xxxxxxxx avverso la sentenza n. 4535 del 16 maggio 1997 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, lo respinge.
    Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
    Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
    Così deciso in Roma, addì 11 giugno 2008, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Quarta - riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
    Carlo SALTELLI - Presidente f.f.,est.
    Salvatore CACACE - Consigliere
    Sergio DE FELICE - Consigliere
    Eugenio MELE - Consigliere
    Vito CARELLA - Consigliere

    IL PRESIDENTE F.F., est.
    Carlo Saltelli

    IL SEGRETARIO
    Giacomo Manzo

     
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  6. alex.falco
     
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    Giustizia ed incarichi dirigenziali. La sentenza della Corte Costituzionale n. 218/2002
    di Pietro Alessio Palumbo

    Sommario.

    Il fatto.

    Le deduzioni del giudice a quo.

    La difesa erariale e le parti.

    Il diritto. Le motivazioni della Suprema Corte.

    Ratio e Leitmotiv della Sentenza.







    Il fatto.


    Con ordinanza del 24 aprile 2001, il Tribunale di Siena ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.12, comma 1, della Legge 11 maggio 1999 n°140, in riferimento all'art.97, 1° e 3° comma, della Carta Costituzionale.

    Due dipendenti della Camera di Commercio di Siena hanno chiesto di essere inquadrati nella qualifica dirigenziale ex art.12, comma 1, della citata legge, la quale prevede espressamente che il personale delle Camere di Commercio già in servizio alla data di entrata in vigore del D.L. n°547/1994 come convertito con modificazioni dalla L. n°644/1994, e che al 12 luglio del 1982 rivestiva la qualifica di capo servizio conseguita nel rispetto dell'ordinamento del personale camerale vigente alla citata data, 'può' essere inquadrato nella qualifica immediatamente superiore.

    La Camera di Commercio, non ha accolto la domanda degli istanti (due) contestando per un verso che l'organico prevede un solo posto di dirigente e per altro verso che la norma dedotta non attribuisce un 'diritto' a tale inquadramento superiore.





    Le deduzioni del giudice a quo.


    Secondo il giudice a quo la norma attribuirebbe ai capi servizi una legittima aspettativa tutelabile all'inquadramento nella qualifica dirigenziale, che non potrebbe essere negata dalla Camera di Commercio neppure per mancanza di posti nella pianta organica, bensì soltanto con riferimento a determinate circostanze 'negative' concernenti la persona ed il 'curriculum' degli aspiranti.

    La disposizione impugnata disporrebbe, in linea generale, l'inquadramento a semplice domanda, dei capi servizio nella qualifica superiore, prescindendo da procedure concorsuali e comunque indipendentemente dall'esistenza di una vacanza in pianta organica. In sostanza, la norma impugnata derogherebbe all'art.28, comma 1, del D.Lgs. n°29/1993, ai sensi del quale l'accesso alla qualifica di dirigente di ruolo nelle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo nonché negli enti pubblici non economici, avviene esclusivamente a seguito di concorso per esami. Ergo, l'unica funzione dirigenziale prevista dovrebbe essere assegnata sulla base di una scelta meritocratica discrezionale. I ricorrenti sarebbero titolari di una legittima aspettativa tutelabile all'inquadramento nella qualifica dirigenziale, costituendo l'ampliamento delle qualifiche dirigenziali ex L. n°140/1999, come tale, atto dovuto. Su quest'onda si assisterebbe ad un indiscriminato passaggio alla qualifica dirigenziale senza selezione, in violazione dei principi costituzionali di cui all'art.97, 1° e 3° comma, della Costituzione.





    La difesa erariale e le parti.


    La difesa erariale, contra, specifica che è possibile dare alla norma impugnata un'interpretazione conforme al principio costituzionale che si ritiene leso. Secondo la stessa, il verbo 'può' dimostrerebbe che il Legislatore ha fatto salvo il potere autorganizzativo delle Camere di Commercio, le quali non sarebbero obbligate né ad attuare promozioni 'generalizzate', né ad ampliare la pianta organica. Ad avviso della difesa erariale, la norma si limiterebbe ad attribuire alle Camere di Commercio la facoltà di non applicare le procedure ordinarie per la nomina dei dirigenti e non prevederebbe un avanzamento automatico alla qualifica dirigenziale, ma sarebbe giustificata dall'esigenza di permettere che gli incarichi dirigenziali siano attribuiti a dipendenti che per esperienza acquisita e professionalità, appaiono in grado di assicurare funzionalità ed efficienza del servizio al quale sono preposti.

    Secondo le parti, la disposizione impugnata si sarebbe limitata a riconoscere ai capi servizio la qualifica che loro avrebbe dovuto essere attribuita sulla base di una corretta equiparazione con i dipendenti dello Stato. Nel passaggio dal sistema per carriere a quello per qualifiche funzionali, i dipendenti delle Camere di Commercio, in prima istanza, sono stati inquadrati con il decreto interministeriale del 12 luglio 1982, secondo il nuovo criterio. L'inquadramento definitivo, attuato dall'art.3 del D.L. n°547/1994 (convertito con L. n°644/1994), sulla base delle corrispondenze stabilite per gli impiegati civili dello Stato, a causa della mancata previsione della qualifica di direttore di divisione, alla quale era equiparata quella di capo servizio, avrebbe fatto si che chi rivestiva quest'ultima qualifica fosse inquadrato nell'ottavo livello, analogamente ai capi reparto, che svolgevano mansioni di livello inferiore. La norma impugnata non prevederebbe, quindi, un avanzamento senza concorso, ma realizzerebbe la giusta equiparazione che non era stata attuata in precedenza.






    Il diritto. Le motivazioni della Suprema Corte.


    La Corte Costituzionale ritiene fondata la questione di incostituzionalità sollevata dal Tribunale. L'interpretazione delle complesse vicende normative che hanno caratterizzato il passaggio dei dipendenti delle Camere di Commercio (con particolare riguardo a coloro che rivestivano la qualifica di capo servizio) dall'ordinamento per carriere all'ordinamento per qualifiche funzionali e profili professionali ha costituito oggetto di un consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa. Per questa via, sono stati ripetutamente esplicitati i motivi che in relazione sia alle prescrizioni dell'inquadramento definitivo attuato dall'art.3, comma 8, del D.L. n°547/1994 come convertito nella L. n°644/1994, sia al criterio delle mansioni svolte, hanno giustificato l'inquadramento dei capi servizio delle Camere di Commercio nella ottava qualifica funzionale e non in una qualifica superiore (VIII bis, riservata ai vicesegretari) o nella qualifica IX non riferibile al personale delle Camere di Commercio.

    Secondo il medesimo indirizzo giurisprudenziale, soltanto una disposizione specifica come quella censurata ha potuto prevedere, come sostiene il giudice a quo, il reinquadramento automatico (e generalizzato) dei capi servizio in una qualifica superiore alla VIII, quella dirigenziale. La Corte ravvisa che nell'accesso a funzioni più elevate, ossia nel passaggio ad una fascia funzionale superiore, nella cornice di un rinnovato sistema che non prevede carriere o le prevede entro ristretti limiti, deve venire in essere una forma 'razionale' di reclutamento. Tale reclutamento deve essere soggetto alla regola del concorso pubblico, il quale, in quanto meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci è il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni di imparzialità, costituendo ineludibile momento di controllo, funzionale al miglior rendimento della Pubblica Amministrazione.

    Per questi motivi la Corte ravvisa l'illegittimità costituzionale della norma impugnata giacché in contrasto con l'art.97 della Costituzione ed in quanto deroga ingiustificatamente alla regola del concorso pubblico, non essendo prevista alcuna verifica del possesso dei requisiti richiesti per l'accesso alla qualifica superiore.





    Ratio e Leitmotiv della Sentenza.


    Conformandosi al proprio orientamento giurisprudenziale enunciato nelle sent. n°314/1994, n°1/1996, n°320/1997 e da ultimo nella pronuncia n°194/2002, la Corte rimarca in maniera decisa un elemento precipuo del rapporto di lavoro privato che lo distingue nettamente da quello pubblico: la progressione di carriera su volontà del datore di lavoro ovvero su domanda del prestatore di lavoro.

    La Corte evidenzia a chiare lettere la necessarietà di strumenti di selezione. La progressione in carriera è possibile, ma limitatamente. Si parla a tal riguardo delle c.d. progressioni orizzontali quale segnale della professionalità acquisita nell'esercizio delle proprie funzioni. Per altro verso, la difesa erariale sembra superare l'enunciato di cui all'art.97 della Costituzione sulla base dei rivalutati principi decentralistici di cui la potestà regolamentare è vessillo principe e di cui l'autonomia di organizzazione (con particolare riguardo agli uffici ed ai servizi) è figlia primigenia. Di contro, lo stesso art.97 della Costituzione dispone riserva (relativa) di legge riguardo all'organizzazione dei pubblici uffici, per cui è illegittima qualsivoglia forma di deroga regolamentare non prevista per legge e comunque non contraria a princìpi e disposizioni costituzionali. Sotto altra luce, la stessa giovane spinta decentralista è parallela ad altro filone legislativo che a seguito del cambio da un sistema per qualifiche ad uno per categorie, ispira il passaggio di categoria non alla mera rivalutazione economica e professionale delle funzioni già svolte, ma all'esercizio di attività novelle, per le quali deve essere dimostrata (a mezzo di selezione) l'attitudine. Secondo parte della dottrina, lo stesso istituto della progressione verticale assurgerebbe ad estensione al pubblico impiego del c.d. inquadramento unico tipico del rapporto di lavoro del dipendente privato, con annesso accesso a tutte le qualifiche di carriera. Da ciò, il concorso pubblico rappresenterebbe il sistema di selezione migliore per garantire efficienza, efficacia e trasparenza dell'agere amministrativo. L'esperienza acquisita quale elemento per la progressione di carriera non può assurgere a valore esclusivo a garanzia del possesso dei requisiti attitudinali allo svolgimento di attività e funzioni superiori e come visto diverse da quelle già svolte. Di più, ad opinione di autorevole dottrina, il concorso pubblico sarebbe volto alla constatazione delle potenzialità, non alla valutazione di quanto e come prestato il proprio lavoro in passato. La stessa disciplina delle mansioni superiori è espressa, eccezionale, deroga al disposto di cui all'art.2103 C.C.

    Su quest'onda, potrebbe persino ravvisarsi un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale dell'art.12, comma 1, della L. n°140/1999, questa volta per violazione dell'art.3 della Carta Costituzionale, in relazione alla difformità di regime giuridico per l'accesso ai profili professionali rispetto alle altre amministrazioni dello Stato. L'art.51 della Costituzione prescrive inoltre, che tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici, per cui in un ordinamento democratico il quale affida all'azione dell'amministrazione, separata da quella politica, il perseguimento delle finalità pubbliche, il concorso, strumento di selezione tecnica e neutrale dei più capaci, è il metodo migliore per la provvista di funzionari chiamati all'esercizio delle proprie funzioni al servizio esclusivo della nazione ex art.98 della Costituzione (ex plurimis, Corte Costituzionale: sent. n°333/1993 e sent. n°453/1990). Deroghe alla regola del concorso, da parte del solo Legislatore, sono ammissibili nei limiti delle esigenze di garantire il buon andamento dell'amministrazione (Corte Costituzionale: sent. n°477/1995) o di attuare altri princìpi di portata costituzionale. Per questa via, il passaggio diretto alla funzione dirigenziale costituisce una distorsione alla stessa privatizzazione dell'impiego pubblico che vuole garantire imparzialità ed efficienza usufruendo di strumenti di gestione che consentono di assicurare lo 'output' della prestazione nei termini che nelle teorizzazioni di Scienza dell'Amministrazione assurgono il nome di produttività e flessibilità (Corte Costituzionale: sent. n°309/1997). La 'razionalizzazione' amministrativa deve linkare assunzioni, progressioni nelle qualifiche, assetto delle piante organiche, verifica dei carichi di lavoro (Corte Costituzionale: sent. n°479/1995, sent. n°406/1995, sent. n°528/1995). L'art.12, comma 1, della L. n°140/1999 contraddice in maniera assoluta tali princìpi, determinando una sorta di globale e generalizzato 'scivolamento' verso l'alto delle posizioni funzionali dei prestatori di lavoro. E' questa chiara deviazione dalle fonti ispiratrici della nuova organizzazione della Pubblica Amministrazione. Ergo, è evidente l'incongruità della norma, la cui portata è quella di assicurare agli interessati, l'acquisizione della qualifica superiore a quella posseduta, con un automatismo che oltre a contrastare con l'art.97 della Costituzione nonché con l'art.3 della Costituzione, contrasta con i principi generali del pubblico impiego, per i quali anche lo svolgimento temporaneo delle mansioni superiori da diritto soltanto al trattamento economico corrispondente all'attività poste in essere per il periodo di espletamento delle medesime. Si badi però che la Corte non è Crociata del concorso pubblico, avendo la stessa considerato, in più riprese, legittime alcune deroghe legislativamente disposte per singoli casi e secondo criteri appartenenti alla discrezionalità del Legislatore (Corte Costituzionale: sent. n°81/1983). Tali deroghe sono applicabili anche al passaggio a funzioni superiori (per tutte, Corte Costituzionale: sent. n°313/1994, sent. n°487/1991 e sent. n°161/1990). A giudizio della Corte, quindi, non sono escluse forme diverse di reclutamento e di copertura dei posti, purché rispondano a criteri di ragionevolezza (presenza di peculiari situazioni giustificatrici senza automatismi: sent. n°314/1994; valutazione delle mansioni concretamente svolte in precedenza: sent. n°134/1995) e siano comunque in armonia con le disposizioni costituzionali e tali da non contraddire i princìpi di buon andamento e di imparzialità dell'azione amministrativa. Tali ultimi due princìpi costituiscono la base della previsione concorsual-selettiva. Nella specie in analisi mancano proprio le garanzie minime di obiettività e di buon andamento assicurate attraverso il ricorso a procedure congrue e ragionevoli, basate su elementi attitudinali (su tutte, Corte Costituzionale: sent. n°487/1991). D'altra parte il fatto che l'art.97 della Costituzione faccia salvi i casi stabiliti dalle leggi vigenti, non può che riferirsi alle disposizioni di favore stabilite per particolari categorie c.d. protette. Sarebbe, inoltre, evidente la 'arbitrarietà' del disposto di cui all'art.12, comma 1, della L. n°140/1999, non tanto perché volta a sovvertire un indirizzo ermeneutico, peraltro coerente con i principi costituzionali, ma soprattutto perché fondata su un valore giuridico negativo: far lucrare alcuni dipendenti, piuttosto che loro colleghi ovvero altri cittadini, sull'ingiusto vantaggio di un inquadramento superiore a quello dagli stessi ottenibile in base alla preparazione culturale dimostrabile con una selezione per esami. Pertanto, se da un lato, dagli atti parlamentari risulta l'intento di realizzare una forma di 'giustizia sostanziale' e di mancato aggravio degli oneri finanziari connessi all'assunzione di ulteriore personale, per di più in qualifiche elevate, quindi costose, si configura la legittimazione legislativa di un arbitrio spesso in atto, realizzando una forma di 'diseducazione civile' (Corte Costituzionale: sent. n°16/1992), violando l'essenza stessa dello Stato di diritto: l'eguaglianza dei cittadini. La norma si presenta in tal modo come negazione, non solo del buon andamento, ma anche di una razionale e coerente attività della Pubblica Amministrazione

     
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  7. alex.falco
     
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    Il solo voto numerico non basta per bocciare; i Tar contro il Consiglio di Stato.




    TAR SICILIA - CATANIA - SEZ. IV- 17 OTTOBRE 2006, n. 1825 - Pres. ed est. CAMPANELLA

    S E N T E N Z A

    sul ricorso n. 2448/2006, proposto ....
    contro:

    -il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore; la Commissione esaminatrice per gli esami di abilitazione alla professione di Avvocato, in persona del Presidente pro tempore; la Sottocommissione esaminatrice per gli esami suddetti (L’Aquila), che ha valutato gli elaborati della ricorrente, costituiti in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege;

    per l’annullamento:

    -del giudizio di non ammissione di essa ricorrente alle prove orali degli esami di abilitazione alla professione di avvocato (sessione 2005) formulato dalla predetta Sottocommissione);

    -nonché di ogni altro atto connesso, collegato, presupposto, precedente e conseguenziale;

    Visto il ricorso con i relativi allegati;

    Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;

    Visti gli atti tutti della causa;

    Designato relatore per la Camera di consiglio del 28 settembre 2006 il Presidente ....; uditi gli avvocati delle parti, come da relativo verbale, anche ai sensi dell’art. 3 della legge 21 luglio 2000, n. 205 per la definizione del giudizio nel merito a norma del successivo art. 26 della legge innanzi citata.

    Accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria.

    Ritenuto in fatto quanto rappresentato nell’atto introduttivo del giudizio. Considerato che il ricorso appare fondato in quanto:

    A – Visti l’art. 23, comma 7, l’art. 24, comma 1, e l’art. 17 bis, comma 2, del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, come novellati dal D.L. 21 maggio 2003, n. 180, in base ai quali, nel valutare le prove scritte dell’esame di abilitazione alla professione di avvocato, la Commissione giudicatrice assegna dei voti numerici ai singoli elaborati.

    Visto l’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 successive modificazioni, in base al quale “Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti…lo svolgimento dei pubblici concorsi…deve essere motivato…La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”.

    Viste le ordinanze 14 novembre 2005, n. 419 e 27 gennaio 2006, n. 28, con le quali la Corte Costituzionale, nel dichiarare inammissibili le questioni di legittimità costituzionale rispettivamente dell’art. 3 della legge n. 241/1990 e degli artt. 23, comma 5, 24, comma 1 e 17 bis, comma 2, del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37 e successive modificazioni (in quanto volte ad ottenere l’avallo della Corte ad una certa interpretazione delle disposizioni impugnate, piuttosto che a sottoporre ala stessa un dubbio di legittimità costituzionale), ha tuttavia esplicitamente escluso che “la tesi dell’inesistenza di un obbligo di motivazione per gli esami di abilitazione e in generale per i concorsi costituisca ”; suggerendo di fatto ai giudici remittenti di optare per una soluzione ermeneutica conforme ai principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24, 97, 98 e 113 della Costituzione, dei quali era stata denunciata la lesione.

    Visto l’art. 11, comma 5, del Decreto leg.vo 24 aprile 2006, n. 166 che, nel disciplinare le modalità di correzione delle prove scritte del concorso notarile, prescrive testualmente:

    “Il giudizio di non idoneità è motivato. Nel giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione”.

    Visto altresì l’art. 12, comma 5, dello stesso Decreto Leg.vo che, nel disciplinare le modalità di svolgimento delle prove orali del concorso notarile, così dispone:

    “La mancata approvazione è motivata. Nel caso di valutazione positiva il punteggio vale motivazione”.

    Rilevato che le due norme da ultimo riportate, ancorché riferite al concorso di notaio, debbono essere considerate come espressione del principio di trasparenza dell’attività della pubblica Amministrazione sancito, a livello normativo, dall’art. 3 della legge n. 241/1990 e, ancora prima, dall’art. 97, comma 1 della Costituzione, la cui valenza deve essere estesa a qualsiasi procedimento concorsuale.

    Ritenuto, alla luce di tale recentissimo intervento del legislatore e delle puntualizzazioni della Corte Costituzionale prima richiamate, di poter superare l’orientamento della giurisprudenza prevalente (cfr., ex multis, Consiglio di Stato: Sezione 4^, n. 367 del 1° febbraio 2001 e n. 4165 del 5 agosto 2005; Sezione 5^, nn. 7564 del 21 novembre 2003 e 7136 del 15 dicembre 2005, Sezione 6^, nn. 1786 del 29 marzo 2002 e 67 del 10 gennaio 2003) la quale, mossa dalla preoccupazione di garantire la speditezza e l’economicità dell’azione amministrativa, ha sempre affermato che, anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 241/1990, nelle procedure concorsuali l’attribuzione del punteggio numerico soddisfa l’obbligo della motivazione.

    Rilevato che la giurisprudenza citata, alla quale questa Sezione nel passato ha aderito (cfr., n. 1379 del 15 settembre 2995), ha tuttavia omesso di considerare che la valutazione di una prova ha natura composita, in quanto essa:

    -costituisce l’espressione di un giudizio tecnico-discrezionale, che si esaurisce nell’ambito del procedimento concorsuale, allorché tale giudizio è positivo, di modo che essa può essere resa con un semplice voto numerico;

    -rappresenta al tempo stesso, oltre che un giudizio, un provvedimento amministrativo che conclude il procedimento concorsuale, tutte le volte in cui alle prove di un candidato venga attribuito un punteggio insufficiente, donde la necessità, in tale ipotesi, che all’assegnazione del voto faccia seguito l’espressione di un giudizio di non idoneità, con il quale vengano esplicitate le ragioni della valutazione negativa, conformemente al disposto di cui all’art. 3 della legge n. 241/1990, ove questo venga interpretato -conformemente all’orientamento prevalente- nel senso che la motivazione è necessaria solo per gli atti aventi contenuto provvedimentale.

    Rilevato che la soluzione prospettata è coerente con le ripetute affermazioni giurisprudenziali secondo cui (cfr. Toscana-Sezione 2^, n. 5557 del 4 novembre 2005), “in tema di prove scritte concorsuali, al candidato deve essere assicurato il diritto di conoscere gli errori, le inesattezze o le lacune in cui la Commissione ritiene che egli sia incorso, sì da potere rivalutare la possibilità di un ricorso giurisdizionale e che, conseguentemente, il rispetto dei principi anzidetti impone che alla valutazione sintetica di semplice si accompagnino quanto meno ulteriori elementi sulla scorta dei quali sia consentito ricostruire ab externo la motivazione del giudizio valutativo; tra questi, in specie, in uno alla formazione dettagliata e puntuale dei criteri di valutazione fissati preliminarmente dalla Commissione, elementi e dati che consentano di individuare gli aspetti della prova non valutati positivamente dalla Commissione (cfr., per tutte, Consiglio di Stato-Sez. 6^, n. 974 del 2 marzo 2004).

    Rilevato altresì che, nei casi di valutazione negativa, ove sussista l’obbligo della motivazione, la competente Commissione è costretta ad un più attento esame degli elaborati, al fine di giustificare in maniera adeguata e puntuale il proprio operato, suscettibile di essere sottoposto al vaglio dell’Autorità giurisdizionale, il che sicuramente rafforza l’osservanza del principio di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione.

    Ritenuto, per le ragioni che precedono, modificando l’orientamento giurisprudenziale sin qui seguito, di annullare l’impugnato giudizio di non ammissione (cfr. la recentissima sentenza di questa Sezione n. 1446 del 14 settembre 2006), prescindendo dall’esame degli altri motivi di gravame, che vanno “assorbiti”.

    B – Ritenuto che dalla superiore pronuncia deriva l’obbligo per l’Amministrazione di valutare ex novo gli elaborati del ricorrente, conformandosi ai principi di diritto enucleati dal Collegio, e che tale valutazione dovrà essere effettuata dalla Sottocommissione per gli esami di Avvocato de l’Aquila, con l’osservanza di ogni modalità utile a garantire l’anonimato degli elaborati e, in ogni caso, con una composizione diversa rispetto a quella della Sottocommissione che ha effettuato la prima valutazione (cfr., Consiglio di Stato: Sezione 4^, n. 6250 del 20 febbraio 1998; Sezione 5^, n. 4407 del 29 agosto 2005; T.A.R. Veneto-Sezione 1^, n. 62 del 15 gennaio 2004; T.A.R. Napoli-Sezione 2^, n. 764 del 20 gennaio 2006).

    Ritenuto che il Presidente della Sottocommissione per gli esami di Avvocato di Catania dovrà pertanto trasmettere gli elaborati scritti del ricorrente alla Sottocommissione per gli esami di Avvocato de L’Aquila, affinché questa compia le valutazioni di competenza, entro il termine di trenta giorni dalla ricezione dei predetti elaborati.

    Ritenuto di compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

    Ritenuto di compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.



    P. Q. M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia-Sezione staccata di Catania-Sez. 4^ ACCOGLIE il ricorso in epigrafe ed annulla, per l’effetto, gli atti con lo stesso impugnati, nei modi di cui in motivazione e con le prescrizioni ivi indicate.

    Spese compensate.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
     
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  8. alex.falco
     
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    Esame di avvocato /raccolta di giurisprudenza

    (
    I poteri del giudice amministrativo

    Il giudice amministrativo è pienamente legittimato a rendersi conto della valenza obiettiva degli elaborati e a trarne le dovute conseguenze (Consiglio di Stato, sez. V, 21 ottobre 1992 n. 1047; Tar Lecce, sez. II, 2 luglio 1993 n. 406; Tar Veneto, II sez., 5 novembre 1994 n. 836; Tar Sicilia-Catania, 23 novembre 1994 n. 2647).



    Il giudice amministrativo può sindacare, in sede di giurisdizione di legittimità, la correttezza dell'iter logico seguito dalla commissione giudicatrice di un pubblico concorso al fine di valutare la conformità dell'operato della commissione stessa rispetto alle regole generali dell'azione amministrativa, la cui violazione configura le diverse ipotesi di eccesso di potere. Alla stregua di tale principio deve ritenersi ammissibile il sindacato dell'esercizio della discrezionalità tecnica utilizzando criteri tecnici desumibili dalle diverse scienze (nel caso in esame si è ritenuto ammissibile il sindacato da parte di una commissione giudicatrice in ordine alla correzione di una prova pratica di diritto pubblico) (Cons. Stato, Sez. V, 21 ottobre 1992, n. 1047; Riviste Foro Amm., 1992, 2261).



    Il giudice di legittimità ben può sindacare la correttezza dell'iter logico seguito dalla commissione di concorso a posti di pubblico impiego che ha valutato la prova d'esame e rilevarne i momenti di difformità rispetto alle generali regole dell'azione amministrativa, la cui violazione integra le diverse figure sintomatiche di eccesso di potere (Cons. Stato, Sez. V, 21 ottobre 1992, n. 1047; Riviste Cons. Stato, 1992, I, 1330).



    I criteri di valutazione non si sottraggono al controllo giurisdizionale, ben potendo essere sottoposti a censura se presentino lacune, insufficienze o contraddizioni dal punto di vista logico e razionale (Tar Valle d’Aosta, 21 marzo 1997, n. 48, in Foro amm., 1997, 2800).



    Il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici dell'amministrazione può svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell'"iter" logico seguito dall'autorità amministrativa, bensì in base alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo (Cons. Stato, Sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601; Parti in causa Spirito c. Min. giust.; Riviste

    Cons. Stato, 1999, I, 584).



    E' inammissibile la censura proposta avverso la valutazione di una prova scritta, che si limiti di fatto ad assumere che l'elaborato del ricorrente doveva essere considerato, sia in assoluto che in comparazione con gli altri candidati, non essendo possibile richiedere al giudice amministrativo una valutazione sostitutiva di quella della commissione esaminatrice, essendo il sindacato giurisdizionale di legittimità limitato ai casi in cui le operazioni di apprezzamento degli elaborati, manifestino, sul piano sintomatico, illogicità o perplessità valutative talmente evidenti e gravi da far dubitare, in ultima analisi, dell'obiettività e competenza stessa della commissione giudicatrice (Tar Puglia, sez. II Bari, 11 giugno 1996, n. 357; Riviste Trib. Amm. Reg., 1996, I, 3433).



    Elaborati conformi. Esclusi i candidati dall’esame di Stato. Nel caso in cui, si riscontri che due o più elaborati scritti risultino conformi tra loro, la Commissione esaminatrice di un pubblico concorso (nel caso di specie, esame di abilitazione alla professione di avvocato) deve procedere all'esclusione di entrambi i candidati, non essendo necessaria l'individuazione del soggetto attivo della copiatura, dovendosi ritenere che gli elaborati, per il solo fatto della loro identità o similarità totale o parziale, sono stati redatti in violazione della regola di comportamento che impedisce ai candidati di comunicare tra loro. (Cons. Stato sez. IV 17-02-2004, n. 616; Ministero della giustizia c. B.; FONTI Guida al Diritto, 2004, 19, 89)



    Commissione giudicatrice nominata da commissario “ad acta”. Il giudizio valutativo dato dalla nuova commissione giudicatrice per l'esame di abilitazione alla professione di avvocato, nominata dal commissario "ad acta" in sede di giudizio di ottemperanza di decisione del giudice amministrativo che aveva annullato la precedente valutazione, è censurabile direttamente dinanzi al giudice dell'ottemperanza ma non per vizi che attengono al merito della valutazione compiuta dall'organo (Cons. Stato, Sez. IV, 30 marzo 2000, n. 1834; Parti in causa Calbi c. Min. giust.; Riviste Foro It., 2000, III, 244).



    Ricusabili i commissari d’esame

    La ricusazione dei commissari di esami di concorso per la copertura di posti d'impiego della p.a. è regolata, in mancanza di norme specifiche, dall'art. 52 Cpc, il quale va applicato unicamente in

    presenza di concrete fattispecie coincidenti con quelle elencate dal legislatore in seno all'articolo 51 codice cit., onde evitare di addivenire, attraverso tale strumento normativo, alla composizione di commissioni di personale gradimento dei candidati (Cons. Stato, Sez. II, 12 novembre 1997, n. 2437; Parti in causa Min. univ. e ricerca scientifica; Riviste Cons. Stato, 1999, I, 330; Rif. ai codici: CPC art. 52).



    Il ricorso all’autotutela

    La potestà di controllo di atti amministrativi, una volta esercitata, non è soggetta a riesame in sede di autotutela (Cons. Stato, sez. VI, 21 luglio 1997, n. 734; Min. Giust. c. Spataccioli e altro; Riviste: Foro amm., 1997, 1947).



    Il ricorso all’autotutela è possibile nel tratto di tempo tra l’emanazione e l’atto di controllo (M. S. Giannini, Diritto amministrativo, vol. II, III edizione, Giuffrè, Milano 1993, pagg. 597- 604).



    In sede di esercizio della potestà di autotutela, l'interesse pubblico che presiede a tale esercizio comporta che debba essere valutata anche la sussistenza di posizioni giuridiche consolidate nel tempo (Cons. Stato, Sez. IV, 9. 11. 1995, n. 896; Riviste: Foro Amm., 1995, 2528).



    Tenuto conto dei valori espressi dall'art. 97 Cost., l'esercizio dei poteri amministrativi di annullamento in autotutela di precedenti statuizioni illegittime non ha natura eccezionale, in quanto la p.a. ha in materia il potere-dovere di emanare l'atto di annullamento, pur potendo valutare, qualora sia trascorso un tempo più o meno lungo dall'adozione dell'atto illegittimo, se sia opportuno esercitare i predetti poteri, oppure se sia da tralasciare il mero ripristino della legalità violata laddove non sia soddisfatto alcun interesse pubblico, non trascurando l’esigenza di evitare che si consolidino situazioni di fatto illegalmente costituitesi, le quali sono veri e propri esempi di diseducazione civile (Cons. Stato, Sez. V, 24 febbraio 1996, n. 232; Riviste: Foro Amm., 1996, 572; Cons. Stato, 1996, I, 240).



    La revoca, in via di autotutela, di una precedente determinazione dello stesso organo, non presuppone il coinvolgimento procedimentale di altri soggetti, in quanto la nuova valutazione posta a base della revoca prescinde da ulteriori acquisizioni di nuovi elementi aventi rilevanza nella fattispecie (Cons. Stato, Sez. VI, 18 marzo 1996, n. 464; Riviste: Foro Amm., 1996, 959).

    L’amministrazione può correggere gli atti quando l’errore appare “ictu oculi”

    Sussiste l'errore materiale in un atto amministrativo, con possibilità per l'amministrazione, in ossequio al principio di conservazione degli atti giuridici, di procedere alla sua correzione, quando detto errore appare "ictu oculi" e non è necessario risalire alla interpretazione della volontà dell'amministrazione stessa (Cons. Stato, sez. IV, 23 dicembre 1998, n. 1907; Riviste: Giur. It., 1999, 847).



    I criteri generali delle valutazioni vanno stabiliti con anticipo sulle operazioni di apprezzamento sugli elaborati

    La presenza di diversi partecipanti nella procedura concorsuale, determina ad un primo livello la necessità della predisposizione - anteriormente alle singole valutazioni - dei criteri generali delle valutazioni stesse e, ad un secondo livello, la possibilità di procedere alla semplice applicazione di detti criteri alla fattispecie concreta; in questa prospettiva, il controllo giudiziale delle valutazioni deve considerare non la sola operazione di attribuzione del punteggio al singolo bensì anche la fase preliminare, che costituisce oggetto precipuo di valutazione, sotto il profilo dell'imparzialità e della ragionevolezza (Tar Puglia, sez. I Lecce, 27 marzo 1996, n. 120; Parti in causa Messuti c. Min. giust.; Riviste Foro Amm., 1996, 3464, n. Colzi).Va ammesso con riserva alle prove orali un concorrente (bocciato allo scritto), quando non sono stati attivati sistemi atti a garantire l’uniformità di giudizio

    Va ammesso con riserva alle prove orali un concorrente che non ha superato le prove scritte previste per gli esami per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato, non essendo stati attivati sistemi atti a garantire l’uniformità di giudizio nella valutazione delle prove scritte (Tar Liguria-Genova, sez. II - Ordinanza 9 novembre 2000 n. 1642 in www.giust.it, n. 11/ 2000).



    Sentenza inedita del Tar Lazio in tema di ricorrezione degli elaborati

    Prende corpo frattanto il dibattito sulla ricorrezione degli elaborati affidata alla stessa commissione che li ha bocciati. I rimedi alla situazione possono essere vari: nuova correzione di tutti gli elaborati secondo i principi varati dal Tar (garantendo in tal modo par condicio e valutabilità comparativa) oppure sostituzione della commissione per ragioni di opportunità. In una vicenda inedita, il giudice amministrativo di primo grado ha imposto all’amministrazione di rinnovare una prova pratica affiancando al ricorrente (vittorioso nel ricorso) alcuni concorrenti fittizi, la cui presenza strumentale dovrebbe evitare la scontata severità contro chi ha sfidato la commissione con l’azione giudiziaria (Tar Lazio II, sentenza 14 febbraio 1991 n. 396; www.giust.it, n. 6/2000, in nota di Guglielmo Saporito a sentenza Tar Lecce n. 1314/2000). La stessa commissione, che ha bocciato, non ha, si ritiene, la serenità tale da garantire un riesame equilibrato degli elaborati e non può ragionevolmente, smentendosi, correre il rischio di essere citata in giudizio per le conseguenze risarcitorie legate al danno ingiusto (sentenza n. 500/1999 delle sezioni unite civili della Cassazione) provocato con il primo giudizio negativo (Il Sole 24 Ore, 8 luglio 2000).



    Il principio di imparzialità

    Il principio d'imparzialità amministrativa che, in generale, significa agire nell'interesse collettivo, non di singoli o di gruppi privilegiati rispetto ad altri, comporta la sua applicazione, da parte degli organi amministrativi non soltanto per gli atti di volontà, ma anche per gli atti di valutazione (Cons. Stato, Sez. IV, 12 marzo 1996, n. 310; Riviste: Foro Amm., 1996, 833, n. Cannada-Bartoli; Cons. Stato, 1996, I, 378).



    La par condicio tra i candidati

    La par condicio tra i candidati è tutelata, per quanto riguarda le prove scritte, dalla loro segretezza e, per quanto riguarda quelle orali, dalla loro pubblicità (Cons. Stato, sez. V, 27 aprile 1990 n. 380; Riviste Cons. Stato, 1990, I, 570).



    Diritto di accesso alla visione degli elaborati redatti da altri esaminandi

    Si deve riconoscere il diritto di accesso alla visione degli elaborati redatti da altri esaminandi, e corretti lo stesso giorno in cui è stato corretto l'elaborato dell'interessato, se il fine è mettere in luce evidenti disparità di giudizio operate dalla commissione (Cons. Stato, Sez. IV, 31 ottobre 1997, n. 1251; Parti in causa: Min. Giust. c. Santamaria; Riviste: Studium juris, 1998, 204; Rif. legislativi L 7 agosto 1990 n. 241, art. 22).



    Ai sensi dell'articolo 22 della legge 7 agosto 1990 n. 241 sussiste il diritto di accesso del candidato ad una procedura concorsuale agli atti interni della stessa e dunque agli elaborati delle prove degli altri candidati positivamente giudicati nella stessa seduta, anche al fine di desumere elementi di convinzione circa l'utilizzo da parte della commissione d'esame di un medesimo criterio di valutazione di tutti i candidati che escluda macroscopiche incongruenze o palesi aberrazioni e dunque l'eventuale vizio di eccesso di potere (Cons. Stato, Sez. IV, 31 ottobre 1997, n. 1249; Parti in causa Min. giust. c. Trancanella; Riviste Foro Amm., 1997, 2708; Cons. Stato, 1997, I, 1376).



    In una prova paraconcorsuale i candidati hanno interesse e titolo ad accedere sia ai verbali della commissione di esame che agli elaborati delle prove degli altri candidati e ciò, evidentemente, proprio al fine di valutare l'imparzialità di giudizio e la coerente ed uniforme applicazione di criteri generali di valutazione. Infatti il giudice amministrativo, pur non potendo sindacare nel merito la discrezionalità tecnica dell'amministrazione, ha tuttavia un "sindacato residuale" onde valutare l'esistenza o meno di illogicità manifesta nell'"iter" logico seguito dall'amministrazione stessa. Non c'è, tra l'altro, violazione del diritto alla riservatezza dei candidati, dal momento che gli elaborati possono essere letti prescindendo dalla conoscenza dei relativi autori (Tar Marche, 30 luglio 1998, n. 936; Parti in causa: Manciali c. Comm. abilitazione esercizio prof. forense).



    Nel verbale anche le dichiarazioni di voto del singolo commissario

    Dal combinato disposto degli articoli 17 bis e 30, r.d. 22 gennaio 1934 n. 37, si desume che l'obbligo di verbalizzazione di tutte le operazioni concorsuali dev'essere ritenuto comprensivo anche dell'attribuzione del voto (e, quindi, dei voti attribuiti a ciascun commissario), a differenza della previsione dell'articolo 24, r.d. n. 37 cit. , che si riferisce al solo "voto - risultato". Nessun argomento in contrario può, infatti, essere tratto dalla natura collegiale dell'organo deputato alle valutazioni non essendo possibile, nel sistema di cui alla l. 7 agosto 1990 n. 241, postulare zone di segreto amministrativo, peraltro non espressamente riferibili alle ipotesi previste dal menzionato articolo 24 (Tar Puglia, sez. I Lecce, 27 marzo 1996, n. 120; Parti in causa Messuti c. Min. giust.; Riviste Foro Amm., 1996, 3464, n. Colzi; Rif. Legislativi RD 22 gennaio 1934 n. 37, art. 17, RD 22 gennaio 1934 n. 37, art. 24; RD 22 gennaio 1934 n. 37, art. 30; L 7 agosto 1990 n. 241).



    Poiché funzione del verbale è documentare le operazioni fondamentali del procedimento, esso deve raccogliere - trattandosi di una componente essenziale, ai fini della formazione del giudizio complessivo - anche la dichiarazione di voto del singolo commissario; al riguardo, non osta alcuna particolare esigenza di riservatezza rinvenendosi, anzi, nell'ordinamento, l'opposta esigenza di pubblicità e trasparenza (Tar. Molise, 26 novembre 1998, n. 386; Parti in causa: Mozzetti c. Commissione esami avv. anno 1997 A. Campobasso e altro; Riviste: Foro Amm., 1999, 1325).



    Il giudizio finale di una prova concorsuale (nella specie, esame di avvocato), non perde la sua riferibilità all'organo collegiale se le espressioni di voto dei singoli membri sono rese pubbliche; appartengono, infatti, al novero degli atti collegiali tanto i provvedimenti per i quali il diritto positivo prevede la segretezza delle singole espressioni di voto, quanto le deliberazioni per cui vige la regola opposta della pubblica esternazione del voto dei singoli componenti (Tar Molise, 26 novembre 1998, n. 386; Parti in causa Mozzetti c. Commissione esami avv. anno 1997 A. Campobasso e altro; Riviste Foro Amm., 1999, 1325).



    Sindacato del giudice sulla prova orale

    La necessità di motivare gli apprezzamenti sulla preparazione culturale o professionale del candidato ad un esame di idoneità o concorso, sia con riferimento alla prova orale che alla prova scritta, deriva, oltre che dall'articolo 3, L. 7.8.1990 n. 241, dalla natura stessa di tali apprezzamenti, quali atti amministrativi qualificati valutazioni (Tar Lombardia, sez. Brescia, 19.10.1996, n. 990, pubblicata ex plurimis in Giur. it, 1997,1, 233, 364.)



    A tenore dell'art. 3 l. 7 agosto 1990 n. 241, negli esami per l'ammissione all'albo degli avvocati, con riferimento alle prove scritte, può ritenersi sufficiente il solo punteggio numerico, mentre in relazione alle prove orali deve essere formata e resa disponibile una documentazione ad hoc, che consenta all'autorità giudiziaria il sindacato esterno sulla stessa, al fine di valutare la sufficienza, la logicità e la coerenza della determinazione adottata, con l'indicazione delle specifiche domande poste al candidato e la sintesi delle risposte e della loro valutazione, che può consistere sia in un giudizio (insufficiente, sufficiente, buono, ecc...) accompagnato dalla valutazione numerica sia nel solo punteggio numerico (Tar Veneto, sez. I, 24 dicembre 1997, n. 1865; Parti in causa Fabbri c. Min. giust. e altro; Riviste Foro Amm., 1998, 2166; Rif. Legislativi L 7 agosto 1990 n. 241, art. 3).



    La prova orale deve durare tra i 45 e i 60 minuti e inizia con l’illustrazione delle prove scritte - L’articolo 17 bis, comma 3 del Rd 22 gennaio 1934 n° 37 alla lettera a, così come modificata dall'articolo 4 della legge n° 142 del 1989, prevede che la discussione della prova orale sia preceduta da una succinta illustrazione delle prove scritte; a sua volta il successivo articolo 26 dispone che la prova orale deve durare non meno di 45 e non più di 60 minuti per ciascun candidato. Ora dal verbale della Commissione risulta inequivocabile il mancato rispetto di entrambe le cennate disposizioni: nel verbale 24.6.97 relativo alla prova orale non vi è, infatti, alcun cenno alla previa discussione sulle prove scritte e l’interrogazione dell'odierno ricorrente risulta essere durata 75 minuti. Trattandosi di disposizioni vincolanti intese ad assicurare la regolarità e l'uniformità delle prove, il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento dell'esame orale del ricorrente e del suo esito negativo (v. parere n. 495/94 del 10 gennaio 1995 di questa Sezione) fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione. Restano assorbite le altre censure (parere n. 1055/1998 della III sezione del Consiglio di Stato reso nell’adunanza 2 marzo 1999; Il Sole 24 Ore, 10 giugno 2000).



    La prova orale dell'esame di abilitazione alla professione di procuratore legale è illegittima se la commissione non abbia osservato l'articolo 17-bis comma 3 lett. a) Rd 22 gennaio 1934 n. 37, introdotto dall'articolo 3 della legge 27 giugno 1988 n. 242, che prevede che la discussione orale debba essere preceduta da una succinta illustrazione delle prove scritte (Cons. Stato, Sez. III, 10 gennaio 1995, n. 495; Parti in causa Min. giust.; Riviste Cons. Stato, 1995, I, 1498; Rif. Legislativi Rd 22 gennaio 1934 n. 37, art. 17B; L 27 giugno 1988 n. 242, art. 3).



    Secondo una sentenza (Cons. giust. amm. sic, 11 febbraio 1985 n. 15 in Consiglio di Stato, 1986, I, 222), la durata minima e quella massima della prova orale, fissate dal Rd 37/1934, devono essere considerate sufficienti a vagliare la preparazione del candidato, ma nulla esclude che la prova possa essere più breve o più lunga secondo le circostanze del caso; pertanto il vizio di eccesso di potere nella valutazione negativa del candidato può essere ravvisata esclusivamente nel caso in cui la durata dell’esame diverga in maniera macroscopica dai predetti limiti temporali.



    Ammissione all’orale con riserva: gli effetti delle ordinanze cautelari

    Scrive nell’ordinanza n. 1/2000 il Consiglio di Stato riunito in adunanza plenaria: “Per la più recente e consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale, “la disponibilità delle misure cautelari è strumentale all’effettività della tutela giurisdizionale e costituisce espressione del principio per cui la durata del processo non deve andare a danno dell’attore che ha ragione, in attuazione dell’articolo 24 della Costituzione” (Corte Cost., 16 luglio 1996, n. 249; Corte Cost., 23 giugno 1994, n. 253; Corte Cost., 28 giugno 1985, n. 190).



    “Una volta intervenuta una pronuncia giurisdizionale … che detti le misure cautelari ritenute opportune e strumentali all’effettività della tutela giurisdizionale, incombe sull’amministrazione l’obbligo di conformarsi ad essa” (Corte Cost., 8 settembre 1995, n. 419). Sul punto il Consiglio di Stato in adunanza plenaria (ordinanza n. 1/2000 – all. sub n. 10) ha scritto: “Basta richiamare le osservazioni della Corte Costituzionale (rilevanti anche per il caso di mancata esecuzione delle ordinanze cautelari), per le quali “la mancata adozione da parte dell’amministrazione di provvedimenti che rimuovano o interrompano gli effetti persistenti e produttivi di ulteriori conseguenze giuridiche a seguito di atti annullati o comportamenti dichiarati illegittimi” “è un comportamento a rischio dell’amministrazione inadempiente (e del funzionario responsabile), potendo ravvisarsi responsabilità nelle diverse forme – a seconda della sussistenza dei relativi presupposti – e nelle sedi competenti” (Corte Cost.. 12 dicembre 1998, n. 406)”. “L’inottemperanza a una decisione del giudice amministrativo, al di là di un termine ritenuto congruo, costituisce rifiuto di atto dovuto per ragioni di giustizia e integra pertanto il reato di rifiuto di atti d’ufficio” (Corte di Cassazione, Sezione VI penale, sentenza 26 maggio-22 luglio 1999 n. 9400 in Guida al diritto n. 37/1999). Su quest’ultimo aspetto, il Consiglio di Stato in adunanza plenaria (ordinanza n. 1/2000) rincara la dose: “ La indebita mancata esecuzione (dei provvedimenti cautelari, ndr) può comportare la sussistenza di un reato contro la pubblica amministrazione (cfr. l’art. 323, sull’abuso d’ufficio e l’art. 328, primo comma, del codice penale, sul rifiuto e sull’omissione di atti d’ufficio)”.



    La sospensione cautelare di un provvedimento impugnato impone alla p.a. di comportarsi come se quest'ultimo non fosse mai stato emanato e di prestare la dovuta esecuzione alla pronuncia cautelare del giudice amministrativo, in attesa che con la sentenza di merito si accerti se l'atto sospeso sia legittimo, o meno; ma non implica che l'attività amministrativa d'adeguamento a detta pronuncia renda irrilevante l'atto sospeso ed estingua il giudizio pendente, né tampoco che cessi la materia del contendere, se la p.a. non manifesta alcuna intenzione di recedervi (Cons. Stato, Sez. V, 25 maggio 1995, n. 830; Parti in causa Buccieri c. Reg. Lazio e altro; Riviste: Foro Amm., 1995, 975; Cons. Stato, 1995, I, 767).



    La p. a. - in applicazione ai principi costituzionali che regolano il potere giurisdizionale e l'attività amministrativa - è sempre tenuta ad adeguarsi alle pronunce del giudice sulle quali si sia formato il giudicato; l'ambito ed i limiti di tale dovere discendono dal contenuto precettivo della decisione, nel senso che, a fronte di disposizioni tassative e puntuali, a carico dell'amministrazione grava un vero e proprio ‘obbligo di esecuzione’, che si traduce nell'adozione di atti e provvedimenti vincolati, mentre, a fronte di disposizioni generali e di principio, l'amministrazione stessa è più propriamente tenuta ad un ‘dovere di attuazione’, che comporta la scelta discrezionale delle determinazioni che in concreto siano più opportune per realizzare i principi affermati e per soddisfare l'interesse della parte vittoriosa (Tar Abruzzo, 13 aprile 1989, n. 191; Parti in causa: Stammitti c. Mm. p. i.; Riviste: Trib. Amm. Reg., 1989, I, 1905). Commenta Pietro Virga (Diritto amministrativo-atti e ricorsi, Giuffrè Editore, Milano 1999, rif. pag. 344): “Dal momento della notifica della ordinanza di sospensione sorge per l’amministrazione l’obbligo meramente negativo di astenersi dal compiere atti o operazioni che siano esecutivi del provvedimento impugnato”.



    Con riferimento alla sospensione giurisdizionale del provvedimento di esclusione da una procedura concorsuale, la misura cautelare, finalizzata ad ovviare alle conseguenze negative del precedente provvedimento ha come effetto non solo l'ammissione con riserva agli esami ma anche l'utilizzo del relativo titolo - nel caso di esito positivo delle prove - ancorché sotto condizione dell'esito definitivo dell'impugnativa pendente (Cons. Stato, Sez. II, 18 dicembre 1996, n. 1943; Parti in causa Min. p.i.: Riviste: Cons. Stato, 1998, I, 150).



    L'ammissione con riserva ad una procedura concorsuale opera come un'ammissione piena sottoposta a condizione risolutiva; pertanto, finchè l'Amministrazione non scioglie in un senso o nell'altro la riserva, gli effetti relativi alla suddetta ipotesi cessano solo all'eventuale verificarsi della condizione risolutiva (Cons. Stato, Sez. II, 16 aprile 1997, n. 2833; Parti in causa Min. p.i.; Riviste: Cons. Stato, 1998, I, 1863).



    La pronuncia cautelare di ammissione con riserva ad un concorso pubblico comporta il dovere per l'amministrazione di adottare tutti i provvedimenti automaticamente conseguenti, tra i quali anche la nomina del concorrente ammesso con riserva, qualora quest'ultimo risulti vincitore del concorso, salva la possibilità di annullamento della nomina in caso di rigetto del ricorso, o di successiva riforma della sentenza di primo grado (Cons. Giust. Amm. Sic., sez. Consult., 16 luglio 1996, n. 248; Riviste: Giust. amm. Sic., 1997, 450).



    Nel procedimento giurisdizionale, la concessione della misura cautelare concernente l'ammissione con riserva ad un concorso non comporta la disapplicazione di una norma vigente, ma tende a conciliare la tutela immediata e reale, ancorché interinale, degli interessi in gioco col carattere accentrato del controllo di costituzionalità delle leggi, e si presenta ad un tempo misura idonea ad evitare il danno grave e irreparabile del ricorrente, consentendogli di partecipare alle prove concorsuali a parità di condizioni con gli altri concorrenti, ed a scongiurare il rischio per l'Amministrazione di una invalidazione totale dell'intera procedura concorsuale, rispetto al quale il prospettato pregiudizio organizzativo appare recessivo (Cons. Stato, Ad. Plen., 20 dicembre 1999, n. 2; Parti in causa C.E. c. Min. giust. e altro; Riviste: Cons. Stato, 1999, I, 2038).



    Il provvedimento di ammissione con riserva ad un concorso per la sua finalità cautelare tesa ad evitare l'irrimediabile pregiudizio dell'impossibilità di partecipare alla procedura o di essere

    inserito nella graduatoria, esaurisce i sui effetti con l'ammissione dell'interessato alla graduatoria o al concorso medesimo, con la conseguenza che esso è irrilevante in sede di emanazione del provvedimento di nomina, che presuppone lo scioglimento della riserva (Cons. Giust. Amm. Sic., sez. Giurisdiz., 22 settembre 1999, n. 394; Parti in causa Provved. studi Agrigento c. D.V.A; Riviste Cons. Stato, 1999, I, 1500).



    La pronuncia cautelare di ammissione con riserva ad un concorso pubblico comporta il dovere per l'amministrazione di adottare tutti i provvedimenti automaticamente conseguenti, tra i quali anche la nomina del concorrente ammesso con riserva, qualora quest'ultimo risulti vincitore del concorso, salva la possibilità di annullamento della nomina in caso di rigetto del ricorso, o di successiva riforma della sentenza di primo grado (Cons. Giust. Amm. Sic., sez. Consult., 16 luglio 1996, n. 248; Riviste: Giust. amm. Sic., 1997, 450).



    Il provvedimento di ammissione con riserva alle prove concorsuali in pendenza di giudizio non cancella dal mondo giuridico il precedente provvedimento di esclusione, ma si limita a sospendere e/o a procrastinarne gli effetti fino alla decisione del giudizio nel merito, e tale decisione determina, se favorevole, l'eliminazione dell'impugnato provvedimento di esclusione e, di conseguenza, il consolidamento degli atti concorsuali compiuti in dipendenza dell'ammissione con riserva e, se favorevole, la definitiva stabilizzazione "ex tunc" del provvedimento di esclusione e, quindi, l'invalidazione degli atti concorsuali posti in essere a seguito dell'ammissione con riserva (Tar. Molise, 21 dicembre 1998, n. 418; Parti in causa T.M. c. Min. difesa e altro; Riviste: Trib. Amm. Reg., 1999, I, 1038).



    Le decisioni dei Tar sono immediatamente esecutive non essendo l'efficacia della medesima sospesa dalla proposizione dell'appello, salva la sospensione che può essere disposta dal Consiglio di Stato nel corso del giudizio di secondo grado (Cons. Stato, Sez. V, 31 gennaio 1991, n. 89; Parti in causa: Di Meo c. Usl Popoli; Riviste: Foro Amm., 1991, 66).



    L'ordinanza cautelare di sospensione dell'atto impugnato non si concretizza unicamente nel risultato formale della sospensione dell'efficacia, ma comprende tra le sue componenti anche l'affidamento in ordine alle attività che l'amministrazione è tenuta o facultata a svolgere e dalle quali dovrà derivare il soddisfacimento dell'interesse sostanziale. Nell'ambito del processo amministrativo il giudizio cautelare ha vita processuale autonoma, ma non produce utilità sostanziali diverse o superiori rispetto a quelle che può procurare alla parte la decisione di merito, i cui effetti essa tende a preservare nel tempo (Cons. Giust. Amm. Sic., sez. Giurisdiz., 6 marzo 1998, n. 122; Parti in causa: Pres. reg. Sicilia e altro c. Gallo; Riviste: Foro Amm., 1998, 1799).



    La misura cautelare ha un'efficacia interinale fino alla decisione di merito cosicché la sentenza di primo grado, ove di rigetto, travolge non solo l'ordinanza di sospensione ma anche i provvedimenti successivi, che l'amministrazione aveva adottato al fine di dare esecuzione all'ordinanza stessa (Tar Lombardia, sez. III Milano, 31 gennaio 1997, n. 95; Parti in causa: Assoc. temporanea impr. e altro c. Soc. M.M. infrastrutture territorio; Riviste: Foro Amm., 1997, 2389).



    L’Avvocatura dello Stato deve agire con il consenso dell’amministrazione rappresentata. L’Avvocatura generale dello Stato deve agire con il consenso dell’amministrazione rappresentata, consenso ricavabile dall’articolo 13 del Rd n. 1611/1933 e dagli articoli 9 (II comma), 12 e 14 della legge n. 103/79. La I sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 22 febbraio 1990 n. 1308, ha affermato che “l’iniziativa giudiziaria dell’Avvocatura dello stato richiede il consenso dell’Amministrazione rappresentata, come chiaramente si desume dall’articolo 12 della legge 3 aprile 1979 n. 103, secondo cui “le divergenze che insorgono tra il competente ufficio dell’Avvocatura dello Stato e le amministrazioni interessate, circa la instaurazione di un giudizio o la resistenza del medesimo, sono risolte dal ministro competente con determinazione non delegabile”...Quando, perciò, l’Avvocatura dello Stato assume un’iniziativa giudiziaria in ordine alla stessa vi è il consenso dell’Amministrazione interessata (che ha impedito l’insorgere di una “divergenza”) ovvero se “divergenza” vi è stata , essa è stata risolta nel senso dell’ “iniziativa” con la “determinazione” prevista dal trascritto articolo 12”.



    Iscrizione all’Albo: la responsabilità civilistica del Consiglio dell’Ordine “L’illegittimo rifiuto della domanda di iscrizione all’albo professionale comporta la responsabilità del Consiglio dell’Ordine per i danni subiti dal professionista a seguito della mancata iscrizione” (Trib. Roma, 3 febbraio 1994, in Gius, 1994, fasc. 8, 221). Questa sentenza è stata confermata dalla Suprema Corte: “L'illegittimo rifiuto di iscrizione ad un albo professionale opposto dal competente consiglio provinciale dell'ordine è lesivo "ab origine" del diritto soggettivo ad ottenere la richiesta iscrizione, e costituisce un fatto illecito potenzialmente produttivo di un danno ingiusto, tale da legittimare l'esperimento di un'azione risarcitoria dinanzi all'Ago, indipendente dalla eventualità che l'interessato possa ottenere dal competente ordine professionale sovraordinato una pronuncia di annullamento dell'illegittimo rifiuto opposto, nonché un'ulteriore statuizione del giudice amministrativo in relazione all'eventuale inottemperanza alla decisione di annullamento. (Fattispecie in tema di illegittimo rifiuto di iscrizione all'albo degli ingegneri avverso il quale il richiedente aveva, dapprima, proposto vittorioso ricorso al consiglio nazionale dell'ordine e, successivamente, a seguito di inosservanza alla decisione di tale organo da parte del consiglio provinciale, instaurato giudizio di ottemperanza ex art. 27, n. 4, del T.U. sul Consiglio di Stato dinanzi al Tar. La S.C., nel confermare la decisione del giudice di merito che aveva accolto l'istanza risarcitoria conseguentemente coltivata dall'ingegnere, ha affermato il principio di diritto di cui in massima) (Cassazione civile, Sez. I, sent. n. 85 dell’8 gennaio 1999; Part: Ordine degli ingegneri della Provincia di Roma c. Andriani).

    La nota sentenza n. 500/1999 delle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione (sul danno ingiusto provocato da un atto della Pubblica Amministrazione) ha allargato la responsabilità della pubblica amministrazione. Gli Ordini professionali fanno parte della pubblica amministrazione: “Sono assoggettati al controllo della Corte dei conti gli ordini e collegi professionali - nella qualità di enti pubblici non economici nazionali, di cui è menzione nell'art. 1, comma 2, del Dlgs 3 febbraio 1993 n. 29 - in quanto ricompresi tra gli enti di diritto pubblico, a loro volta assumibili tra le amministrazioni pubbliche di cui al comma 4 dell'art. 3 della legge 14 gennaio 1994 n. 20” (C. conti, sez. contr. enti, 20 luglio 1995, n. 43; Parti in causa: Ord. collegi professionali; Riviste: Riv. Corte Conti, 1995, fasc. 5, 48; Foro Amm., 1996, 1388). Se l’iscrizione all’Albo dovesse essere negata (o annullata) quando avrebbe dovuto essere rilasciata (non essendovi ragioni per non rilasciarla), il suo diniego dà titolo (all’interessato danneggiato) al risarcimento del danno che ho subito per non aver potuto intraprendere o continuare l’attività professionale. Ha scritto il professor Guido Corso (www.giust.it-Rivista internet di diritto pubblico diretta dal professor Giovanni Virga) commentando la sentenza n. 500/1999 delle Sezioni unite civili della Cassazione: “Finisce così una indecente immunità della pubblica amministrazione. E, quel che è ancora più importante, viene introdotto un formidabile incentivo a ridimensionare, sul piano normativo, i poteri di intervento e di condizionamento delle pubbliche amministrazioni sulle attività private: una volta che il rischio conseguente all’esercizio di tali poteri non è più soltanto quello dell’annullamento dell’atto da parte del giudice amministrativo, ma è quello, ben più temibile, di dover risarcire chi avrà subito un danno dall’esercizio di quel potere. E la responsabilità, a norma di Costituzione (art. 28 Cost.), grava non solo sulla pubblica amministrazione, ma anche sul funzionario”.



    L’assenza ingiustificata del presidente della commissione principale

    L'assenza ingiustificata del presidente della commissione d'esami inficia i lavori della sottocommissione da lui non presieduti (T.A.R. Calabria, Catanzaro, 22 maggio 1997, n. 312; Parti in causa Tartaro c. Min. giust.; Riviste Foro Amm., 1998, 559).



    In base al comma 6 art. 22, r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 (aggiunto dall'art. 2 l. 20 aprile 1989 n. 142) le sottocommissioni per gli esami di procuratore legale sono costituite - e possono disporre con efficacia provvedimentale - soltanto con la presenza del presidente della commissione centrale, il quale riveste la qualifica di presidente effettivo di tutte le sottocommissioni; l'unicità del presidente è funzionalmente preordinata non già ad una mera titolarità formale dei lavori delle diverse sottocommissioni ma ad imprimere a tutte ed a ciascuna di esse la medesima regolazione procedurale che disciplina i lavori della commissione originaria (T.A.R. Calabria, Catanzaro, 22 maggio 1997, n. 312; Parti in causa Tartaro c. Min. giust.; Riviste Foro Amm., 1998, 559; Rif. legislativi RDL 27 novembre 1933 n. 1578, art. 22; L 20 aprile 1989 n. 142, art. 2).



    Sentenza 1855/2000 della IV sezione del Consiglio di Stato: il presidente della Commissione principale è presidente effettivo “di tutte le sottocommissioni in ossequio al principio della par condicio degli esaminandi”. Si riporta un passaggio centrale di questa sentenza:

    “Con ricorso notificato il 9 settembre 1997 la dott.ssa Daniela Daniele ha chiesto al Tar Calabria (sede di Catanzaro) l’annullamento del provvedimento di mancata ammissione alle prove orali dell’esame di procuratore legale per l’anno 1996, deducendo tra i motivi anche la violazione dell’articolo 22 (comma 6) del Rdl n. 1578/1933 nella parte in cui afferma la unicità del presidente sia rispetto alla commissione principale sia rispetto alle sottocommissioni. Il Tar Calabria (con la sentenza n. 178/1998) ha accolto il ricorso, che è stato impugnato dal Ministero della Giustizia (il quale ha denunciato la violazione e la falsa applicazione dello stesso articolo 22). Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (IV sezione) ha respinto l’appello del Ministero della Giustizia. Si legge nella sentenza del Consiglio di Stato:

    <…L’appello è infondato. Il thema decidendum riguarda l’interpretazione dell’articolo 22 (comma 6), Rdl 27 novembre 1933 n. 1578, come modificato dalla legge 20 aprile 1989 n. 142, concernente gli esami di abilitazione all’esercizio della professione di procuratore legale, che così dispone: "Qualora il numero dei candidati che abbiano presentato la domanda di ammissione superi le duecentocinquanta unità, le commissioni esaminatrici possono essere integrate, con decreto del Ministro di grazia e giustizia, da emanarsi prima dell'espletamento delle prove scritte, da un numero di membri supplenti aventi i medesimi requisiti stabiliti per i membri effettivi tale da permettere, unico restando il presidente, la suddivisione in sottocommissioni, costituite ciascuna da un numero di componenti pari a quello delle commissioni originarie e di un segretario aggiunto. A ciascuna delle sottocommissioni non può essere assegnato un numero di candidati superiore a duecentocinquanta".

    Il Tribunale amministrativo calabrese ha ritenuto che la disposizione non consenta, se non per giustificato motivo, di cui sia data congrua e puntuale motivazione nei verbali, la sostituzione del presidente della commissione esaminatrice dell'esame di stato per l'abilitazione alla professione di procuratore legale, fondando le proprie conclusioni su un duplice ordine di rilievi: a) la lettera della. legge sopra trascritta, che specifica “unico restando il presidente", anche quando siano costituite sottocommissioni; b) 1'esigenza di salvaguardare la par condicio degli esaminandi attraverso la permanenza di un soggetto particolarmente qualificato nel contesto di tutte le sottocommissioni.

    Nel caso di specie è, per contro, avvenuto che il presidente ha delegato in modo ampio e permanente ai vicepresidenti delle varie sottocommissioni la partecipazione alle relative sedute, di fatto alterando l'unico elemento di sicura conformità dei giudizi, senza che fosse evidenziata una specifica esigenza di sostituzione.

    L'appello dell'Amministrazione tende a una esegesi finalistica della norma in esame, sostenendo che la ratio sottostante la disposizione preordina l'articolazione in sottocommissioni per consentire una maggiore rapidità delle operazioni d'esame, che risulterebbero necessariamente appesantite se a presiedere i lavori fosse unico soggetto.

    Osserva la Sezione che, pur rispondendo la norma suindicata a un'istanza di accelerazione delle operazioni d'esame, la stessa non può comunque essere interpretata al di fuori del chiaro significato letterale e logico delle espressioni in essa contenute. Ora è non dubbio che la norma si è preoccupata di mantenere l'unicità della figura del presidente, pur in presenza di sottocommissioni. La formulazione letterale della norma è sostanzialmente univoca e non lascia spazio a interpretazioni finalizzate a superarne il dato formale.

    Infatti, se è pur vero che la finalità di accelerare le operazioni d'esame risponde a un'esigenza di speditezza e economicità dell'azione amministrativa, è altresì incontestabile che, in presenza di una attività di giudizio di particolare rilievo e, per definizione, soggetta al principio della par condicio, le modalità di svolgimento di dette operazioni vanno comunque articolate in relazione al precetto normativo così da impedire che la predetta finalità, per quanto genericamente preordinata all'interesse pubblico di celerità dell'attività amministrativa, finisca per fare premio sull’interesse pubblico primario e specifico così come presidiato dal precetto stesso. In sintesi, l'interpretazione finalistica proposta dall'Amministrazione non trova adeguato riscontro nella fonte normativa invocata”.



    In ossequio al principio della par condicio dei concorrenti, allorquando la commissione esaminatrice per gli esami di abilitazione alla professione di avvocato è articolata, in ragione del numero dei candidati, in sottocommissioni, solo al presidente della commissione medesima, spetta l’effettiva presidenza di tutte le sottocommissioni (Cons. Stato, sentenza n. 1855/2000; riviste: Guida al Diritto n. 17/2000).



    La sottocommissioni nelle quali si suddivide la originaria commissione giudicatrice designata per l'esame di abilitazione alla professione di avvocato devono necessariamente essere presiedute dall'unico presidente (nella specie, il collegio ha ritenuto illegittima la delega generalizzata conferita dal presidente ai vicepresidenti delle varie sottocommissioni) in ossequio al principio della par condicio degli esaminandi (Cons. Stato, Sez. IV, 31 marzo 2000, n. 1855; Parti in causa Min. giust. c. Daniele; Riviste Foro It., 2000, III, 243).



    Sentenza 6160/2000 della IV sezione del Consiglio di Stato: la funzione del presidente della Commissione principale si sostanza nella più rilevante funzione di coordinamento dei lavori delle varie sottocommissioni senza essere necessariamente presente alle adunanze delle sottocommissioni. I commissari supplenti sostituiscono qualsiasi membro effettivo. Si riporta un ampio stralcio di questa sentenza:

    “II.2. Possono essere esaminate congiuntamente le questioni attinenti alle effettive modalità di funzionamento delle sottocommissioni, con particolare riguardo alla sostituzione dei componenti effettivi con quelli supplenti, alla qualificazione dei membri delle sottocommissioni e all’unicità della funzione del presidente della commissione stessa.

    “II.2.1. Occorre al riguardo osservare che ai sensi del quarto comma dell’art. 22 del R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 le commissioni sono nominate dal Ministro di grazia e giustizia e sono composte da cinque membri, di cui due titolati e due supplenti sono avvocati (iscritti da almeno otto anni ad un ordine del distretto di corte d’appello sede dell’esame); due titolari e due supplenti sono magistrati dello stesso distretto (con qualifica non inferiore a consigliere di corte d’appello) e un titolare ed un supplente sono professori ordinari o associati di materie giuridiche presso un’università della Repubblica ovvero presso un Istituto superiore.

    Il successivo quinto comma stabilisce che i supplenti intervengono nella commissione in sostituzione di qualsiasi membro effettivo.

    Il sesto comma, infine, prevede che, quando i candidati all’esame di abilitazioni siano superiori a 250 unità, le commissioni esaminatrici possono essere integrate, con apposito decreto ministeriale, da un numero di membri supplenti aventi i medesimi requisiti stabiliti per i membri effettivi tale da permettere, unico restando il presidente, la suddivisione in sottocommissioni, costituite ciascuna da un numero di componenti pari a quello delle commissioni originarie.

    II.2.2. Ad avviso del Collegio, dall’esame della predetta normativa si evince innanzitutto che il legislatore col comma 3 del predetto articolo 22 del citato R.D.L. n. 1578 del 1933 ha ritenuto di fissare i principi fondamentali in materia di composizione della commissione esaminatrice degli esami di abilitazione all’esercizio della professione forense, assicurando in essa la presenza di tutte le componenti professionali atte a garantire un adeguato giudizio di idoneità sui candidati.

    Il successivo comma 5, con lo stabilire che i supplenti intervengono nella commissione in sostituzione di qualsiasi membro, ha codificato il principio della fungibilità di ogni membro effettivo della commissione con qualsiasi membro supplente (Cons. giust. Amm. Sicilia, 11 ottobre 1999 n. 473) che, peraltro, solo apparentemente è in contrasto col precedente comma 3.

    Infatti è proprio l’alto profilo di professionalità insito in ogni componente della commissione, in ragione della sua qualifica professionale, ad assicurare l’adeguatezza della valutazione dell’idoneità dei candidati, indipendentemente dal fatto, irrilevante sotto ogni altro profilo, che il membro supplente non appartenga alla stessa categoria professionale del membro effettivo sostituito.

    In altri termini la norma che ammette espressamente la fungibilità dei membri effettivo con uno qualsiasi dei membri supplenti si giustifica con l’essenza stessa dell’istituto della supplenza che è quello di assicurare l’effettiva dello svolgimento delle funzioni della Commissione, stante il rilevante interesse pubblico a che le sessioni di esami di abilitazioni si esauriscono celermente nel rispetto dei principi costituzionali fissati dall’art. 97.

    Sotto tale profilo la doglianza dell’appellante, secondo cui nel caso di specie le sottocommissioni avrebbero concretamente operato con l’intervento dei membri supplenti senza rispettare la composizione numerica fissata dal 3° comma dell’art. 22 del R.D.L. n. 1578 del 1933 è priva di fondamento.

    II.2.3. Anche il successivo comma sei del predetto articolo 22 ha un chiaro valore organizzatorio, finalizzato al perseguimento dell’interesse pubblico alla celerità ed alla continuità delle funzioni della commissione esaminatrice ed al rapido accertamento dell’idoneità dei candidato allo svolgimento della professione forense.

    Infatti il legislatore ha ivi previsto la possibilità di integrare la Commissione nell’ipotesi in cui i candidati siano in numero superiore a 250 unità: tale integrazione avviene con la nomina di membri supplenti in numero tale da permettere, unico restando il presidente, la costituzione di sottocommissione con un numero di membri pari a quello delle commissioni originarie.

    Si può facilmente osservare, innanzitutto, che è lo stesso legislatore a qualificare “supplenti” i membri che, chiamati ad integrare le commissioni esaminatrici, vanno a costituire le sottocommissioni; inoltre l’unicità della funzione del Presidente della commissione esaminatrice e dunque la sostanziale unicità della commissione, ancorché attraverso la relativa integrazione essa si articoli in una o più sottocommissioni, consente di affermare che non si può negare che i membri effettivi possano partecipare, iure proprio, se non impediti alla adunanze delle singole sottocommissione (seppure deve ammettersi che si tratti di una ipotesi del tutto residuale).

    Proprio in considerazione della espressa qualificazione di “supplenti” dei membri delle sottocommissioni e della norma di cui al quinto comma dell’art. 22, deve ammettersi che legittimamente le adunanze delle sottocommissioni siano valide e legittime anche quando non siano rispettata la presenza dei membri secondo la ripartizione fra le singole professionalità prevista dal comma 3 e d’altra parte deve ammettersi che un membro effettivo, per il solo fatto di tale sua qualifica, possa in ogni momento validamente e legittimamente partecipare all’adunanza della sottocommissione.

    L’unicità della funzione di Presidente della commissione, poi, diversamente da quanto opina la ricorrente, non si ricollega necessariamente alla presenza del presidente alle adunanze delle sottocommissione, perché in tal modo sarebbe effettivamente frustrata la stessa ratio della norma dell’articolo 6, rallentandosi – invece che snellendosi e accelerandosi - le funzioni della Commissione attraverso le sottocommissioni: al contrario l’unicità di tale figura si sostanza nella più rilevante funzione di coordinamento dei lavori delle varie sottocommissioni.

    Alla luce di tali osservazioni le doglianze svolte dall’appellante sono state correttamente respinte dai giudici di primo grado, con osservazioni pertinenti ed esaurienti che non meritano i rilievi sollevati in appello” (www.giust.it; Il Sole 24 Ore del 9 dicembre 2000).

    L’unicità della figura del presidente della Commissione “si sostanza nella più rilevante funzione di coordinamento dei lavori delle varie sottocommissioni” (sentenza 6160 della IV sezione del CdS) al fine di “salvaguardare la par condicio degli esaminandi attraverso la permanenza di un soggetto particolarmente qualificato nel contesto di tutte le sottocommissioni” (sentenza 1855/2000 della IV sezione del CdS). Un filo lega le due sentenze nel senso che, comunque, il presidente, anche se non presente alle adunanze delle sottocommissioni, svolge un ruolo che punta a garantire la par condicio tra i candidati.



    Considerato che, ai sensi dell'art. 22 comma 5, r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, da ultimo modificato con l'art. 1, l. 27 giugno 1988 n. 242, la commissione esaminatrice negli esami da avvocato non ha natura di collegio perfetto, e che, tuttavia, la partecipazione ai lavori della commissione costituisce preciso obbligo d'ufficio, ai sensi dell'art. 84, r.d. 31 agosto 1933 n. 1592, e dell'art. 1, l. 18 marzo 1958 n. 311, l'esaminando ha una mera chance di essere valutato da un collegio composto secondo i criteri ordinariamente contemplati dalla norma; la fungibilità dei membri dimissionari deve però avere carattere occasionale e contingente, e non strutturale: pertanto, la circostanza che nessuno dei professori universitari nominati membri della commissione ha partecipato alla preventiva formulazione dei criteri di valutazione di massima e, solo in minima parte, alle operazioni di correzione degli elaborati, rende illegittimo il singolo provvedimento di non ammissione agli orali e gli atti presupposti, nei limiti in cui questi ultimi hanno compromesso detta chance di ciascun interessato, di talché l'annullamento non coinvolge posizioni antitetiche di terzi (Tar Veneto, sez. I, 17 ottobre 1998, n. 1695; Parti in causa Rosato e altro c. Comm. esami avv. App. Venezia e altro; Riviste Foro Amm., 1999, 1555; Rif. Legislativi RD 31 agosto 1933 n. 1592, art. 84; RDL 27 novembre 1933 n. 1578, art. 22; L 18 marzo 1958 n. 311, art. 1; L 27 giugno 1988 n. 242, art. 1).



    La commissione d’esame per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, che ha natura di collegio perfetto con funzione decisoria e, quindi, con un proprio quorum essenziale ai fini del funzionamento, è illegittimamente composta non solo nel caso in cui alle sedute non vi sia il plenum dei componenti, ma anche se, pur essendo presenti tutti e cinque i suoi membri, manchi in blocco, a tutte o quasi tutte le sedute, il rappresentante di una delle tre categorie individuate (avvocati, magistrati, docenti universitari, ndr) dall’articolo 22 del Rd 1578/1933. È pertanto illegittimo l’operato della commissione ove risulti che essa si sia riunita senza che fosse mai presente la componente rappresentata dai professori universitari (Tar Basilicata, sentenza 83/2000, in www.giust.it-rivista internet di diritto pubblico).



    La grande questione irrisolta: la motivazione del punteggio tra Tar, Consiglio di Stato e Corte costituzionale. La sentenza n. 5108/2003 del CdS.

    La valutazione degli aspiranti procuratori leali, essendo finalizzata a verificare il possesso da parte dei candidati delle necessarie conoscenze di base di diritto sostanziale e processuale, desumibili dalla correttezza giuridica delle soluzioni date alle questioni oggetto delle prove scritte, non può essere sorretta da un mero punteggio numerico (idoneo, di per sé. ad esprimere soltanto un apprezzamento di valore del candidato esaminato, ma non ad esternare le rioni che ne hanno giustificato l'attribuzione), richiedendosi l'espressione di un giudizio, sia pure sintetico, ma idoneo a dare conto della negatività della valutazione, con riguardo alla gravità delle lacune dimostrate nella preparazione richiesta (Tar Marche, 12.02.1993, n. 66, in Giur. Merito, 1993, 408 ss., e in Giust. Civ., 1993, 1, 1140 ss).



    E' illegittimo il giudizio di non ammissione di un candidato alla prova orale (nella specie, per gli esami di abilitazione all'esercizio della professione di procuratore legale) qualora – in disparte la considerazione che la particolare ed elevatissima qualificazione dell'esame impone complesse valutazioni, difficilmente sintetizzabili nel solo voto numerico - esso, peraltro espresso sulla base di astratti criteri di valutazione caratterizzati da genericità, appaia inidoneo ad esplicitare l'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità predeterminati dalla commissione e, perciò, tale da non esprimere assolutamente le ragioni della valutazione (Tar Puglia, sez. I Lecce, 27 marzo 1996, n. 120; Parti in causa Messuti c. Min. giust.; Riviste Foro Amm., 1996, 3464, n. Colzi).



    Il giudizio espresso da una commissione giudicatrice sulla prova scritta di un candidato agli esami per l'iscrizione nell'albo di procuratore legale è soggetto all'obbligo di motivazione ex art. 3

    l. 7 agosto 1990 n. 241, che non può ritenersi soddisfatto con l'attribuzione di un semplice voto numerico (Tar. Lombardia, sez. III Milano, 29 giugno 1996, n. 890; Riviste: Foro Amm., 1997, 523; Rif. Legislativi L 7 agosto 1990 n. 241, art. 3).



    L'art. 3 comma 1 l. 7 agosto 1990 n. 241, dopo aver prescritto l'obbligo di motivazione per ogni provvedimento amministrativo, ivi compreso quello attinente allo svolgimento di pubblici concorsi, collega la sufficienza della motivazione alle risultanze dell'istruttoria, di modo che sembra fare riferimento all'attività amministrativa più propriamente provvedimentale che non all'attività di giudizio conseguente a valutazione, quale generalmente si qualifica quella relativa al giudizio espresso con l'attribuzione di un punteggio sulla preparazione culturale o tecnica del candidato ad un concorso in seguito a prova scritta o orale (Cons. Stato. Sez. VI, 15 ottobre 1993, n. 727; Riviste: Riv. Amm. della Repubblica Italiana, 1994, 184, 782; Riv. Giur. Scuola, 1994, 355; Giust. Civ., 1994, I,1141, 2057, n. Adilandi. Moneta; Rif. Legislativi L 7 agosto 1990 n. 241, art. 3).



    Il difetto di motivazione dell'atto amministrativo impedisce di comprendere in base a quali dati specifici sia stata operata la scelta della pubblica amministrazione, nonché di verificarne il percorso logico seguito nell'applicare i criteri generali nel caso concreto, così contestando di fatto una determinazione assolutamente discrezionale e non controllabile e violando non solo l'obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi, indicando, ai sensi dell'art. 3 legge 7 agosto 1990 n. 241, i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che li hanno determinati in relazione alle risultanze dell'istruttoria, ma anche i principi di imparzialità e buon andamento, di cui all'art. 97 Cost. (Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 1996 n. 1009; Riviste: Foro Amm., 1996, 2593).



    I provvedimenti amministrativi, ed in particolare quelli che incidono negativamente sulle situazioni soggettive, debbono contenere una chiara e congrua indicazione dell'iter logico seguito per la loro adozione, allo scopo di far conoscere al terzo interessato il ragionamento seguito dando contezza dei motivi della scelta soluzione (Cons. Stato, Sez. IV, 29 gennaio 1998 n. 102; Riviste Cons. Stato, 1998, I, 38)



    Anche in materia di esami di abilitazione alla professione di avvocato la non ammissione alle prove orali deve fondarsi su una motivazione che, ai sensi dell'articolo 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241, ponga il destinatario del provvedimento nella condizione di ricostruire l'iter logico seguito dalla commissione esaminatrice, la quale non può limitarsi alla mera indicazione dei voti numerici assegnati alle prove scritte che, nella fattispecie, risultano essere di alta difficoltà tecnica e comportanti la soluzione di complesse questioni giuridiche specie quando tali prove appaiono anche essere state oggetto di una sommaria lettura, dal momento che gli elaborati acquisiti a seguito di istruttoria non portano segni di correzione o annotazioni che possano quanto meno consentire l'individuazione di specifici argomenti sui quali la commissione abbia soffermato negativamente la sua attenzione (Tar. Lazio, Latina, 5 marzo 1999, n. 188; Parti in causa Pesce c. Min. giust.; Riviste Foro Amm., 1999, 1084; Rif. legislativi L 7 agosto 1990 n. 241, art. 3).



    L'orientamento seguito in tema di pubblici concorsi secondo cui l'obbligo della motivazione deve essere limitato all'attività provvedimentale in senso stretto, con esclusione dell'attività di

    giudizio conseguente a valutazione non può essere condiviso nell'ipotesi di esami di abilitazione all'esercizio di una libera professione i quali sono preordinati all'accertamento dell'idoneità degli interessati all'espletamento delle funzioni connesse al diritto garantito loro direttamente dall'art. 41, cost. e non all'individuazione dei soggetti da assumere attraverso la selezione tra i vari aspiranti, se così non fosse, si avrebbe, da una parte, che il provvedimento di esclusione dalle prove orali sarebbe adeguatamente motivato con l'indicazione del voto numerico assegnato alle prove scritte, dall'altra, che nessuna indicazione sarebbe necessaria circa le ragioni di fatto e le valutazioni giuridiche discrezionali in base alle quali è stato formulato il giudizio negativo in ordine alle prove, ciò in palese violazione delle garanzie che il legislatore ha inteso introdurre con la l. 7 agosto 1990 n. 241, al dichiarato fine di attuare la Costituzione, tanto più se si considera che anche la discrezionalità tecnica deve essere esercitata in modo che gli interessati e i giudici, dagli stessi eventualmente aditi, possano comprendere in base a quali concreti elementi sono state operate le valutazioni e le scelte (Tar Lazio, Latina, 5 marzo 1999, n. 188; Riviste: Foro Amm., 1999, 1084; Rif. ai codici COST art. 41; Rif. Legislativi L 7 agosto 1990 n. 241).



    L'espressione della valutazione con voto numerico può risultare sufficiente ad integrare la motivazione (richiesta dalla legge) solo quando: 1) risultino fissati criteri generali di valutazione sufficientemente specifici e concreti: 2) sull'elaborato scritto oggetto di valutazione risultino apportati segni di correzione e glosse, tali da rendere evidenti gli elementi fattuali che hanno supportato il giudizio negativo espresso" (Tar Puglia - Lecce, sez. 1, ord. 12.06.2000, n. 1314, in www.giust it, Rivista Internet dì Diritto Pubblico, diretta dal prof. Giovanni Virga, con nota di G. Saporito. In senso conforme, sulla necessità almeno dei segni di correzione, Tar Lazio, sez. Latina, 05.03.1999, n. 188, cit.; Tar Sicilia, sez. Catania, 31.07.1997, n.1615; contra, Tar Umbria, 14.03.1997, n. 115).



    “Con specifico riferimento all'esame di abilitazione all'esercizio della professione forense, in caso di valutazione negativa di un candidato adottata all'unanimità, non occorre riportare il voto assegnato da ciascun membro della commissione (cfr. Cons.giust.amm. 11 ottobre 1999, n. 437); parimenti, non appare necessario che la commissione lasci segni grafici o glosse di commento a margine dell'elaborato corretto di ciascun candidato.

    Le sottocommissioni esaminatrici costituite per esigenze di semplificazione e di velocizzazione del lavoro di correzione delle prove scritte, possono essere presiedute anche dal vicepresidente senza che occorra, allo scopo, una specifica motivazione in ordine agli impedimenti che hanno reso necessaria la sostituzione, a mente dell'articolo 22, comma 6, Rdl 27 novembre 1933 n. 1578 (cfr. in termini CdS., Sez. IV, 16 maggio 2000, n. 2398; Cons.giust.amm. 11 ottobre 1999 n. 437).

    E’ sottratto al sindacato di legittimità del giudice amministrativo il controllo dei tempi medi di correzione degli elaborati (cfr. CdS., Sez. VI, 27 maggio 1998, n. 829; Sez. IV, 9 aprile 1999, n. 538; Sez. IV, 23 gennaio 1984, n. 24)” (Consiglio di Stato, ordinanza 20 settembre 2000 n. 4711, in www,giust.it n. 10/2000).



    Va sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 241/1990, il quale prevede un obbligo di puntuale motivazione per tutti gli atti amministrativi, nella parte in cui - secondo l’interpretazione datane dal Consiglio di Stato (v. in part. il parere 9 novembre 1995, n. 120 reso dall'Adunanza Generale) - non si applicherebbe alla valutazione delle prove scritte previste per concorsi pubblici ed in particolare a quelle previste per l'accesso alla professione di avvocato, essendo stato ritenuto sufficiente che la valutazione delle dette prove sia espressa solo con coefficienti numerici.

    Tale interpretazione, infatti, sembra contrastare:

    a) con l’art. 3 Cost. perché non appare ragionevole una disposizione normativa inserita nella legge generale sul procedimento amministrativo che, mentre consacra il generale principio dell’obbligo di motivazione, tra l’altro facendo specifico riferimento a "lo svolgimento dei pubblici concorsi", ne esclude l’applicazione a categorie di atti (nella specie i giudizi sugli esami d’abilitazione) rispetto ai quali l’esigenza dei destinatari di conoscere, attraverso un’idonea motivazione, le concrete ragioni poste a fondamento della loro adozione non è diversa, né minore di quella dei soggetti interessati agli altri atti amministrativi, se del caso egualmente esprimenti valutazioni di natura tecnica, sicuramente vincolati all’osservanza della norma;

    b) con gli artt. 24 e 113 Cost., perché la non soggezione all’obbligo di motivazione dei giudizi d’esame di cui si discute, traducendosi nell’impossibilità per il singolo candidato bocciato di conoscere e controllare le ragioni poste a base del giudizio negativo, interdice ogni concreta tutela nella già assai limitata sede della giurisdizione di legittimità, in cui al giudice amministrativo è consentito il solo riscontro dell’iter logico delle valutazioni di merito compiute dalle commissioni esaminatrici; quando, al contrario, anche tale limitato sindacato viene precluso di fronte al mero dato numerico del voto, non illustrato, cioè spiegato da una almeno sintetica, ma concreta, motivazione, la tutela così consentita dall’ordinamento si riduce al solo riscontro di profili estrinseci e formali, quali quelli inerenti al rispetto delle garanzie connesse alla collegialità dell’organo giudicante ed alla sua composizione con una cospicua riduzione del tasso di effettività dei giudizi nella sede generale della legittimità;

    c) con l’art. 97 Cost. perché la sottrazione di una categoria di atti all’obbligo di motivazione appare confliggente sia con il principio di imparzialità (evidentemente meno garantito da un giudizio espresso in forma solo numerica), sia con il principio di buon andamento dell’amministrazione, che in un ordinamento modernamente democratico si traduce anche nella piena trasparenza dell’azione amministrativa; né le esigenze di snellezza e speditezza del procedimento, pure riconducibili al principio di buon andamento ex art. 97 Cost. e che sono pianamente percepibili nel già ricordato avviso dell’Adunanza generale, possono essere ritenute prevalenti rispetto all’inderogabile necessità di assicurare il più corretto rapporto tra cittadino e amministrazione pubblica, essendo invece diversamente tutelabili attraverso un’applicazione del principio dell'obbligo di motivazione ragionevole e proporzionato ai richiamati obiettivi di trasparenza e di tutela (Tar Lombardia - Milano, Sez. III - Ordinanza 7 febbraio 2000 n. 30 - Pres. ed Est. Mariuzzo).



    E’ manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale - sollevata dal Tar per la Lombardia, Sez. III, in relazione agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione - dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nella parte in cui - secondo l’interpretazione datane dal Consiglio di Stato - non prevederebbe l’obbligo di motivazione per i giudizi d’esame. La questione è palesemente inammissibile, perché essa non è in realtà diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma si traduce piuttosto in un improprio tentativo di ottenere l’avallo della Corte costituzionale a favore di una determinata interpretazione della norma, attività, questa, rimessa al giudice di merito (Corte Cost., ord. nn. 70 del 1998 e 436 del 1996), tanto più in presenza di indirizzi giurisprudenziali non stabilizzati (Corte Cost., sent. n. 350 del 1997) (Corte costituzionale - Ordinanza 3 novembre 2000 n. 466 - Pres. Mirabelli, Red. Guizzi - (giudizi promossi con cinque ordinanze emesse il 25 novembre 1999, quindi il 27 gennaio 2000 con undici ordinanze, il 10 gennaio 2000 con quattro ordinanze, il 27 gennaio 2000 con sette ordinanze, il 10 gennaio 2000 con 13 ordinanze, il 27 gennaio 2000 con sei ordinanze, il 10 febbraio 2000 con sei ordinanze e il 9 marzo 2000 con sette ordinanze dal TAR Lombardia, Sez. III, rispettivamente iscritte ai nn. dal 117 al 121, dal 213 al 253, dal 417 al 421, al 449 e dal 502 al 508 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 13, 21, 30 e 31, prima serie speciale, dell’anno 2000). (Il Sole 24 Ore, 4 novembre e 16 dicembre 2000)..



    “Pur essendo indubbio che nel vigente sistema non sussiste un obbligo per il giudice di merito di conformarsi agli orientamenti della Corte di Cassazione (salvo che nel giudizio di rinvio), è altrettanto vero che quando questi orientamenti sono stabilmente consolidati nella giurisprudenza - al punto da acquisire i connotati del “diritto vivente” - è ben possibile che la norma, come interpretata dalla Corte di legittimità e dai giudici di merito, venga sottoposta a scrutinio di costituzionalità, poiché la norma vive ormai nell’ordinamento in modo così radicato che è difficilmente ipotizzabile una modifica del sistema senza l’intervento del legislatore o di questa Corte. In presenza di un diritto vivente non condiviso dal giudice a quo perché ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi ha la facoltà di optare tra l’azione, sempre consentita, di una diversa interpretazione, oppure - adeguandosi al diritto vivente - la proposizione della questione a questa Corte; mentre è in assenza di un contrario diritto vivente che il giudice rimettente ha il dovere di seguire l’interpretazione ritenuta più adeguata ai principi costituzionali (cfr., ex plurimis, sentenze n. 226/1994, n. 296/1995 e n. 307/1996)”. (Corte costituzionale, sentenza n. 350/1997)



    Consiglio di Stato-sentenza n. 5108/2003: basta il punteggio numerico

    L'onere di motivazione in riferimento alla valutazione delle prove scritte di un concorso pubblico o di una procedura selettiva per il conseguimento dell'idoneità per l'iscrizione negli albi e collegi professionali è di regola sufficientemente adempiuto con la sola attribuzione del punteggio numerico, essendo questa una espressione sintetica, ma eloquente, della valutazione compiuta dalla commissione (nella specie esame per l'idoneità all'esercizio della professione di avvocato). (Cons. Stato Sez. IV 15-09-2003, n. 5108; Ministero giustizia c. L.; FONTI Foro Amm. CDS, 2003, 2532).



    L'onere di motivazione relativo alla valutazione delle prove scritte di un concorso pubblico o di una procedura selettiva per il conseguimento dell'idoneità per l'iscrizione negli albi e collegi professionali è, di regola, sufficientemente adempiuto con la sola attribuzione del punteggio numerico, essendo questa una espressione sintetica, ma eloquente, della valutazione compiuta dalla commissione (nella specie esame per l'idoneità all'esercizio della professione di avvocato). (Cons. Stato Sez.IV 01-03-2003, n. 1162; Miranda c. Min. giustizia; FONTI Foro Amm. CDS, 2003, 906).



    La valutazione dei candidati partecipanti ad una procedura concorsuale è correttamente svolta, allorché la commissione abbia preventivamente definito, in modo adeguato e razionale, tutti i criteri generali di valutazione dei titoli e, sulla base di tali parametri, abbia proceduto all'apprezzamento dei dati offerti da ciascun candidato, non potendosi, quindi, considerare carente la motivazione esposta mediante un punteggio numerico, congruente ai criteri in precedenza enunciati. (Cons. Stato Sez.V 26-05-2003, n. 2846; Labriola c. Petrone e altri; FONTI Foro Amm. CDS, 2003, 1637).



    Per costante orientamento giurisprudenziale, l'attribuzione da parte della Commissione giudicatrice, in sede di valutazione delle prove scritte, del solo punteggio numerico costituisce legittima, pur se sintetica, espressione della compiuta valutazione. (Cons. Stato Sez.V 23-06-2003, n. 3712; Provincia di Cuneo c. Viale e altri; FONTI Foro Amm. CDS, 2003, 1904).



    Nonostante il contrario orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato, la Commissione dell'esame di avvocato, secondo costante giurisprudenza, non può valutare, nel rispetto dell'art. 3, L. 7 agosto 1990, n. 241, le prove mediante una semplice espressione numerica, ma deve motivare adeguatamente il giudizio di insufficienza onde permettere la ricostruzione dell'iter valutativo e il suo assoggettamento al controllo giurisdizionale. (T.A.R. Lombardia Brescia 15-03-2003, n. 329; Malcangi c. Ministero giustizia e altri; FONTI Massima redazionale, 2003)



    Per l'adempimento dell'onere della motivazione delle prove scritte dell'esame per l'iscrizione all'albo degli avvocati è sufficiente la sola attribuzione del punteggio numerico, considerato quale espressione sintetica, ma eloquente, della valutazione compiuta dalla commissione: ne deriva che non è necessario integrare tale punteggio con apposita motivazione, a meno che non ricorrano circostanze particolari. (Tar Lombardia Sez. III 16-10-2003, n. 4810; Alezio c. Ministero della Giustizia; FONTI Guida al Diritto, 2003, 44, 96).



    Anche dopo l'entrata in vigore della L. 7 agosto 1990 n. 241, l'onere della motivazione dei giudizi inerenti le prove scritte ed orali di un concorso pubblico è sufficientemente adempiuto con l'attribuzione di un punteggio numerico, configurandosi quest'ultimo come formula sintetica, ma eloquente, della valutazione tecnica della Commissione; la motivazione sarebbe eccezionalmente richiesta solo in caso di contrasto rilevante tra i punteggi attribuiti dai membri della commissione, tale da configurare una contraddittorietà intrinseca del giudizio della commissione stessa. (Cons. Stato Sez. VI 03-04-2003, n. 1719; Chiaradia c. Politecnico di Bari; FONTI Foro Amm. CDS, 2003, 1347).



    L'obbligo di far luogo alla motivazione delle valutazioni concorsuali è imposto dalla necessità di tener fede al principio, presidiato sul piano costituzionale, che vuole sempre garantita la possibilità di un sindacato della ragionevolezza, della coerenza e della logicità delle stesse valutazioni concorsuali: controllo difficile da assicurare in presenza del solo punteggio numerico e in assenza, quindi, di una pur sintetica o implicita esternazione delle ragioni che hanno indotto la Commissione alla formulazione di un giudizio di segno negativo. (Cons. Stato sez. VI 30-04-2003, n. 2331; FONTI Comuni d'Italia, 2003, 6, 101; Comuni d'Italia, 2003, 7-8, 95).



     
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  9. rossella74
     
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    In tema di rimandi alla brutta copia

    TAR CALABRIA - CATANZARO, SEZ. II - sentenza 10 giugno 2008 n. 642
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    DELLA CALABRIA – SEDE DI CATANZARO SEZIONE II


    composto dai signori Magistrati:
    Dott. Guido ROMANO Presidente
    Dott. Giuseppe CHINE’ Componente
    Dott. Carlo DELL’OLIO Componente, estensore

    ha pronunciato la seguente
    SENTENZA


    sul ricorso n. 70 del 1997 proposto da Massimo LIBORIO, rappresentato e difeso dall’Avv.
    Paolino RIZZUTI in sostituzione dell’Avv. Bruno Zicari, e domiciliato per legge presso la
    Segreteria di questo Tribunale in mancanza di domicilio eletto nel Comune di Catanzaro;
    contro
    il COMUNE DI ROVITO, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito nel
    presente giudizio;
    la COMMISSIONE ESAMINATRICE del concorso ad un posto di vigile urbano/autista scuolabus,
    in persona del legale rappresentante p.t., non costituita nel presente giudizio;
    e nei confronti
    di Gianluca ZIMBO, non costituito nel presente giudizio;
    per l’annullamento
    del provvedimento prot. n. 1837 del 15 novembre 1996 del presidente della commissione
    esaminatrice, con il quale al ricorrente è stata negata l’ammissione alla prova orale del
    concorso ad un posto di vigile urbano/autista scuolabus;
    di ogni atto comunque preordinato, connesso o consequenziale, ed in particolare dell’avviso n.
    166 del 15 novembre 1996 del presidente della commissione esaminatrice, con cui è stata resa
    nota la decisione di quest’ultima "di non procedere alla correzione degli elaborati della seconda
    (2^) prova scritta in quanto nessuno dei candidati è nelle condizioni di essere ammesso alla
    prova orale", nella parte riguardante la posizione del ricorrente.
    VISTO il ricorso con i relativi allegati;
    VISTA l’ordinanza cautelare n. 219 del 6 marzo 1997, con cui questo Tribunale ha accolto la
    proposta istanza di sospensione dei provvedimenti impugnati;
    VISTA l’ordinanza collegiale n. 149 del 10 agosto 2007, con cui è stata disposta istruttoria;
    VISTI gli atti tutti della causa;
    DESIGNATO relatore alla pubblica udienza dell’11 gennaio 2008 il Dott. Carlo Dell’Olio;
    UDITO altresì il difensore del ricorrente come da verbale d’udienza;
    RITENUTO in fatto e considerato in diritto quanto segue:
    FATTO E DIRITTO
    Con il gravame in trattazione, il ricorrente espone di aver partecipato al concorso pubblico, per
    titoli ed esami, per la copertura di un posto di vigile urbano/autista scuolabus, 5^ qualifica
    funzionale, indetto dal Comune di Rovito con bando del 31 marzo 1996.
    Espletate le due prove scritte e corretti i temi relativi alla prima prova, il presidente della
    commissione esaminatrice, con avviso n. 166 del 15 novembre 1996, esternava la decisione
    della medesima di non proseguire nelle operazioni concorsuali, ed in particolare di non
    procedere alla revisione degli elaborati della seconda prova scritta "in quanto nessuno dei
    candidati è nelle condizioni di essere ammesso alla prova orale".
    In pari data veniva emesso il provvedimento prot. n. 1837 in epigrafe, con il quale al ricorrente
    era negata l’ammissione alla prova orale, per aver egli riportato nella prima prova scritta "il
    punteggio di "NON CLASSIFICATO" perché l’elaborato presenta segni di riconoscimento", e nel
    quale si richiamava la decisione della commissione esaminatrice di non dare corso alle
    successive correzioni.
    Il ricorrente impugna tale atto di esclusione ed il connesso avviso di conclusione delle
    operazioni concorsuali, quest’ultimo nella parte concernente la propria posizione, ritenendoli
    illegittimi per i seguenti motivi:
    incompetenza; violazione dei principi e delle norme sui concorsi pubblici; violazione dell’art. 2
    della Legge 7 agosto 1990 n. 241;
    violazione dell’art. 3 della Legge 7 agosto 1990 n. 241; eccesso di potere per omessa
    motivazione e difetto di istruttoria;
    violazione dei principi sullo svolgimento dei concorsi pubblici e sull’anonimato; violazione
    dell’art. 14, comma 2, del D.P.R. 9 maggio 1994 n. 487; eccesso di potere per sviamento.
    Con ordinanza cautelare n. 219 del 6 marzo 1997, è stata accolta l’istanza di sospensione dei
    provvedimenti impugnati.
    Si è successivamente costituito in sostituzione il nuovo difensore di parte ricorrente, il quale
    nella propria comparsa insiste nelle conclusioni già rassegnate nell’atto introduttivo.
    Con ordinanza collegiale n. 149 del 10 agosto 2007, è stata disposta istruttoria per acquisire
    delucidazioni in merito al risultato, positivo o negativo, conseguito dal ricorrente nelle prove
    d’esame sostenute dopo l’accoglimento dell’istanza cautelare, ritenendosi tale circostanza utile
    per appurare la sussistenza dell’interesse all’ulteriore coltivazione del gravame.
    Il Comune di Rovito, onerato dell’incombente, depositava relazione istruttoria il 9 gennaio
    2008.
    Lo stesso Comune e gli altri soggetti intimati, pur regolarmente evocati in giudizio, non si sono
    costituiti.
    Il ricorso, infine, è stato trattenuto per la decisione all’udienza pubblica dell’11 gennaio 2008.
    Il Collegio, in via preliminare, deve rilevare che permane la sussistenza dell’interesse alla
    coltivazione del presente gravame, giacché dall’esito dell’istruttoria è emerso che il ricorrente,
    superando sia le prove scritte che la prova orale, si è collocato al secondo posto nella
    graduatoria finale; egli, pur non risultando vincitore, conserva l’interesse al mantenimento
    della suddetta posizione giuridica quanto meno al fine di potersi giovare, in altre procedure
    selettive, dell’idoneità conseguita per la professionalità messa a concorso.
    Nel merito, il ricorso è fondato e merita accoglimento.
    Il ricorrente è stato escluso dal concorso perché, ad avviso della commissione esaminatrice, il
    primo elaborato conteneva segni di riconoscimento.
    Nel corpo del gravame si evidenzia, con assunto che non è contraddetto dalle risultanze di
    causa, che "il ricorrente, non essendo riuscito a portare a termine, nel tempo assegnato, la
    trascrizione dell’elaborato in bella copia, come è prassi in tali circostanze ha fatto riferimento,
    per la parte mancante, alla <>, apponendo, al termine della parte trascritta, la
    indicazione <<vedere brutta>>".
    Ciò premesso, il ricorrente, con censura sviluppata nel terzo motivo di gravame, lamenta che
    la commissione abbia violato l’art. 14, comma 2, del D.P.R. n. 487/1994 (laddove vieta che il
    candidato debba apporre al proprio tema sottoscrizione o "altro contrassegno"), sulla scorta del
    ragionamento che "il semplice rinvio alla <>, resosi necessario nelle circostanze
    sopra accennate, non si vede come possa considerarsi <<contrassegno>> di per sé
    obiettivamente rivelatore dell’intento del candidato di segnalare la propria identità, e non
    debba intendersi, piuttosto, quale è nella realtà, come tratto di unione tra due parti dello
    stesso elaborato".
    La doglianza merita condivisione.
    La giurisprudenza amministrativa, con orientamento ormai consolidato, ha già sottolineato che
    nelle procedure concorsuali la regola dell’anonimato degli elaborati scritti, benché essenziale,
    non può essere intesa in modo tanto assoluto e tassativo da comportare l’invalidità delle prove
    ogni volta che sussista la mera possibilità di riconoscimento, perché, se così fosse, sarebbe
    materialmente impossibile svolgere concorsi con esami scritti, atteso che non si potrebbe mai
    escludere a priori la possibilità che un commissario riconosca la scrittura di un candidato,
    sebbene il relativo elaborato sia formalmente anonimo; ne discende che la regola
    dell’anonimato deve essere intesa nel senso che l’elaborato non deve recare alcun segno che
    sia "in astratto" ed "oggettivame nte" suscettibile di riconoscibilità, con la conseguenza che il
    termine "brutta copia" apposto dal candidato sul proprio tema non può essere interpretato
    come segno di riconoscimento, ma come mera formula di stile che, anche in base a
    reminiscenze scolastiche, può essere usata dai concorrenti per indirizzare la commissione
    verso la stesura finale e corretta dell’elaborato (cfr. per tutte TAR Basilicata, 11 luglio 2007 n.
    489).
    Inoltre, è stato acutamente osservato che l’espressione "brutta copia" non costituisce concreto
    segno di riconoscimento, ma ha lo scopo di rendere immediatamente percepibile la versione
    definitiva del compito, anche al fine di agevolarne la correzione da parte della stessa
    commissione, e non è assimilabile ad altri "contrassegni", idonei a fungere da elemento di
    identificazione del candidato per il loro carattere oggettivamente distintivo ed anomalo (cfr.
    TAR Lazio Roma, Sez. II, 3 luglio 2007 n. 5980; TAR Puglia Bari, Sez. II, 11 maggio 2006 n.
    1698; TAR Sicilia Palermo, Sez. I, 10 aprile 2002 n. 972).
    Orbene, il Collegio ritiene che tali superiori principi possano ben attagliarsi anche al caso di
    specie, attesa la sostanziale analogia tra la dicitura "vedere brutta", utilizzata dal ricorrente, ed
    il termine "brutta copia", analogia che trova giustificazione nell’unicità di funzione delle citate
    espressioni, entrambe volte a rendere immediatamente percepibile per la commissione
    esaminatrice la stesura definitiva del compito, anche attraverso il collegamento tra le due
    versioni (brutta e bella) dello stesso.
    Pertanto, i provvedimenti impugnati, comportando l’indebita esclusione del ricorrente dalla
    procedura e l’arresto delle operazioni concorsuali, sono illegittimi e devono essere annullati.
    Restano assorbite le rimanenti censure quivi non esaminate.
    Non vi è luogo a pronuncia in ordine alle spese del presente giudizio per la mancata
    costituzione di parte resistente.
    P.Q.M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, Sede di Catanzaro – Sezione Seconda,
    definitivamente pronunciando sul ricorso n. 70/1997 meglio in epigrafe indicato, lo accoglie e
    per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.
    Nulla per le spese.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
    Così deciso in Catanzaro nella Camera di Consiglio dell’11 gennaio 2008.
    IL GIUDICE EST. IL PRESIDENTE
    Depositata in Segreteria in data 10 giugno 2008.
     
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  10. gsp93
     
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    Pongo un quesito.

    L'annullamento di un bando di concorso deciso nell'ambito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica può arrecare effetti pregiudizievoli nei confronti di candidati già assunti e in ruolo che non siano stati citati come contro-interessati nel corso dello stesso procedimento ?

    Grazie fin d'ora per le vostre risposte.
     
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  11. donchisciotte76
     
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    Consiglio di Stato - Sentenza 10 febbraio 2010 , n. 668


    In forza del principio costituzionale di buon andamento ed imparzialità dell'Amministrazione nell'organizzazione dei pubblici uffici (art. 97 Cost.), le Amministrazioni possono discrezionalmente orientarsi in ordine all' an della assunzione, ma non invece in ordine al quomodo della stessa. In altri termini, le Amministrazioni possono valutare discrezionalmente se risponde al loro interesse, in quel determinato momento storico in cui la decisione - se del caso su sollecitazione dell'interessato - deve essere presa, far luogo alla copertura del posto (o dei posti) in pianta organica a mezzo di nuova assunzione (tanto più che la decisione non è scevra da conseguenze sul piano finanziario, ed è oggi peraltro condizionata, a seguito della introduzione del cd blocco delle assunzioni, da un procedimento di programmazione delle assunzioni e da un meccanismo di previa autorizzazione). Ma una volta che la decisione di assumere è stata assunta, l'Amministrazione è vincolata ad attingere alla graduatoria concorsuale ancora valida ed efficace, non potendo indire nuova tornata concorsuale (sempre che, si badi, vi sia piena corrispondenza tra profili professionali e non soccorrano particolari ragioni da esplicitare nella determinazione di indire comunque un nuovo concorso).

    Tale opzione si configura come la più corretta ai fini della realizzazione dell’interesse pubblico, giacché evita un’ inutile dispersione di tempo e denaro, consentendo la immediata provvista di personale già utilmente selezionato. In merito va infatti considerato che, a fronte delle spese necessarie all’esperimento di una nuova procedura concorsuale, non sussiste alcuna garanzia che i soggetti risultati idonei nella nuova selezione offrano maggiori garanzie professionali rispetto a quelli utilmente collocati nella graduatoria relativa alla precedente procedura selettiva.

    Ciò perché tra i soggetti idonei di una determinata tornata concorsuale (da una parte) e (dall'altra) i vincitori di una tornata successiva, non può porsi in linea di principio una distinzione qualitativa di tipo meritocratico (dato che non può escludersi in linea di principio che gli idonei possano aver ottenuto punteggi di merito più alti di quelli che si andrebbero ad assegnare ai futuri vincitori) e che quindi tra le distinte categorie di soggetti non può essere fatta ex ante - e cioè prima della indizione di una eventuale nuova selezione concorsuale - alcuna differenziazione fondata sul merito.

    Oltre a ciò il ricorso obbligatorio alla precedente graduatoria concorsuale ancora valida ed efficace offre maggiori garanzie in ordine alla necessaria ottemperanza ai fondamentali doveri di imparzialità e trasparenza dell'agire amministrativo, la cui effettività verrebbe messa in dubbio dalla scelta di consentire alla Amministrazione di scegliere liberamente la modalità della nuova assunzione (in particolare, tra l'utilizzazione di una graduatoria ancora valida e una nuova indizione concorsuale), tanto più che i nominativi dei soggetti idonei sono noti alla Amministrazione, di tal che la decisione di utilizzare o meno la graduatoria, se lasciata alla sua libera e non motivata determinazione, potrebbe prestarsi a condizionamenti (in positivo o in negativo) poco in linea con il principio di trasparenza.

    In questo ordine di idee si colloca la reiterata scelta del legislatore di prorogare la validità delle graduatorie concorsuale a mezzo di continui interventi normativi (soltanto alcuni dei quali sono stati dianzi richiamati), al fine evidente di consentirne la utilizzazione (e non di obliterarla), e di evitare in tal modo inutile dispersione di tempo e denaro, consentendo la immediata provvista di personale già utilmente selezionato.
     
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    È AMMESSO AL CONCORSO IL CANDIDATO CHE HA COMPIUTO GLI ANNI INDICATI MA NON I SUCCESSIVI
    Consiglio di Stato, sez.V, 5/03/2010, n. 1284

    http://www.giustizia-amministrativa.it/Doc...01001284_11.XML
     
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    tempo fa mi pare che qualcuno si chiedesse se un tatuaggio potesse dar luogo ad eslusione ad un concorso nelle forze armate...
    _______________________________________
    DEVE ESSERE AMMESSO AL CONCORSO IN POLIZIA IL CANDIDATO CON TATUAGGIO NON VISIBILE SUL CORPO.
    Se il tatuaggio non si vede il candidato può partecipare al concorso per entrare in polizia. La questione sulla quale è stato chiamato il Consiglio di Stato riguarda l'applicabilità del Dm n. 198 del 2003, laddove, nel tipizzare le cause di non idoneità per l'ammissione ai concorsi, parla di "tatuaggi sulle parti del corpo non coperte dall'uniforme, o quando, per la loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro contenuto siano indice di personalità abnorme." Il Collegio, con la sentenza n. 2950, sostiene che, anche se con il Dm n. 198, si è voluto introdurre un maggior rigore aggiungendo l'ulteriore previsione ostativa alla idoneità costituita dalla "presenza del tatuaggio sulle parti del corpo non coperte dall'uniforme", è vero anche che - laddove il tatuaggio non assuma alcuna attitudine deturpante né alcuna idoneità a costituire indice di personalità abnorme - la visibilità del tatuaggio deve presentare una certa evidenza. E' quanto non può sostenersi in questo caso in considerazione, da un lato, delle piccoli dimensioni del tatuaggio, dall'altro, della sua collocazione sulla caviglia sinistra, pertanto destinato a essere addirittura del tutto coperto dall'uniforme.


    D.M. n. 193/2003

    Consiglio di Stato - Sezione VI - Decisione 13 maggio 2010 n. 2950
     
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  14. rising_sun
     
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    Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 marzo 2011, ord. coll. n. 1839 - Pres. Coraggio - Rel. Castriota Scanderbeg



    Va rimessa all’Adunanza Plenaria la questione riguardante la posizione degli idonei in graduatoria rispetto alla determinazione della Amministrazione di far luogo a nuove assunzioni di personale nell’ambito della stessa categoria professionale.



    L’ordinanza, dopo aver dato atto della tesi dominante secondo cui la determinazione amministrativa di indizione di nuove procedure concorsuali, in quanto conforme alla regola costituzionale tracciata

    dall’art. 97 Cost., è ampiamente discrezionale, e non necessita di specifica motivazione (dovendosi semmai motivare la scelta opposto, trattandosi di deroga allo strumento concorsuale), prospetta, anche alla luce dell’evoluzione legislativa degli ultimi anni, una diversa soluzione, secondo cui, una volta assunta e specificata in termini quantitativi e qualitativi l’esigenza di far luogo a nuova provvista di personale, l’Amministrazione non potrebbe non tener conto della posizione dei soggetti che si trovano in una graduatoria ancora valida ed efficace, di tal che la determinazione di dar corso ad un nuovo bando concorsuale andrebbe specificamente motivata, ad esempio con riferimento alla esigenza di acquisire particolari professionalità, diverse da quelle possedute dai soggetti idonei (ancorchè rientranti nella medesima categoria) ed attestate, se del caso, dalla necessità di sottoporre il nuovo personale da assumere a prove d’esame diverse da quelle espletate dai soggetti idonei.

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    Consiglio di Stato

    in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

    ha pronunciato la presente

    ORDINANZA

    sul ricorso numero di registro generale 9491 del 2009, proposto dai signori Ernesto Biondo, Andrea Pagliara, Antonella Castellano, Stefania Taurino, Massimiliano D'Ambrosio e Sandra Vantaggiato, rappresentati e difesi dall'avv. Adriano Tolomeo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F. Massa in Roma, via degli Avignonesi n. 5;



    contro

    Universita' del Salento, Universita' degli Studi di Lecce, in persona dei rispettivi rappresentanti legali, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, e domiciliate in Roma, via dei Portoghesi, 12; la signora Anna Sodero, non costituita in questo grado di giudizio;

    e con l'intervento di

    ad opponendum:

    Anna Chiara Presicce, Luigina Martiriggiano, Maria Rosaria Greco, Giovanni De Benedetto, Massimiliano Viva, rappresentati e difesi dall'avv. Aldo Loiodice, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Ombrone, 12 Pal. B;

    Flora Fanizza, Daniela Guacci, Tonio Marsonofrio Renna, Donato Giuseppe Nuzzo, Silvia Federica Piccinno, Cristina Palumbo, Salvatore Miglietta, Francesca Giannuzzi, rappresentati e difesi dall'avv. Pantaleo Ernesto Bacile, con domicilio eletto presso la signora Barbara Cataldi in Roma, corso Rinascimento, 11;

    per la riforma

    della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE I n. 2574/2009, resa tra le parti, concernente le procedure selettive per la copertura di posti di categoria C presso l’Università degli studi di Lecce.



    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

    Visti gli atti di costituzione in giudizio di Universita' del Salento e della Universita' degli Studi di Lecce;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2011 il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avv. Tolomeo, l’avv. Romano per delega dell'avv. Bacile, l’avv. Vari per delega dell'avv. Loiodice e l'avvocato dello Stato Massarelli;



    1. Gli odierni appellanti hanno partecipato al concorso pubblico per titoli ed esami ad un posto di categoria C indetto dall’Università degli Studi di Lecce (oggi, Università del Salento) la cui graduatoria finale è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 23 del 24 marzo 2006; gli appellanti sono risultati idonei non vincitori, essendosi collocati in posizione non utile per l’assunzione in relazione al numero dei posti messi a concorso.

    2. L’Amministrazione universitaria ha utilizzato la graduatoria degli idonei per far luogo a nuove assunzioni di personale, senza tuttavia mai giungere ad assumere i ricorrenti. Nel 2008 l’Università ha indetto due nuove procedure concorsuali per l’assunzione di personale nella medesima categoria C : in particolare, con il D.D. n. 398 del 14 ottobre 2008 ha disposto la copertura di n. 14 posti (con una quota di posti riservati alla stabilizzazione del personale precario) e con D.D. n. 449 del 30 ottobre 2008 ha disposto la copertura di altri 3 posti, sempre di categoria C.

    3. Gli appellanti hanno impugnato in primo grado i suddetti decreti indittivi delle richiamate procedure concorsuali, nonché ogni atto connesso e susseguente rilevando la illegittimità delle determinazioni amministrative volte a sopperire alla provvista di nuovo personale, nell’ambito della medesima categoria oggetto della precedente selezione, mediante nuove procedure concorsuali anziché mediante l’utilizzazione della graduatoria ancora valida ed efficace in cui essi appellanti figuravano in posizione utile per ottenere l’assunzione (tenuto conto del numero dei posti messi complessivamente a concorso dalla Università e della posizione di graduatoria di essi ricorrenti, divenuta nel frattempo utile per ottenere l’assunzione).

    4. Si è costituita in giudizio l’Università del Salento per resistere al ricorso e per far rilevare, anzitutto, la circostanza dirimente della intervenuta scadenza della efficacia della graduatoria concorsuale ove si trovavano collocati i ricorrenti; inoltre, l’ampia discrezionalità di cui gode ogni amministrazione nel bandire nuovi concorsi, in alternativa alla scelta di attingere alla graduatoria degli idonei di pregresse tornate concorsuali.

    5. I giudici di primo grado hanno respinto il ricorso sul rilievo della inesistenza, in sede di indizione di nuovi concorsi, di un onere motivazionale puntuale a carico della Amministrazione procedente, dato che quella del concorso è la regola ordinaria (contemplata all’art. 97 della Cost.) di provvista di nuovo personale per le pubbliche amministrazioni, nello specifico rafforzata dalla esigenza di far luogo alla parziale stabilizzazione di personale precario (il concorso bandito con DD n. 398 prevedeva infatti una riserva di posti, nella misura di 8 unità, in favore dei soggetti che avessero maturato i requisiti previsti dall’art. 3, comma 94, lett. b) della legge n. 244/2007).

    6. Hanno impugnato tale sentenza gli originari ricorrenti, riproponendo le medesime questioni già prospettate senza successo dinanzi ai giudici di primo grado e censurando la sentenza resa da questi ultimi, per l’assorbente ragione secondo cui la stessa avrebbe sostanzialmente validato la obliterazione del loro interesse legittimo pretensivo ad ottenere l’assunzione, in quanto utilmente collocati ( ai fini dello scorrimento) in una graduatoria ancora valida ed efficace.

    7. Si è costituita l’Università del Salento per resistere al ricorso e per chiederne la reiezione.

    8. Si sono altresì costituiti in appello, ad opponendum, alcuni dei soggetti risultati vincitori nelle procedure concorsuali indette dall’Università a mezzo degli atti impugnati in primo grado.

    9. In esito alla udienza camerale del 11 dicembre 2009 è stata disposta la sospensione cautelare della gravata sentenza.

    10. All’udienza del 21 gennaio 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

    11. La causa pone una pluralità di questioni che vanno partitamente esaminate.

    12. Una prima, centrale, questione riguarda la validità e la efficacia della graduatoria concorsuale in cui figurano gli odierni appellanti alle date (14 e 30 ottobre 2008) in cui l’Università del Salento ha bandito nuove procedure concorsuali per la copertura di posti della medesima categoria professionale oggetto della selezione cui hanno partecipato i ricorrenti.

    Su tale questione gli argomenti in primo grado addotti dalle parti a sostegno delle loro contrapposte tesi difensive hanno riguardato l’applicazione, alla fattispecie in esame, del disposto di cui all’art. 3 della legge 244 della legge 24 dicembre 2007 che dispone testualmente che < Le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione. Sono fatti salvi i periodi di vigenza inferiori previsti da leggi regionali>.

    13. In questo grado di appello gli interventori ad opponendum hanno poi prospettato, sulla medesima questione della validità della graduatoria in cui sono collocati gli odierni appellanti, un nuovo ordine argomentativo, fondato sulla decorrenza del termine di validità della graduatoria non già dalla sua pubblicazione sebbene dalla data di approvazione (30 dicembre 2005 ) della graduatoria da parte del competente dirigente; donde la intervenuta scadenza della medesima graduatoria, avente efficacia biennale, già alla data del 30 dicembre 2007 ( e quindi prima della entrata in vigore – 1 gennaio 2008 - della legge di proroga n. 244/07).

    14. Altro profilo in punto di validità della graduatoria concorsuale in cui figurano gli appellanti è stato infine quello della applicabilità o meno ratione temporis delle previsioni della richiamata legge n. 244/07, dato che secondo l’assunto difensivo della Università tale disposizione si applicherebbe soltanto alle graduatorie approvate a decorrere dal 1 gennaio 2008 e cioè dopo la sua entrata in vigore.

    15. Ciò posto, si può passare ad esaminare la questione centrale della controversia, riguardante la posizione degli idonei in graduatoria rispetto alla determinazione della Amministrazione di far luogo a nuove assunzioni di personale nell’ambito della stessa categoria professionale.

    E in particolare ai fini della risoluzione di tale questione che la Sezione ritiene opportuno rimettere la decisione del ricorso alla adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99 del c.p.a, per una più approfondita riflessione sui punti di approdo della giurisprudenza del Consiglio di Stato nella materia, ai fini del suo eventuale superamento alla luce dei rilievi che seguono.

    16. La tesi dominante nella giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ben compendiata in una sentenza della quinta Sezione (Cons. St., sez. V, 19 novembre 2009 n. 7243) e confermata in epoca ancor più recente (Cons. St., sez.V, 18 dicembre 2009 n. 8369; Cons. St., sez. IV, 27 luglio 2010 n. 4911), è attestata nel senso di ritenere che la determinazione amministrativa di indizione di nuove procedure concorsuali, in quanto conforme alla regola costituzionale tracciata dall’art. 97 Cost., sia ampiamente discrezionale (quando non addirittura dettata da mere ragioni di opportunità, sottratte al sindacato giurisdizionale in quanto afferenti al merito amministrativo), e non necessiti di specifica motivazione; e ciò anche ove sussista una graduatoria concorsuale pregressa ancora valida ed efficace con soggetti utilmente collocati ai fini della assunzione; piuttosto è la decisione di attingere alle graduatorie che necessiterebbe, sempre secondo tale giurisprudenza, di apposita motivazione, trattandosi di deroga all’applicazione dello strumento concorsuale.

    17. In giurisprudenza si riscontra tuttavia (soprattutto presso i giudici amministrativi di primo grado e presso il giudice ordinario) altra contrapposta posizione, orientata nel senso di ritenere che, a fronte di una graduatoria valida ed efficace, l’Amministrazione ( salvo il caso che si tratti di posti di nuova istituzione in pianta organica) non potrebbe trascurare completamente, a mezzo della indizione di nuova procedura concorsuale, le posizioni dei soggetti già selezionati come idonei, quantomeno in carenza di valide ragioni giustificatrici ( cfr. ad esempio, in questo senso, Tar Sardegna, 19 ottobre 1999, n. 1228; Tribunale ordinario Roma ord. sez. lav. 3 gennaio 2001; Tar Lazio 30 gennaio 2003, n. 536; Tar Lecce, 10 ottobre 2005, n. 4452; Tar Lombardia, 15 settembre 2008, n.4073; Tar Lazio 15 settembre 2009 n. 8743; Cass. SS.UU. 29 settembre 2003 n. 14529 e 9 febbraio 2009 n. 3055, che dà conto dei due diversi orientamenti ).

    18. A parer del Collegio, dovrebbe essere in primo luogo riconsiderata la corrente affermazione, che si rinviene nella richiamata giurisprudenza amministrativa, secondo cui la utilizzazione delle graduatorie concorsuali va letta in chiave di deroga alla regola costituzionale sul concorso quale modalità ordinaria di accesso ai pubblici impieghi. Anzitutto perchè, così opinando, dovrebbe conseguentemente dubitarsi della legittimità costituzionale del persistente trend legislativo che da oltre un ventennio ha prorogato, evidentemente proprio al fine di consentirne la utilizzazione, la validità delle graduatorie concorsuali (difficilmente giustificabile sul piano della compatibilità con il principio costituzionale – contenuto nell’art.97 Cost - del concorso quale modalità ordinaria di accesso agli impieghi pubblici, stante la diffusività e persistenza temporale del fenomeno, alla luce della clausola di salvezza contenuta nell’incidentale “salvi i casi previsti dalla legge”). In secondo luogo, appare dirimente il rilievo secondo cui i candidati risultati idonei sono soggetti che risultano selezionati, in definitiva, proprio in forza del più efficiente e trasparente strumento selettivo prescelto dal legislatore costituente (il concorso, appunto); di tal che la loro assunzione postuma va vista, piuttosto che come deroga alla regola concorsuale, in chiave di scelta allocativa efficiente, conforme al principio di economicità dell’azione amministrativa (art. 1 L. 241/90).

    Ora, appare difficile pensare che la posizione dei soggetti idonei, a fronte di una legge che abbia espressamente prorogato l’efficacia della graduatoria in cui gli stessi figurano, possa essere obliterata, anche senza specifica motivazione in seno alla presupposta determina indittiva, a mezzo dell’avvio di nuova procedura concorsuale; e ciò in quanto la posizione giuridica del soggetto che ha superato le prove concorsuali e si trova collocato in graduatoria, pur se ben distinta dalla posizione del vincitore (che può contare nell’assegnazione di uno dei posti messi a concorso), ha comunque dignità e consistenza di interesse legittimo pretensivo, quantomeno dal momento in cui la Amministrazione si determina a far luogo a nuove assunzioni di personale nell’ambito della stessa categoria o profilo professionale.

    19. Il consolidato orientamento giurisprudenziale è probabilmente il portato del più risalente (e, all’epoca, corretto) approccio interpretativo al tema dello scorrimento delle graduatorie, fondato sul Testo unico degli impiegati civili dello stato ( in particolare, art. 8 T.U. n. 3 del 1957) che, anche nella formulazione letterale (….”l’Amministrazione ha facoltà di….”), lasciava effettivamente intendere che la Amministrazione avesse ampia discrezionalità nel decidere di dar corso alla chiamata degli idonei, peraltro limitatamente ai posti resisi vacanti fino alla approvazione della graduatoria ovvero, anche nei due anni successivi, ma solo nei casi di rinuncia, decadenza o dimissioni dei vincitori.

    Tuttavia, tale approccio interpretativo, corretto se inserito negli stretti margini fissati dal pregresso quadro normativo d’insieme per il conferimento dei posti agli idonei, appare poco coerente con il nuovo contesto normativo, caratterizzato: a) dalla persistente adozione di una pluralità di disposizioni legislative, contenute generalmente nel corpo di leggi finanziarie che si sono succedute nel tempo a partire dagli inizi degli anni ’80 volte a conferire ultrattività alle graduatorie concorsuali, prorogandone di volta in volta l’efficacia ovvero sospendendone i termini di validità (solo per citare le più salienti: L. 207/85, art.9, comma 15; L. 537/93, art. 3, comma 22; L. 724/94, art.22, comma 8; L. 662/96 art.41, comma 47; L. 488/99, art.20, comma 3; L. 289/02, art.34, comma 12; L. 350/03, art.3, comma 61; L. 311/04, art.1, comma 98; per non dire delle tante leggi regionali che hanno disposto nello stesso senso, e della regola generale rifluita nel Regolamento generale relativo ai concorsi pubblici, contenuta nell’art. 15, comma 7, d.P.R. 487/94);

    b) dalla insussistenza di condizioni legali limitative la chiamata degli idonei (salvo che per la natura dei posti da conferire, la cui istituzione non deve essere successiva alla tornata concorsuale cui ha partecipato il soggetto risultato idoneo);

    c) dalla formulazione delle disposizioni in termini letterali tali da escludere (stante l’uso corrente dell’indicativo presente) che l’utilizzazione della graduatoria degli idonei possa rientrare nell’ambito delle mere facoltà dell’Amministrazione che intenda far luogo alla copertura di posti divenuti disponibili, a fronte di una sempre più rigida attenzione del legislatore ai profili del contenimento della spesa pubblica ed alla limitazione del turn over del personale.

    20. Il punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze potrebbe essere raggiunto ove si riconoscesse alla Amministrazione procedente una discrezionalità piena e ampia nella determinazione afferente i profili dell’an e del quantum dell’assunzione, ma se ne restringesse significativamente la discrezionalità sul quomodo, quante volte vi siano graduatorie con soggetti utilmente selezionati pronti a soddisfare la specifica esigenza di provvista di nuovo personale fatta palese dalla Amministrazione nella determinazione propedeutica alla copertura dei posti disponibili. In altri termini, una volta assunta e specificata in termini quantitativi e qualitativi l’esigenza di far luogo a nuova provvista di personale, la Amministrazione non potrebbe non tener conto della posizione dei soggetti che si trovano in una graduatoria ancora valida ed efficace, di tal che la determinazione di dar corso ad un nuovo bando concorsuale andrebbe specificamente motivata, ad esempio con riferimento alla esigenza di acquisire particolari professionalità, diverse da quelle possedute dai soggetti idonei (ancorchè rientranti nella medesima categoria) ed attestate, se del caso, dalla necessità di sottoporre il nuovo personale da assumere a prove d’esame diverse da quelle espletate dai soggetti idonei.

    21. Da ultimo, non appare superfluo rilevare, ancora sul piano generale, che l’opzione di riconnettere una discrezionalità limitata alla amministrazione circa le modalità dell’assunzione, una volta che la stessa a tanto si sia determinata, appare maggiormente rispondente ai principi costituzionali dell’azione amministrativa, sotto il profilo che il restringimento della discrezionalità amministrativa in tal modo operato sul quomodo delle assunzioni, in presenza di graduatorie valide ed efficaci, diventa un presidio sicuro contro il rischio di prassi che potrebbero risultare poco osservanti del buon andamento e dell’imparzialità amministrativa (art. 97), se si considera che i nominativi dei soggetti in graduatoria sono ben noti a tutti, sicchè potrebbe indebitamente interferire sulla decisione di utilizzare o meno la graduatoria (ove l’amministrazione avesse mano libera in tal senso) il maggiore o minore <gradimento> che i soggetti che vi si trovano incontrano presso l’ente che deve provvedere all’assunzione.

    22. In definitiva, poiché la controversia in oggetto suppone la soluzione della questione di massima dianzi prospettata, sulla quale è auspicabile un ripensamento del consolidato approccio interpretativo di questo Consiglio di Stato, la Sezione ritiene opportuno rimetterne l’esame alla adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99 c.p.a..

    23. Naturalmente, la rimessione comporta l’affidamento all’esame dell’adunanza plenaria di tutte le questioni anticipate all’inizio, nonché di quella “di fatto” sollevata in appello dall’Università secondo cui il personale da assumere a mezzo delle nuove tornate concorsuali avrebbe una professionalità diversa da quella degli odierni appellanti.

    24. Le spese di lite saranno liquidate con la decisione che definirà il merito della causa.

    P.Q.M.

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta);

    visto l’art. 99 c.p.a;

    rimette all’adunanza plenaria l’esame dell’appello n. 9491 del 2009, per le ragioni indicate in motivazione.

    Spese al definitivo.

    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:

    Giancarlo Coraggio, Presidente

    Maurizio Meschino, Consigliere

    Bruno Rosario Polito, Consigliere

    Claudio Contessa, Consigliere

    Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore
     
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  15. rising_sun
     
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    User deleted


    CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA, 28 luglio 2011, n. 14

    In presenza di graduatorie concorsuali valide ed efficaci, l'amministrazione, se stabilisce di provvedere alla copertura dei posti vacanti, deve motivare la determinazione riguardante le modalità di reclutamento del personale, anche qualora scelga l'indizione di un nuovo concorso, in luogo dello scorrimento delle graduatorie vigenti.


    28 LUGLIO 2011 - ADUNANZA PLENARIA CONSIGLIO DI STATO - NR.14 DEL 28 LUGLIO 2011

    PUBBLICO IMPIEGO - INDIZIONE DI UN NUOVO CONCORSO - IN PRESENZA DI GRADUATORIA VALIDA ED EFFICACE PER IL MEDESIMO PROFILO MESSO A CONCORSO - VA MOTIVATA - MANCANZA DI MOTIVAZIONE - ILLEGITTIMITA'



    N. 00014/2011REG.PROV.COLL.

    N. 00031/2011 REG.RIC.A.P.

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Consiglio di Stato

    in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso n. 31 dell’Adunanza Plenaria del 2011, proposto da:
    Ernesto Biondo, Andrea Pagliara, Antonella Castellano, Stefania Taurino, Massimiliano D'Ambrosio, Sandra Vantaggiato, rappresentati e difesi dall'Avv. Adriano Tolomeo, con domicilio eletto presso F. Massa, in Roma, via degli Avignonesi n. 5;

    contro

    Università del Salento, Università degli Studi di Lecce, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
    Anna Sodero;

    e con l'intervento di

    ad opponendum:
    Anna Chiara Presicce, Luigina Martiriggiano, Maria Rosaria Greco, Giovanni De Benedetto, Massimiliano Viva, rappresentati e difesi dall'avv. Aldo Loiodice, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Ombrone, 12 Pal. B;
    Flora Fanizza, Daniela Guacci, Tonio Marsonofrio Renna, Donato Giuseppe Nuzzo, Silvia Federica Piccinno, Cristina Palumbo, Salvatore Miglietta, Francesca Giannuzzi, rappresentati e difesi dall'avv. Pantaleo Ernesto Bacile, con domicilio eletto presso Barbara Cataldi in Roma, corso Rinascimento, 11;

    per la riforma

    della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sezione Staccata di Lecce, Sezione I, n. 2574/2009.






    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 luglio 2011 il Cons. Marco Lipari e uditi per le parti gli avvocati Tolomeo, dello Stato Basilica, Isabella Loiodice per delega di Aldo Loiodice, e Bacile;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.






    FATTO e DIRITTO

    1. Gli attuali appellanti, ricorrenti in primo grado, hanno partecipato al concorso pubblico, per titoli ed esami, diretto alla copertura di un posto di categoria C, presso la Direzione amministrativa dell’Università degli Studi di Lecce, poi trasformata in “Università del Salento”, bandito con decreto dirigenziale n. 84 del 31 dicembre 2002.

    La graduatoria del concorso è stata approvata con decreto del 28 dicembre 2005 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 24 del 23 marzo 2006.

    I ricorrenti sono risultati idonei, ma non vincitori, in quanto collocati, rispettivamente, ai numeri 31, 32, 35, 36, 37 e 39 della graduatoria.

    2. Con decreto del Rettore n. 2464 del 14 novembre 2006, l’Università ha proceduto allo “scorrimento” della graduatoria, assumendo 24 unità di personale, fino al 26° posto dell’elenco degli idonei.

    L’amministrazione universitaria, poi, ha ripetutamente utilizzato la graduatoria, per individuare i soggetti ai quali conferire diversi incarichi di collaborazione continuativa e coordinata.

    3. In seguito, l’Università del Salento, nell’ambito della programmazione triennale delle assunzioni, ha stabilito di avviare due nuove procedure concorsuali per il reclutamento di personale di categoria C, a tempo determinato e a tempo indeterminato.

    In particolare, con decreto del 14 ottobre 2008, n. 398, il direttore amministrativo dell’Università ha indetto una selezione pubblica per titoli ed esami, volta all’assunzione a tempo determinato di 14 unità di personale tecnico amministrativo di categoria C dell’area amministrativa, di cui 8 posti riservati in favore del personale precario, per le esigenze temporanee ed eccezionali dell’amministrazione.

    Quindi, con decreto n. 449 del 30 ottobre 2008, n. 449, l’Università ha bandito una “selezione pubblica, per titoli ed esami, volta all’assunzione a tempo indeterminato di 3 unità di personale tecnico amministrativo di categoria C dell’Area amministrativa, per le esigenze funzionali delle Segreterie della Facoltà di Ingegneria Industriale e dei Corsi di Laurea Magistrale ed Interfacoltà (sede di Brindisi) e della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università del Salento”, evidenziando, espressamente, “in relazione alla specifica professionalità richiesta, l’inesistenza di graduatorie utili di selezioni già espletate”.

    4. Gli appellanti, nella loro qualità di candidati idonei, ma non vincitori, della selezione bandita nel 2002, hanno contestato tutte le determinazioni adottate dall’amministrazione riguardanti l’indizione delle nuove procedure concorsuali, deducendo che l’Università, per la copertura dei posti vacanti, avrebbe dovuto prioritariamente utilizzare le preesistenti graduatorie, in doverosa applicazione dell’articolo 35, comma 5 – ter, del Testo unico del pubblico impiego di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, introdotto dalla legge n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008).

    Hanno prospettato, poi, i vizi di eccesso di potere e di difetto di motivazione, asserendo che gli atti impugnati non avevano dato conto né delle ragioni giustificatrici della preferenza accordata al reclutamento mediante due nuovi concorsi, né del sacrificio imposto alle loro aspettative legittime.

    5. Il TAR ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti, svolgendo un’ampia motivazione, incentrata sui seguenti punti:

    I) Il legislatore ordinario ha una elevatissima discrezionalità nella individuazione dei contesti in cui la regola del concorso “può cedere il posto a diversa procedura di reclutamento del personale”.

    II) Ciò può avvenire “quando particolarissime esigenze di politica sociale e di raffreddamento di tensioni provocatasi all’interno di determinate categorie impongano di abbandonare il criterio principale, in favore di una procedura più snella e forse meno garantita, ma pur sempre conforme a Costituzione.” La procedura di stabilizzazione del personale precario, contemplata dalle leggi n. 296/2006 e n. 244/2007, “si muove in questa ottica”.

    III) Occorre comunque verificare il “ragionevole temperamento degli interessi di cui appaiono portatori i dipendenti che hanno una aspettativa giuridicamente rilevante alla stabilizzazione, e coloro che hanno un interesse di segno opposto a far rispettare altre regole che pure caratterizzano la materia”. Detta “ponderazione comparativa di interessi in gioco deve essere effettuata dalla pubblica amministrazione, perché, un volta consumatasi la discrezionalità del legislatore, rimane pur sempre un ambito in cui la riserva di amministrazione deve poter operare.”

    IV) In concreto, va considerato che “al momento della indizione delle procedure di reclutamento impugnate, la validità della graduatoria (circoscritta in 24 mesi) era spirata, con considerevole affievolimento della posizione soggettiva dei ricorrenti a prevalere sia rispetto al personale da stabilizzare, sia in rapporto a coloro ai quali è stata riservata una quota dei posti messi a concorso”.

    V) Pertanto, “non è irragionevole e non merita accoglimento la censura di eccesso di potere la scelta dell’amministrazione universitaria la quale, invece di utilizzare lo scorrimento di una graduatoria divenuta inefficace per decorso del tempo, decida di soddisfare il fabbisogno di personale riservando una parte di posti da coprire a personale precario da stabilizzare, e una parte degli stessi posti indicendo apposita procedura concorsuale, dando contestualmente atto della insussistenza di graduatorie valide da utilizzare con scorrimento”.

    6. Con l’appello, i ricorrenti hanno riproposto e sviluppato le censure articolate in primo grado, criticando la decisione di rigetto.

    L’amministrazione ha resistito al gravame, prospettando numerose eccezioni preliminari.

    In questo grado di giudizio, con due separati atti, sono intervenuti, ad opponendum, alcuni dei soggetti vincitori o risultati idonei nelle due contestate procedure concorsuali.

    7. Con ordinanza n. 6145 del 14 dicembre 2009, la Sesta Sezione ha sospeso l’efficacia della sentenza, ritenendo che “il ricorso in appello evidenzia profili di fondatezza nella parte in cui censura la interpretazione dell’articolo 3, comma 87, della legge n. 244/2007 (implicitamente) operata dal Tar e prima ancora dall’Università appellata, secondo cui tale disposizione (che reca un nuovo termine di durata delle graduatorie concorsuali) si applicherebbe soltanto alle graduatorie approvate successivamente all’entrata in vigore della legge e non invece (come sembra più corretto ritenere) a tutte le graduatorie ancora vigenti all’atto della sua entrata in vigore.”

    8. Con l’ordinanza n. 1839/2011, la Sesta Sezione ha deferito l’esame del ricorso all’Adunanza Plenaria, prospettando le seguenti questioni interpretative:

    a) la validità e l’efficacia della graduatoria concorsuale in cui figurano gli attuali appellanti, alle date (14 e 30 ottobre 2008), nelle quali l’Università del Salento ha bandito le due nuove procedure concorsuali per la copertura di posti della medesima categoria professionale oggetto della selezione cui hanno partecipato i ricorrenti;

    b) la “applicabilità o meno, ratione temporis, delle previsioni della richiamata legge n. 244/07, dato che, secondo l’assunto difensivo della Università, tale disposizione si applicherebbe soltanto alle graduatorie approvate a decorrere dal 1 gennaio 2008 e cioè dopo la sua entrata in vigore”;

    c) la posizione degli idonei in graduatoria rispetto alla determinazione della amministrazione di far luogo a nuove assunzioni di personale nell’ambito della stessa categoria professionale, con specifico riguardo alla sussistenza e all’ampiezza dell’obbligo di motivazione della decisione con cui l’amministrazione stabilisce di indire un nuovo concorso, pur in presenza di graduatorie degli idonei ancora valide ed efficaci.

    9. L’Adunanza Plenaria deve esaminare prioritariamente le eccezioni preliminari sollevate dall’amministrazione resistente e dagli interventori in opposizione.

    Anzitutto, si eccepisce l’inammissibilità e l’improcedibilità dell’appello, in base all’assunto secondo cui i ricorrenti, anche in caso di accoglimento della domanda di annullamento dei contestati bandi di concorso, non si troverebbero in posizione utile per conseguire l’assunzione a tempo indeterminato, tramite la procedura di scorrimento della graduatoria approvata il 28 dicembre 2005.

    Al riguardo, l’amministrazione appellata sottolinea che i ricorrenti sono collocati soltanto tra il 31° e il 39° posto della graduatoria, mentre le tre posizioni utili per l’eventuale scorrimento partono già dal 26°.

    10. L’eccezione è priva di pregio.

    È vero che gli appellanti non figurano, attualmente, come i soggetti i quali potrebbero essere assunti immediatamente, a tempo indeterminato, attraverso la procedura di scorrimento. Ma resta comunque intatto il loro interesse all’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di utilizzare la precedente graduatoria, tenendo conto della possibilità, non irragionevole, di rinunce da parte dei concorrrenti idonei collocati in migliore posizione nella classifica.

    Né può negarsi rilievo all’ulteriore interesse dei ricorrenti al conferimento di nuovi incarichi di collaborazione temporanea, tenendo conto della circostanza che l’amministrazione, secondo una propria autonoma valutazione, ha più volte proceduto mediante l’utilizzazione della graduatoria, indipendentemente dalla verifica della sua effettiva vigenza.

    In ogni caso, poi, assume rilievo determinante la circostanza che gli appellanti si trovano in posizione certamente utile per aspirare alla immediata assunzione a tempo determinato, in relazione alla procedura concorsuale per 14 posti, bandita con decreto dirigenziale del 14 ottobre 2008, n. 398.

    11. Non è condivisibile, poi, l’ulteriore eccezione prospettata dall’amministrazione, la quale osserva che, nelle more del giudizio, è ormai trascorso un triennio dalla pubblicazione della graduatoria. Pertanto, a suo dire, anche accogliendo la tesi difensiva dei ricorrenti, in caso di annullamento delle procedure concorsuali impugnate in primo grado, gli appellanti non potrebbero ottenere l’assunzione in servizio, perché la graduatoria ha definitivamente perduto la propria efficacia, quanto meno dal 23 marzo 2009.

    È sufficiente osservare che l’eventuale annullamento delle procedure concorsuali impugnate in primo grado avrebbe portata pienamente retroattiva, determinando l’obbligo dell’amministrazione di rideterminarsi, ora per allora, sulle corrette modalità di reclutamento del personale.

    12. Né è esatta la tesi affermata dall’Università appellata, secondo la quale, in caso di annullamento, l’amministrazione potrebbe limitarsi a reiterare la decisione di indizione dei concorsi, solo arricchendola di un più ampio corredo motivazionale.

    Infatti, la domanda proposta dagli appellanti mira, in via principale, ad accertare la fondatezza della pretesa allo scorrimento della graduatoria e l’illegittimità degli atti di indizione del concorso e, solo in via subordinata, intende stigmatizzare l’inadeguatezza dell’istruttoria e della valutazione comparativa degli interessi coinvolti nella presente vicenda.

    Ne consegue che sussiste, tuttora, l’interesse alla decisione di merito sulle censure formulate dagli appellanti.

    13. Ciò chiarito, il collegio ritiene opportuno esaminare, congiuntamente, le due prime questioni prospettate dall’ordinanza di deferimento all’Adunanza Plenaria, concernenti la perdurante vigenza della graduatoria approvata nel dicembre 2005 e l’ambito temporale di operatività della disciplina che ha fissato in tre anni, decorrenti dalla pubblicazione, il periodo di efficacia delle graduatorie concorsuali.

    L’amministrazione sostiene, gradatamente, due distinti argomenti, corrispondenti alle questioni deferite dalla Sesta Sezione:

    a) in linea di diritto, la disciplina concernente l’efficacia triennale delle graduatorie concorsuali, decorrente dalla loro pubblicazione, contenuta nell’articolo 35, comma 5 – ter, del Testo unico del pubblico impiego, introdotta dalla legge n. 244/2007, si applica, solo per il futuro, alle procedure concorsuali bandite, o quanto meno concluse, dopo la sua entrata in vigore (1 gennaio 2008); pertanto, non potrebbe operare nella presente vicenda;

    b) in ogni caso, la nuova disciplina legislativa potrebbe riguardare solo le graduatorie ancora efficaci al momento della sua entrata in vigore; in punto di fatto, la vigenza della graduatoria approvata nel dicembre 2005 deve ritenersi già scaduta in data 28 dicembre 2007, in applicazione della normativa regolamentare adottata dall’Università del Salento; né essa potrebbe rivivere in dipendenza di una disciplina entrata in vigore in epoca successiva (1 gennaio 2008).

    14. Il collegio ritiene che la tesi esposta alla lettera a) sia priva di pregio, mentre risulta pienamente condivisibile l’argomento espresso alla lettera b).

    L’articolo 3, comma 87, della legge 24 dicembre 2007 n. 244, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)”, ha aggiunto, all’articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il comma 5 – ter, in forza del quale “Le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione. Sono fatti salvi i periodi di vigenza inferiori previsti da leggi regionali”.

    La nuova disciplina è entrata in vigore il 1 gennaio 2008, ossia in epoca sicuramente successiva tanto all’avvio quanto alla conclusione del procedimento concorsuale in cui gli attuali appellanti sono stati collocati nella graduatoria degli idonei, posto che gli atti della procedura concorsuale sono stati approvati con decreto del 28 dicembre 2005, pubblicato il 23 marzo 2006.

    A dire dell’amministrazione appellata e degli interventori ad opponendum, la nuova disciplina sarebbe applicabile solo alle procedure concorsuali bandite, o quanto meno concluse, dopo la data di entrata in vigore della legge n. 244/2007 (1 gennaio 2008).

    15. La tesi difensiva in esame non merita condivisione.

    La formulazione letterale della disposizione è incentrata sulla determinazione dell’ambito temporale di durata di un effetto giuridico, costituito dalla “vigenza” delle graduatorie di concorso.

    Il presupposto applicativo della norma, quindi, è rappresentato dalla esistenza di una graduatoria, cui collegare la conseguenza giuridica della efficacia triennale.

    La formula letterale “rimangono vigenti” lascia chiaramente intendere che l’effetto giuridico è direttamente collegato al presupposto fattuale della formazione di una graduatoria, mentre non rileva la circostanza che essa sia stata realizzata nell’ambito di procedimenti iniziati, o anche semplicemente conclusi, prima della sua entrata in vigore.

    Va considerato, poi, che sul piano delle finalità perseguite, la disciplina in esame è coerente con l’univoca tendenza legislativa degli ultimi anni, che ha più volte introdotto disposizioni esplicitamente dirette a stabilire la proroga dell’efficacia delle graduatorie concorsuali preesistenti.

    16. L’intervento normativo del 2007 abbandona la struttura formale della disciplina di mera proroga, a carattere contingente, e si caratterizza per alcuni elementi di novità:

    - è definitivamente confermato che la vigenza delle graduatorie, ora determinata in tre anni, decorrenti dalla pubblicazione, è un istituto ordinario (“a regime”) delle procedure di reclutamento del personale pubblico, disciplinato da una fonte di rango legislativo e non più dal solo regolamento generale dei concorsi (D.P.R. n. 487/1994);

    - l’ambito oggettivo di applicazione dell’istituto generale dello “scorrimento” è riferito, indistintamente, a tutte le amministrazioni, senza limitazioni di carattere soggettivo od oggettivo.

    Fermi restando questi importanti profili innovativi, tuttavia, la disciplina, per la sua ratio e per la sua formulazione letterale, va estesa anche alle procedure concorsuali svolte in epoca precedente alla sua entrata in vigore.

    17. Peraltro, l’ambito temporale di operatività della nuova disciplina deve essere riferito alle sole graduatorie che risultino valide ed efficaci, a partire dal momento di entrata in vigore della legge n. 244/2007.

    Non vi sono ragioni sistematiche o lessicali tali da far ritenere, invece, che la disposizione possa realizzare la piena reviviscenza di graduatorie che hanno definitivamente perso la loro efficacia.

    Nel caso di specie, al momento di entrata in vigore della nuova disciplina, l’efficacia della graduatoria, approvata nel dicembre 2005, era già venuta meno, in applicazione delle specifiche previsioni contenute nel regolamento dell’Università, approvato con deliberazione del Consiglio di amministrazione del 30 ottobre 2001 e poi modificato con decreto rettorale n. 2658 del 31 dicembre 2003 (“Regolamento recante disposizioni sui procedimenti di selezione per l’accesso all’impiego a tempo indeterminato nell’Università degli Studi di Lecce nelle categorie del personale tecnico e amministrativo e sui procedimenti per la progressione verticale nel sistema di classificazione”).

    Secondo l’articolo 7, “l’Amministrazione si riserva la possibilità, nel rispetto dell’equilibrio finanziario del bilancio e dei principi di una corretta ed efficiente gestione delle risorse economiche ed umane, di utilizzare le graduatorie di merito per un periodo non superiore a 24 mesi dalla data di approvazione delle stesse, al fine di costituire ulteriori rapporti di lavoro a tempo indeterminato.”

    La graduatoria del concorso è stata approvata con decreto del direttore amministrativo n. 681 del 30 dicembre 2005. Pertanto, la sua vigenza è scaduta il 30 dicembre 2007, in epoca anteriore, sia pure soltanto per due giorni, all’entrata in vigore della legge finanziaria per il 2008 (1 gennaio 2008).

    18. Contrariamente a quanto ritenuto dagli appellanti, la disciplina regolamentare dell’Università non è stata intaccata dalle altre disposizioni legislative, succedutesi nel tempo, che hanno previsto la proroga dell’efficacia delle graduatorie concorsuali.

    Infatti, le norme invocate dagli appellanti escludono dal proprio raggio di applicazione le Università.

    Né potrebbe avere rilievo la previsione contenuta nel’articolo 5 della legge 14/2009, che ha prorogato al 31 dicembre 2009 la validità di tutte le graduatorie approvate successivamente al 31 dicembre 1999, poiché la norma è applicabile solo alle graduatorie ancora efficaci al momento della entrata in vigore della nuova disciplina.

    19. Va superata l’obiezione degli appellanti, secondo i quali l’aspetto della vicenda concernente l’intervenuta scadenza della graduatoria non potrebbe essere esaminato in questa fase di appello. Infatti:

    a) la sentenza impugnata ha compiuto un esplicito riferimento alla durata biennale della graduatoria, ancorché non abbia analiticamente enunciato che il termine decorre dall’atto di approvazione, anziché da quello di pubblicazione;

    b) non rileva la circostanza che l’amministrazione universitaria, in primo grado, abbia incentrato le proprie difese principali su due argomenti diversi, diretti a sostenere la prevalenza delle procedure di stabilizzazione rispetto allo scorrimento della graduatoria, nonché sulla inapplicabilità della nuova disciplina alle procedure di gara bandite prima della sua entrata in vigore;

    c) la questione riguardante l’intervenuta cessazione di efficacia della graduatoria deve essere qualificata come mera difesa e non già come domanda o eccezione in senso stretto e, pertanto, potrebbe essere comunque ritualmente prospettata per la prima volta in grado di appello, tenendo conto che il suo esame non comporta l’acquisizione di ulteriori elementi istruttori e probatori.

    20. Va escluso, quindi, che sul punto relativo alla determinazione del periodo di vigenza della graduatoria, secondo la disciplina regolamentare dell’Ateneo, si sia formato un “giudicato interno”, favorevole alla tesi degli appellanti.

    D’altro canto, in questo grado di giudizio, deve essere garantito il diritto di difesa degli interventori ad opponendum, i quali hanno particolarmente insistito sulla scadenza della graduatoria. Né la loro posizione potrebbe essere pregiudicata da una sentenza pronunciata all’esito di un procedimento di primo grado, al quale sono rimasti estranei.

    21. Ne deriva che la sentenza impugnata ha correttamente respinto il ricorso, perché, al momento di indizione dei concorsi impugnati, l’amministrazione non poteva più attingere a graduatorie efficaci.

    22. Le esposte considerazioni sono pienamente idonee a determinare la definitiva soluzione del presente giudizio, con il conseguente rigetto dell’appello.

    Tuttavia, l’Adunanza Plenaria ritiene necessario svolgere l’esame della terza e più complessa questione prospettata dall’ordinanza di rinvio, al fine di enunciare i pertinenti principi di diritto, nell’interesse della legge, ai sensi dell’articolo 99, comma 5, del codice del processo amministrativo.

    Si tratta, all’evidenza, di una problematica di particolare importanza, che ha dato luogo a contrasti giurisprudenziali.

    23. Sul piano letterale, l’articolo 99, comma 5, prevede che l’Adunanza Plenaria possa esprimere il principio di diritto nell’interesse della legge “anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l’estinzione del giudizio”.

    La disposizione manifesta, in senso più ampio, l’intento del legislatore di consentire l’esercizio del potere nomofilattico dell’Adunanza Plenaria anche nei casi in cui l’esito della controversia prescinda, in concreto, dalla soluzione delle questioni di diritto deferitele.

    Detta facoltà sussiste, quindi, sia nelle ipotesi in cui la pronuncia assume contenuto meramente processuale, sia nelle eventualità in cui la decisione incide sul merito della controversia, ma si incentra su un tema logicamente pregiudiziale rispetto a quello oggetto del deferimento.

    24. La questione proposta consiste nello stabilire quale sia il rapporto tra due diverse modalità di reclutamento del personale pubblico:

    a) la utilizzazione dei candidati idonei, collocati in graduatorie concorsuali ancora efficaci, attraverso il meccanismo dello “scorrimento”;

    b) la indizione di un nuovo concorso.

    In particolare, occorre determinare se, in presenza di graduatorie concorsuali valide ed efficaci, la decisione con cui l’amministrazione avvia una nuova procedura selettiva debba essere sorretta da una puntuale e approfondita motivazione, volta a illustrare le ragioni della scelta e a giustificare il sacrificio delle posizioni giuridiche dei soggetti idonei.

    25. L’ordinanza di rinvio compie un’analitica ricognizione delle opinioni espresse dalla giurisprudenza, evidenziando l’esistenza di due principali orientamenti interpretativi contrapposti, ai quali si affiancano, comunque, ulteriori indirizzi ermeneutici.

    a) Una prima tesi, definita “tradizionale”, sostiene che l’indizione di un nuovo concorso, anche in presenza di graduatorie valide ed efficaci, costituisca sempre la regola, ritenuta di diretta derivazione costituzionale, e, pertanto, non debba essere corredata da alcuna specifica motivazione.

    b) Secondo una variante “estrema” della prima impostazione, la determinazione riguardante l’indizione di un nuovo concorso non solo non richiederebbe alcuna motivazione, ma costituirebbe una tipica scelta di “merito amministrativo”, insindacabile in sede giurisdizionale, salva l’allegazione di “macroscopici” vizi.

    c) La tesi opposta, tuttora minoritaria ed emersa più recentemente, ritiene, al contrario che, in ogni caso, anche la determinazione di indizione di un nuovo concorso, al pari di tutti gli atti amministrativi costituenti l’esito di una scelta fra più alternative, debba essere adeguatamente motivata, pure con riguardo alla valutazione degli interessi dei candidati idonei collocati in graduatorie ancora efficaci.

    d) Un ulteriore sviluppo di questa corrente interpretativa è nel senso che l’utilizzazione delle graduatorie vigenti costituisca, ormai, la regola ordinaria di reclutamento del personale, non necessitante di apposita ed esplicita giustificazione, mentre l’indizione del concorso rappresenti l’eccezione; pertanto, l’obbligo di esporre un’approfondita motivazione sussiste soltanto qualora l’amministrazione ritenga di indire una nuova procedura concorsuale.

    e) In questo ambito, è anche affiorata un’opinione più “radicale”, secondo cui non solo vi sarebbe una preferenza assoluta per lo scorrimento rispetto all’indizione del nuovo concorso, ma, una volta verificatasi la vacanza del posto, l’amministrazione sarebbe sempre incondizionatamente vincolata a coprirlo, utilizzando la graduatoria efficace.

    26. La tesi finora dominante in giurisprudenza (tra le ultime: Consiglio di Stato, V Sezione, 19 novembre 2009, n. 743; V, 19 novembre 2009, n. 8369; IV, 27 luglio 2010 n. 4911) ritiene che la determinazione amministrativa di indizione di nuove procedure concorsuali, anche in presenza di graduatorie efficaci sia ampiamente discrezionale e non necessiti di alcuna specifica motivazione, poiché conforme alla regola tracciata dall’articolo 97 della Costituzione.

    In questo senso, secondo Cons. Stato, V, 25 giugno 2010 n. 4072, le norme riguardanti l’utilizzabilità delle graduatorie e, in particolare, gli artt. 15 d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 e 22, comma 8, l. 24 dicembre 1994, n. 724 non riconoscono agli idonei dei concorsi pubblici alcun diritto ad essere immessi in ruolo, ma si limitano ad attribuire all'Amministrazione, in alternativa allo svolgimento della procedura concorsuale ordinaria, la facoltà di procedere allo scorrimento delle graduatorie ancora valide di concorsi già indetti, in modo da poter conferire agli idonei i posti non coperti dopo la chiamata dei vincitori, ovvero "medio tempore" resisi disponibili, nei limiti della pianta organica; tali disposizioni, dunque, sono rivolte esclusivamente all'Amministrazione, proponendosi la finalità di agevolare, in nome del principio di economicità dell'azione amministrativa, il reperimento della provvista del personale, senza far ricorso all'ordinario concorso ma senza qualificare o differenziare la posizione degli idonei rispetto ad altri dipendenti, che aspirino agli stessi posti.

    Analogamente, a giudizio di Cons. Stato, Sez. IV, 16 giugno 2011, n. 3660, la nomina di idonei nei posti vacanti costituisce una facoltà e non un obbligo per l'amministrazione, trattandosi di un potere che rientra, di norma, nella discrezionalità dell'Ente, fatte salve situazioni particolari in cui il legislatore abbia espressamente disposto l'obbligo per l'Amministrazione di procedere allo scorrimento della graduatoria.

    27. In qualche occasione, questo filone ermeneutico si è spinto fino all’affermazione più radicale, secondo la quale la decisione di bandire un nuovo concorso potrebbe essere dettata, in ultima analisi, anche da mere ragioni di opportunità, sottratte al sindacato giurisdizionale, in quanto afferenti al merito amministrativo, salva la sussistenza di macroscopici vizi di eccesso di potere per illogicità e travisamento dei fatti, arbitrarietà, irrazionalità, irragionevolezza (Cons. Stato, Sez. IV, 27-07-2010, n. 4910; T.A.R. Lazio Roma, Sez. II ter, 11-04-2011, n. 3184).

    In questa prospettiva, soltanto la decisione di attingere alle graduatorie concorsuali valide ed efficaci necessita di un’apposita motivazione, in quanto costituirebbe una deroga al principio costituzionale del concorso.

    28. Il diverso e opposto indirizzo interpretativo, invece, sostiene che l’amministrazione debba sempre motivare la determinazione di indire un nuovo concorso, dando conto, fra l’altro, delle ragioni dei soggetti utilmente collocati in graduatoria e del sacrificio loro imposto.

    In tal senso si pone, fra le ultime, la decisione della V Sezione, 4 marzo 2011 n. 1395 (la quale richiama Cons. Stato, sez. VI, 19 febbraio 2010, n. 668), secondo cui è illegittima la delibera con la quale una P.A. indice un concorso pubblico, piuttosto che utilizzare una graduatoria di un precedente concorso per la copertura dei posti banditi, nel caso in cui la stessa graduatoria sia stata in precedenza utilizzata per la copertura di altri posti e la scelta di procedere per gli ulteriori posti con un nuovo concorso non trovi alcuna ragionevole giustificazione, ponendosi in contrasto con il già avvenuto utilizzo della graduatoria.

    29. Analogo indirizzo è manifestato dalla giurisprudenza secondo cui, a fronte di una graduatoria valida ed efficace, l’Amministrazione (salvo il caso che si tratti di posti di nuova istituzione in pianta organica) non potrebbe trascurare completamente, a mezzo della indizione di nuova procedura concorsuale, le posizioni dei soggetti già selezionati come idonei, quantomeno in carenza di valide ragioni giustificatrici (Tar Sardegna, 19 ottobre 1999, n. 1228; Tribunale ordinario Roma ord. sez. lav. 3 gennaio 2001; Tar Lazio 30 gennaio 2003, n. 536; Tar Lecce, 10 ottobre 2005, n. 4452; Tar Lombardia, 15 settembre 2008, n.4073; Tar Lazio 15 settembre 2009 n. 8743; Cass. SS.UU. 29 settembre 2003 n. 14529 e 9 febbraio 2009 n. 3055).

    30. L’ordinanza di deferimento alla Plenaria aderisce, in sostanza, a tale secondo orientamento, esponendo molteplici argomenti di carattere letterale, logico e sistematico.

    Semmai, prosegue l’ordinanza (sia pure in termini più dubitativi), proprio l’opzione di procedere mediante lo scorrimento della graduatoria potrebbe rappresentare la regola e non richiedere alcuna particolare giustificazione, incentrata sulla valutazione comparativa degli interessi coinvolti nella decisione.

    Secondo la pronuncia, nel processo decisionale adottato per la copertura dei posti vacanti, vanno distinte due fasi logiche, caratterizzate da una crescente restrizione del potere valutativo spettante all’amministrazione.

    a) La determinazione relativa all’an della copertura del posto vacante ha contenuto ampiamente discrezionale, in quanto riconducibile al novero delle scelte organizzative di pertinenza del soggetto pubblico.

    b) La decisione riguardante il quomodo della provvista del posto (scorrimento o indizione di un nuovo concorso), invece, resta soggetta ad un più stringente dovere di motivazione e vede circoscritti gli spazi discrezionali riservati all’apprezzamento dell’amministrazione.

    31. L’Adunanza Plenaria condivide la conclusione alla quale è pervenuta l’ordinanza della Sesta Sezione, con le precisazioni di seguito enunciate.

    a) Va superata la tesi tradizionale, secondo cui la determinazione di indizione di un nuovo concorso non richiede alcuna motivazione. A maggiore ragione, è da respingersi la tesi “estrema”, secondo cui si tratterebbe di una decisione insindacabile dal giudice amministrativo.

    b) Simmetricamente, però, non è condivisibile l’idea opposta, in forza della quale, la disciplina in materia di scorrimento assegnerebbe agli idonei un diritto soggettivo pieno all’assunzione, mediante lo scorrimento, che sorgerebbe per il solo fatto della vacanza e disponibilità di posti in organico. Infatti, in tali circostanze l’amministrazione non è incondizionatamente tenuta alla loro copertura, ma deve comunque assumere una decisione organizzativa, correlata agli eventuali limiti normativi alle assunzioni, alla disponibilità di bilancio, alle scelte programmatiche compiute dagli organi di indirizzo e a tutti gli altri elementi di fatto e di diritto rilevanti nella concreta situazione, con la quale stabilire se procedere, o meno, al reclutamento del personale.

    c) Ferma restando, quindi, la discrezionalità in ordine alla decisione sul “se” della copertura del posto vacante, l’amministrazione, una volta stabilito di procedere alla provvista del posto, deve sempre motivare in ordine alle modalità prescelte per il reclutamento, dando conto, in ogni caso, della esistenza di eventuali graduatorie degli idonei ancora valide ed efficaci al momento dell’indizione del nuovo concorso.

    d) Nel motivare l’opzione preferita, l’amministrazione deve tenere nel massimo rilievo la circostanza che l’ordinamento attuale afferma un generale favore per l’utilizzazione delle graduatorie degli idonei, che recede solo in presenza di speciali discipline di settore o di particolari circostanze di fatto o di ragioni di interesse pubblico prevalenti, che devono, comunque, essere puntualmente enucleate nel provvedimento di indizione del nuovo concorso.

    32. A queste conclusioni si perviene, anzitutto, mediante l’esame della disciplina riferita all’istituto dello scorrimento delle graduatorie, che costituisce il risultato di una complessa evoluzione, univocamente orientata alla progressiva dilatazione del suo spazio applicativo.

    Il punto di partenza è costituito dall’articolo 8 del Testo unico degli impiegati civili dello Stato (TUIC), di cui al d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, come modificato dall’ dall'articolo unico, della legge 8 luglio 1975, n. 305.

    In base a tale disposizione, “L'amministrazione ha facoltà di conferire, oltre i posti messi a concorso, anche quelli che risultino disponibili alla data di approvazione della graduatoria.”

    “Detti posti, da conferire secondo l'ordine della graduatoria, non possono superare il decimo di quelli messi a concorso per le carriere direttive ed il quinto per le altre carriere.”

    “Nel caso che alcuni dei posti messi a concorso restino scoperti per rinuncia, decadenza o dimissioni dei vincitori, l'amministrazione ha facoltà di procedere, nel termine di due anni dalla data di approvazione della graduatoria, ad altrettante nomine secondo l'ordine della graduatoria stessa.”

    33. Il disegno normativo originario è caratterizzato, quindi, dalla tipizzazione dell’ambito oggettivo di operatività dell’istituto, riferito alle sole ipotesi della disponibilità dei posti al momento dell’approvazione della graduatoria o, soltanto per i casi di rinuncia, decadenza o dimissioni dei vincitori, anche nel biennio successivo.

    È apparso significativo, nella formulazione della norma, anche il riferimento letterale alla “facoltà”, attribuita all’amministrazione pubblica. Tale espressione è stata intesa – dal criticato indirizzo “tradizionale” – come indicativa della presenza di un ampio potere discrezionale e di merito.

    34. La previsione dello scorrimento delle graduatorie e della efficacia pluriennale delle graduatorie concorsuali ha avuto, poi, una progressiva estensione, manifestatasi in più direzioni.

    A parte una pluralità di disposizioni contingenti, riguardanti settori specifici del pubblico impiego, sono state introdotte alcune regole intese a prevedere l’utilizzabilità delle graduatorie in ambiti oggettivamente molto più estesi rispetto a quello in origine delineato dall’articolo 8 del TUIC.

    In questo senso si colloca l’articolo 15, comma 7, del D.P.R. 9 maggio 1994 n. 487 (Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi), secondo cui “le graduatorie dei vincitori rimangono efficaci per un termine di diciotto mesi dalla data della sopracitata pubblicazione per eventuali coperture di posti per i quali il concorso è stato bandito e che successivamente ed entro tale data dovessero rendersi disponibili”.

    35. L’art. 91, comma 4, del Testo unico degli enti locali (d.lgs. 267 del 2000), ha previsto, poi, che “Per gli enti locali le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione, per l'eventuale copertura dei posti che si venissero a rendere successivamente vacanti e disponibili, fatta eccezione per i posti istituiti o trasformati successivamente all'indizione del concorso medesimo.”

    36. Le menzionate norme generali del 1994 e del 2000 hanno decisamente ampliato il perimetro oggettivo di applicazione dell’istituto dello scorrimento e ne hanno delineato il rapporto con le altre modalità di copertura dei posti vacanti.

    Le formule utilizzate da tali disposizioni abbandonano ogni riferimento alla “facoltà” dell’amministrazione e sono incentrate sulla locuzione “eventuale copertura”.

    È evidente l’intento di ridurre drasticamente l’ambito della discrezionalità dell’amministrazione nella scelta fra le diverse modalità di reclutamento.

    Al tempo stesso, tuttavia, il persistente riferimento al carattere meramente “eventuale” della copertura impedisce di configurare la procedura di scorrimento quale oggetto di un obbligo incondizionato dell’amministrazione, direttamente collegato alla sopravvenuta vacanza del posto.

    Va rimarcata anche la specifica limitazione ai posti che non siano di “nuova istituzione o trasformazione”. La regola, sebbene contenuta nella disciplina degli enti locali, risulta espressiva di un principio generale e, pertanto, trova applicazione comune anche alle altre amministrazioni pubbliche.

    37. Parallelamente, poi, si sono succedute diverse disposizioni legislative (alcune delle quali sono elencate analiticamente dall’ordinanza di deferimento all’Adunanza Plenaria), con efficacia temporalmente limitata, ancorché spesso reiterate senza soluzione di continuità, dirette a prorogare la vigenza delle graduatorie.

    38. Le indicate disposizioni, significativamente inserite nelle leggi annuali di “manovra finanziaria”, hanno disciplinato, sul piano formale, il solo termine di efficacia e di vigenza delle graduatorie, con tecniche di intervento legislativo non omogenee. Si sono previste, alternativamente, “proroghe”, “sospensioni” ed “elevazioni” dei termini di efficacia delle graduatorie, in alcuni casi con una puntuale definizione anche del regime transitorio.

    39. Da ultimo, poi, l’articolo 35, comma 5 - ter del testo unico del pubblico impiego ha introdotto la già illustrata disciplina legislativa, di portata generale, riguardante l’efficacia triennale delle graduatorie concorsuali, decorrente dalla pubblicazione.

    40. Le disposizioni riguardanti i soli termini di efficacia delle graduatorie concorsuali presentano una chiara finalità di contenimento della spesa pubblica, in relazione ai costi derivanti dall’espletamento delle nuove procedure concorsuali.

    Inoltre, perseguono lo scopo di offrire una certa protezione ai soggetti collocati nelle graduatorie (talvolta anche in posizione di vincitori), in considerazione del regime di “blocco delle assunzioni” previsto, di solito, dalle stesse leggi di “manovra”.

    41. Dette norme non hanno modificato gli altri presupposti sostanziali del procedimento di scorrimento delle graduatorie. Tuttavia, sul piano sistematico, ne hanno rafforzato il ruolo di modalità ordinaria di provvista del personale, tanto più giustificata in relazione alla finalità primaria di ridurre i costi gravanti sulle amministrazioni per la gestione delle procedure selettive.

    42. In questo contesto, dunque, sono destinati a cadere tutti gli argomenti tradizionalmente prospettati per escludere o ridurre la portata dell’obbligo di motivazione delle determinazione di indizione di un nuovo concorso.

    In particolare, vanno confutati gli argomenti in forza dei quali:

    a) l’indizione del concorso, attuando un principio costituzionale, non deve essere motivata in modo diffuso;

    b) trattandosi di scelta organizzativa, non deve essere supportata da alcun particolare supporto giustificativo;

    c) il bando, in quanto “atto generale”, non è soggetto all’obbligo della motivazione.

    43. La previsione normativa generale della utilizzabilità, per un tempo definito, delle preesistenti graduatorie non costituisce affatto una deroga alla regola costituzionale del concorso, né introduce un procedimento alternativo a tale modalità di selezione del personale.

    Al contrario, si tratta di un sistema di reclutamento che presuppone proprio lo svolgimento di una procedura selettiva concorsuale, compiuta nel rispetto dei principi costituzionali, diretta all’individuazione imparziale dei soggetti più meritevoli.

    Questa considerazione vale a superare, in radice, i possibili sospetti di legittimità costituzionale delle discipline che hanno introdotto, e poi ampliato, l’istituto dello scorrimento.

    Eventuali dubbi potrebbero prospettarsi, semmai, in relazione a norme singolari, che prevedano termini irragionevoli di vigenza delle graduatorie, o stabiliscano rigidi divieti di indizione di nuovi concorsi.

    La previsione generale, incentrata sull’articolo 35, comma 5-ter, peraltro, è perfettamente coerente con il dettato costituzionale, poiché stabilisce un termine di vigenza di tre anni, da reputarsi del tutto congruo, in relazione alle esigenze organizzative dell’amministrazione, e lascia comunque spazio adeguato alla possibilità di optare per l’indizione di un nuovo concorso.

    44. La decisione di “scorrimento”, quindi, poiché rappresenta un possibile e fisiologico sviluppo delle stessa procedura concorsuale, attuativo dei principi costituzionali, non può essere collocata su un piano diverso e contrapposto rispetto alla determinazione di indizione di un nuovo concorso.

    Entrambi gli atti si pongono in rapporto di diretta derivazione dai principi dell’articolo 97 della Costituzione e, quindi, devono essere sottoposti alla medesima disciplina, anche in relazione all’ampiezza dell’obbligo di motivazione.

    45. In termini generali, poi, l’ampia portata dell’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi è ormai saldamente acquisita nel nostro ordinamento, già in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge n. 241/1990.

    Detto dovere motivazionale è particolarmente rilevante nei casi in cui l’amministrazione ha dinanzi a sé una pluralità di opzioni, le quali possono determinare costi economici ed amministrativi diversificati e quando deve comunque considerare le posizioni giuridiche di determinati soggetti, titolari di aspettative protette dall’ordinamento.

    46. Non può condividersi l’argomento secondo cui le decisioni organizzative dell’amministrazione, comprese quelle con cui si indice un nuovo concorso, afferendo al “merito”, non richiederebbero alcuna particolare motivazione. Detta tesi, infatti, trascura di considerare non solo il valore di principio dell’articolo 3 della legge n. 241/1990, ma anche la circostanza secondo cui le opzioni compiute dal soggetto pubblico in questo ambito hanno importanti ricadute in termini di efficacia ed efficienza e incidono, comunque, sulle aspettative e sugli interessi dei soggetti idonei.

    Parimenti, per negare la sussistenza dell’obbligo di motivazione non è pertinente il richiamo alla natura di atto generale del bando, poiché l’obbligo di motivazione non riguarda il contenuto delle disposizioni generali racchiuse in tale atto, bensì la determinazione con cui l’amministrazione stabilisce la procedura per il reclutamento del personale.

    47. Il dovere di motivazione dell’atto di indizione del concorso, pertanto, rileva in una duplice direzione:

    - evidenzia l’interesse pubblico dell’amministrazione sotteso alla scelta compiuta;

    - indica l’attenta considerazione degli interessi giuridici facenti capo ai soggetti collocati in graduatorie ancora efficaci.

    48. Va osservato, ancora, che la disciplina riguardante l’efficacia triennale delle graduatorie, che in origine aveva una portata circoscritta e contingente, è ora racchiusa in una fonte legislativa di portata generale, l’articolo 35, comma 5-ter, del testo unico del pubblico impiego, assumendo il rango di regola generale.

    La formulazione della norma non è più imperniata sull’attribuzione di una facoltà puramente discrezionale, ma, mediante l’uso dell’indicativo presente (“rimangono vigenti”), evidenzia il carattere tipicamente obbligatorio della prescrizione.

    49. Non può trascurarsi, poi, che l’opzione di riconnettere una discrezionalità limitata alla amministrazione circa le modalità dell’assunzione, accordando tendenziale preferenza allo scorrimento, appare maggiormente rispettosa dei principi di trasparenza e di imparzialità.

    Infatti, come esattamente evidenziato dall’ordinanza di deferimento alla Plenaria, “se si considera che i nominativi dei soggetti in graduatoria sono ben noti a tutti, potrebbe indebitamente interferire sulla decisione di utilizzare o meno la graduatoria (ove l’amministrazione avesse mano libera in tal senso) il maggiore o minore che i soggetti che vi si trovano incontrano presso l’ente che deve provvedere all’assunzione”.

    50. Ne deriva, quindi, che sul piano dell’ordinamento positivo, si è ormai realizzata la sostanziale inversione del rapporto tra l’opzione per un nuovo concorso e la decisione di scorrimento della graduatoria preesistente ed efficace. Quest’ultima modalità di reclutamento rappresenta ormai la regola generale, mentre l’indizione del nuovo concorso costituisce l’eccezione e richiede un’apposita e approfondita motivazione, che dia conto del sacrificio imposto ai concorrenti idonei e delle preminenti esigenze di interesse pubblico.

    51. La riconosciuta prevalenza delle procedure di scorrimento non è comunque assoluta e incondizionata.

    Sono tuttora individuabili casi in cui la determinazione di procedere al reclutamento del personale, mediante nuove procedure concorsuali, anziché attraverso lo scorrimento delle preesistenti graduatorie, risulta pienamente giustificabile, con il conseguente ridimensionamento dell’obbligo di motivazione.

    In tale contesto si situano, in primo luogo, le ipotesi in cui speciali disposizioni legislative impongano una precisa cadenza periodica del concorso, collegata anche a peculiari meccanismi di progressioni nelle carriere, tipiche di determinati settori del personale pubblico. In tali eventualità emerge il dovere primario dell’amministrazione di bandire una nuova procedura selettiva, in assenza di particolari ragioni di opportunità per l’assunzione degli idonei collocati nelle preesistenti graduatorie.

    52. Vanno segnalate, poi, alcune ipotesi di fatto, in cui si manifesta l’opportunità, se non la necessità, di procedere all’indizione di un nuovo concorso, pur in presenza di graduatorie ancora efficaci, con la conseguente attenuazione dell’obbligo di motivazione, e a tal fine la vicenda in esame fornisce un esempio significativo.

    53. Anzitutto, può assumere rilievo l’esigenza preminente di determinare, attraverso le nuove procedure concorsuali, la stabilizzazione del personale precario, in attuazione delle apposite regole speciali in materia. Tale finalità, tuttavia, non esime l’amministrazione dall’obbligo di valutare, comparativamente, in ogni caso, anche le posizioni giuridiche e le aspettative dei soggetti collocati nella graduatoria come idonei. La normativa speciale in materia, infatti, non risulta formulata in modo da imporre la indiscriminata prevalenza delle procedure di stabilizzazione, ma lascia all’amministrazione un rilevante potere di valutazione discrezionale in ordine ai contrapposti interessi coinvolti.

    Nel caso oggetto del presente giudizio, gli atti impugnati hanno ripetutamente menzionato il riferimento al procedimento di stabilizzazione. Le scelte finali dell’amministrazione si sono poi concretizzate nella indizione non già di concorsi interamente riservati al personale precario, bensì nella sola previsione di una riserva in favore di tali soggetti.

    54. In secondo luogo, può acquistare rilievo l’intervenuta modifica sostanziale della disciplina applicabile alla procedura concorsuale, rispetto a quella riferita alla graduatoria ancora efficace, con particolare riguardo al contenuto delle prove di esame e ai requisiti di partecipazione.

    Nella vicenda oggetto del presente giudizio, le nuove procedure concorsuali prevedono significative diversità rispetto a quella conclusasi con la graduatoria approvata nel 2005. Le differenze riguardano l’introduzione di una prova di lingua straniera e una più specifica indicazione dell’oggetto delle prove di contenuto giuridico. Infatti, in queste ultime non soltanto si fa riferimento alla “legislazione universitaria”, genericamente intesa, ma, in modo maggiormente dettagliato, si considerano anche i “procedimenti in atto presso l’Università, con l’uso di apparecchiature informatiche”.

    Dette circostanze risultano idonee a giustificare l’opzione di bandire nuove procedure selettive.

    55. In terzo luogo, deve attribuirsi risalto determinante anche all’esatto contenuto dello specifico profilo professionale per la cui copertura è indetto il nuovo concorso e alle eventuali distinzioni rispetto a quanto descritto nel bando relativo alla preesistente graduatoria.

    Nella vicenda in esame rileva la circostanza che i nuovi posti messi a concorso riguardino, precisamente, le strutture di alcune delle Facoltà universitarie e di altre strutture didattiche dell’Ateneo, mentre la procedura concorsuale approvata il 28 dicembre 2005 era riferita ad un diverso posto, istituito presso la Direzione amministrativa.

    Inoltre, alcuni dei posti considerati nei due bandi impugnati sono di nuova istituzione rispetto a quello contemplato nella originaria procedura concorsuale approvata nel dicembre 2005.

    56. Difatti, mentre la prima procedura concorsuale faceva riferimento, genericamente, ad un posto di categoria C – area amministrativa, collocato presso la Direzione Amministrativa dell’Ateneo, senza illustrarne il contenuto, il bando di cui al decreto n. 449 del 30 ottobre 2008 stabilisce con chiarezza la destinazione del personale e descrive dettagliatamente il diverso profilo professionale richiesto: esso “dovrà assicurare l’istruzione degli atti amministrativi, con particolare riguardo alle attività didattiche, front office e tutorato, per le quali sono richieste conoscenze teorico-pratiche necessarie per la corretta applicazione di norme, nell’ambito di direttive ed elaborazioni da parte ad appartenenti a qualifiche superiori. Dovrà integrare le procedure di semplice esecuzione con la raccolta, il controllo, l’elaborazione e il coordinamento di informazioni necessarie all’attuazione degli atti amministrativi, anche mediante l’uso di apparecchiature per l’elaborazione automatica dei dati. Dovrà, altresì, garantire il supporto all’attivazione di convenzioni per lo svolgimento di tirocini e stages.”

    57. Ancora, sempre con riferimento alle rilevanti differenze di contenuto sostanziale tra i posti messi a concorso e quello indicato nella precedente procedura, non può dimenticarsi, che una delle due procedure concorsuali in contestazione è finalizzata alla costituzione di 14 rapporti di lavoro a tempo determinato: si tratta, quindi, di posti non coincidenti con quello, a tempo indeterminato, contemplato dall’originario concorso del 2005.

    58. In sintesi, è ragionevole ritenere che, nella presente vicenda contenziosa, l’Università abbia correttamente stabilito di procedere alla indizione di nuovi concorsi, anche prescindendo dalla circostanza, assorbente, riguardante il venir meno della efficacia della precedente graduatoria.

    Ed è significativo che la decisione adottata dall’Università, riguardante l’avvio delle nuove procedure concorsuali sia conseguita ad una attenta e complessiva attività di ricognizione delle vacanze in organico e di programmazione pluriennale delle assunzioni. In presenza di tali circostanze pretendere una specifica motivazione della scelta appare del tutto ridondante.

    59. Da ultimo, va precisato che l’affermazione di un dovere più stringente delle amministrazioni di procedere prioritariamente allo scorrimento delle graduatorie, per la copertura dei posti vacanti, non incide sulla soluzione del problema concernente la qualificazione della posizione giuridica del concorrente idoneo, il quale contesti l’avvio di una nuova procedura concorsuale, né comporta riflessi sulla giurisdizione del giudice amministrativo.

    Al proposito, le Sezioni Unite della Cassazione hanno da tempo consolidato il principio secondo cui la contestazione della procedura di indizione di un concorso, fondata sull’affermazione di un “diritto allo scorrimento”, si basa sulla deduzione non già di una carenza di potere dell’amministrazione, ma di un vizio di violazione di legge, la cui cognizione spetta, in ogni caso, al giudice amministrativo.

    60. In questo senso, si pone l’articolata ordinanza 9 febbraio 2009, n. 3055, delle Sezioni Unite, secondo cui la contrapposizione tra la tesi, che assegna all'amministrazione un ampio potere di valutazione discrezionale e l’opinione secondo la quale la disciplina positiva obbliga l'amministrazione a realizzare la semplificazione e l'economia connesse all'utilizzo delle graduatorie approvate in precedenza, escludendo senz'altro l'espletamento di nuove procedure, costituisce “un problema strettamente di merito, la cui soluzione, pertanto, non interessa la giurisdizione, atteso che, anche aderendo alla seconda delle tesi esposte, il provvedimento di apertura della procedura concorsuale risulterebbe affetto dal vizio di violazione di legge, non certo emanato in carenza di potere (ovvero nullo perché viziato da "difetto assoluto di attribuzione", ai sensi della legge n. 241 del 1990).”

    61. In definitiva, quindi, l’appello deve essere respinto.

    62. Ai sensi dell’articolo 99, comma 5, del codice del processo amministrativo, l’Adunanza Plenaria enuncia il principio di diritto espresso nella motivazione della presente decisione, così riassunto: “In presenza di graduatorie concorsuali valide ed efficaci, l’amministrazione, se stabilisce di provvedere alla copertura dei posti vacanti, deve motivare la determinazione riguardante le modalità di reclutamento del personale, anche qualora scelga l’indizione di un nuovo concorso, in luogo dello scorrimento delle graduatorie vigenti”.

    63. Le spese del grado possono essere compensate, tenendo conto della complessità e opinabilità delle questioni trattate.

    P.Q.M.

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)

    Respinge l'appello.

    Spese compensate.

    Enuncia il principio di diritto indicato nella motivazione, ai sensi dell’articolo 99, comma 5, del codice del processo amministrativo.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.






    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2011 con l'intervento dei magistrati:





    Pasquale de Lise, Presidente del Consiglio di Stato

    Giancarlo Coraggio, Presidente di Sezione

    Gaetano Trotta, Presidente di Sezione

    Pier Giorgio Lignani, Presidente

    Stefano Baccarini, Presidente

    Rosanna De Nictolis, Consigliere

    Marco Lipari, Consigliere, Estensore

    Marzio Branca, Consigliere

    Francesco Caringella, Consigliere

    Anna Leoni, Consigliere

    Maurizio Meschino, Consigliere

    Sergio De Felice, Consigliere

    Angelica Dell'Utri, Consigliere












    IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI STATO



    L'ESTENSORE IL SEGRETARIO






    DEPOSITATA IN SEGRETERIA

    Il 28/07/2011

    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

    Il Dirigente della Sezione
     
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